Da
dove viene e verso dove si vuole andare? Prima
di tutto una constatazione: esistono nel mondo principalmente due tipi di ‘culture’: 1.
la ‘cultura del nemico’, basata sui rapporti di forza, che conducono sovente a
conflitti e guerre, cioè un approccio ‘perdente - perdente’ 2.
la ‘cultura della cooperazione’, basata su dialogo e solidarietà secondo un
approccio ‘vincente - vincente’ Ciò premesso, cerchiamo di vedere come si è
arrivati alla situazione attuale della guerra in Ucraina e come conviene
procedere non solo per porre termine a questa guerra, ma anche per poter
giungere ad una nuova configurazione globale che consenta delle relazioni
pacificate, basate sulla giustizia, il dialogo e la solidarietà. Come molti
autori hanno già affermato, nulla può giustificare l’attuale aggressione della
Russia contro l’Ucraina, via terra, aria e mare: un’azione in totale violazione
del Diritto Internazionale e del Diritto Umanitario. Detto questo, si tratta
anche di prendere coscienza del processo che ha portato a questa situazione
spaventosa. Per questo bisogna risalire almeno al tempo dello scioglimento dell’Unione
Sovietica (dicembre 1991), preceduto dal crollo del muro di Berlino (novembre
1989) e che portò alla successiva riunificazione della Germania (ottobre 1990)
nonché allo scioglimento del Patto di Varsavia (luglio 1991). Questa rapida e
storica sequenza di eventi aveva fornito l’occasione perfetta per sciogliere
anche la NATO e aprire un regime di relazioni pacifiche e di fruttuosa
cooperazione tra Est e Ovest dell’Europa. Invece, come sappiamo, le cose non
sono andate così bene. Tuttavia, come confermato da documenti declassificati
nel 2017 (sito National Security Archive), i leader occidentali (Bush Sr.,
successore di Reagan, Kohl, Mitterrand, Thatcher e Manfred Wörner, Segretario
generale della NATO) nel 1990 avevano promesso a Gorbaciov che la NATO non
avrebbe esteso “neppure di un pollice” a est della Germania riunificata, come
ha precisato il Segretario di Stato Baker. Inoltre,
nel 1993 Clinton promise a Eltsin una “Partnership for Peace” al posto dell’espansione
della NATO.
Sappiamo cosa ne è seguito: tra il 2004 e il 2020,
la NATO è passata da 16 a 30 paesi membri, schierando vari armamenti in
Polonia, Romania e nei paesi baltici ai confini con la Russia. Inoltre, al vertice
della NATO del 2008 a Bucarest, gli alleati hanno dichiarato che la Georgia e l’Ucraina
avrebbero potuto entrare nella NATO in futuro. Proviamo ora a vedere come tutto questo è stato
percepito “dall’altra parte”: la dissoluzione dell’Unione Sovietica è stata
vissuta come un grande trauma e una pesante umiliazione dalla Russia e in
particolare dal suo presidente, Vladimir Putin. Inoltre, la graduale espansione della NATO ad
altri 14 paesi a est della Germania, con altri due in prospettiva, è stata
ovviamente vista come un tradimento delle promesse fatte collettivamente dai
leader occidentali negli anni ’90. In ogni caso, al di là di queste promesse,
purtroppo solo verbali, l’enorme estensione della NATO ai confini con la Russia
è semplicemente una violazione del buon senso. Per capirlo basterebbe
chiedersi: come reagirebbero gli Stati Uniti se la Russia facesse, attraverso
opportuni accordi, qualcosa di simile e simmetrico installando lo stesso tipo
di armamenti in Messico, lungo il confine con gli Stati Uniti?Bisogna
però tener conto anche della personalità di Vladimir Putin, come si è rivelato
durante i suoi 20 anni di “regno”, cioè un autocrate, fortemente ancorato alla
storia della Russia fin dai suoi esordi (la “Rus di Kyiv” nel medioevo (X
secolo) sul territorio quindi dell’attuale Ucraina) e con gli sviluppi della “Grande
Russia degli Zar”, che egli vorrebbe ricreare in una versione moderna. Inoltre,
la sua grande violenza nei confronti dei suoi oppositori interni, e soprattutto
esterni, come è stato particolarmente evidente nelle guerre in Cecenia e in Siria. Quindi, se si prendono in considerazione tutti
questi elementi, forse non c’è tanto da stupirsi del comportamento estremamente
violento di Putin nella situazione attuale, con la ‘conquista’ della Crimea,
poi quella del Donbass, e forse oltre.
In conclusione, cosa fare? Direi: cercare di
realizzare ora, in condizioni molto più difficili, ciò che non è stato fatto negli
anni ’90, quando il contesto geopolitico era molto più favorevole, ovvero
aprire un dialogo con la Russia sui “problemi di frontiera” a partire dallo
statuto delle popolazioni di lingua russa nei paesi dell’Est, in particolare in
Ucraina, in Moldavia, e nei Paesi baltici che costituiscono altrettante ‘bombe
a ritardo’ di cui la prima è già scoppiata appunto in Ucraina. Ad esempio, in
Estonia e in Lettonia circa 1/3 della popolazione è russofona, e più de la metà
di essa è privata di ogni nazionalità! Abbiamo cercato di lanciare un’iniziativa in
questo senso con la WILPF-Italia (Patrizia Sterpetti e Antonia Sani), la WILPF
Europa (Heidi Meinzolt), i ‘Disarmisti Esigenti’ (Alfonso Navarra), ‘World
Beyond War’ (Alice Slater), ed il supporto della ‘Laudato Si’ (Mario
Agostinelli), di ‘Pressenza’ (Olivier Turquet) e di alcuni altri. Certamente
poi i gruppi pacifisti in Ucraina ed in Russia potrebbero apportare un aiuto
essenziale. Si tratta quindi di aprire queste trattative cercando di “guardare
la realtà anche con gli occhi dell’altro”. La “cultura del nemico”, così presente nel mondo
occidentale, e in particolare nel complesso Stati Uniti/NATO, potrebbe allora
cedere il passo a uno spirito di dialogo e cooperazione multilaterale, anche allo
scopo di poter combattere i veri nemici, che sono comuni a tutte le nazioni e
che si chiamano: riscaldamento globale, degrado ambientale, miseria nel mondo,
ecc. Dovrebbe quindi diventare chiaro che la NATO non ha più alcuna ragione di
esistere, e che il disarmo nucleare è essenziale, con un’adesione generale al
Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) in Europa e nel mondo.