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martedì 12 aprile 2022

LA GUERRA IN UCRAINA
di Luigi Mosca



Da dove viene e verso dove si vuole andare?
 
Prima di tutto una constatazione: esistono nel mondo principalmente due tipi di ‘culture’:
1. la ‘cultura del nemico’, basata sui rapporti di forza, che conducono sovente a conflitti e guerre, cioè un approccio ‘perdente - perdente’
2. la ‘cultura della cooperazione’, basata su dialogo e solidarietà secondo un approccio ‘vincente - vincente’ Ciò premesso, cerchiamo di vedere come si è arrivati alla situazione attuale della guerra in Ucraina e come conviene procedere non solo per porre termine a questa guerra, ma anche per poter giungere ad una nuova configurazione globale che consenta delle relazioni pacificate, basate sulla giustizia, il dialogo e la solidarietà. Come molti autori hanno già affermato, nulla può giustificare l’attuale aggressione della Russia contro l’Ucraina, via terra, aria e mare: un’azione in totale violazione del Diritto Internazionale e del Diritto Umanitario. Detto questo, si tratta anche di prendere coscienza del processo che ha portato a questa situazione spaventosa. Per questo bisogna risalire almeno al tempo dello scioglimento dell’Unione Sovietica (dicembre 1991), preceduto dal crollo del muro di Berlino (novembre 1989) e che portò alla successiva riunificazione della Germania (ottobre 1990) nonché allo scioglimento del Patto di Varsavia (luglio 1991). Questa rapida e storica sequenza di eventi aveva fornito l’occasione perfetta per sciogliere anche la NATO e aprire un regime di relazioni pacifiche e di fruttuosa cooperazione tra Est e Ovest dell’Europa. Invece, come sappiamo, le cose non sono andate così bene. Tuttavia, come confermato da documenti declassificati nel 2017 (sito National Security Archive), i leader occidentali (Bush Sr., successore di Reagan, Kohl, Mitterrand, Thatcher e Manfred Wörner, Segretario generale della NATO) nel 1990 avevano promesso a Gorbaciov che la NATO non avrebbe esteso “neppure di un pollice” a est della Germania riunificata, come ha precisato il Segretario di Stato Baker.
Inoltre, nel 1993 Clinton promise a Eltsin una “Partnership for Peace” al posto dell’espansione della NATO.



Sappiamo cosa ne è seguito: tra il 2004 e il 2020, la NATO è passata da 16 a 30 paesi membri, schierando vari armamenti in Polonia, Romania e nei paesi baltici ai confini con la Russia. Inoltre, al vertice della NATO del 2008 a Bucarest, gli alleati hanno dichiarato che la Georgia e l’Ucraina avrebbero potuto entrare nella NATO in futuro.
Proviamo ora a vedere come tutto questo è stato percepito “dall’altra parte”: la dissoluzione dell’Unione Sovietica è stata vissuta come un grande trauma e una pesante umiliazione dalla Russia e in particolare dal suo presidente, Vladimir Putin.
Inoltre, la graduale espansione della NATO ad altri 14 paesi a est della Germania, con altri due in prospettiva, è stata ovviamente vista come un tradimento delle promesse fatte collettivamente dai leader occidentali negli anni ’90. In ogni caso, al di là di queste promesse, purtroppo solo verbali, l’enorme estensione della NATO ai confini con la Russia è semplicemente una violazione del buon senso. Per capirlo basterebbe chiedersi: come reagirebbero gli Stati Uniti se la Russia facesse, attraverso opportuni accordi, qualcosa di simile e simmetrico installando lo stesso tipo di armamenti in Messico, lungo il confine con gli Stati Uniti? Bisogna però tener conto anche della personalità di Vladimir Putin, come si è rivelato durante i suoi 20 anni di “regno”, cioè un autocrate, fortemente ancorato alla storia della Russia fin dai suoi esordi (la “Rus di Kyiv” nel medioevo (X secolo) sul territorio quindi dell’attuale Ucraina) e con gli sviluppi della “Grande Russia degli Zar”, che egli vorrebbe ricreare in una versione moderna. Inoltre, la sua grande violenza nei confronti dei suoi oppositori interni, e soprattutto esterni, come è stato particolarmente evidente nelle guerre in Cecenia e in Siria.
Quindi, se si prendono in considerazione tutti questi elementi, forse non c’è tanto da stupirsi del comportamento estremamente violento di Putin nella situazione attuale, con la ‘conquista’ della Crimea, poi quella del Donbass, e forse oltre.



In conclusione, cosa fare? Direi: cercare di realizzare ora, in condizioni molto più difficili, ciò che non è stato fatto negli anni ’90, quando il contesto geopolitico era molto più favorevole, ovvero aprire un dialogo con la Russia sui “problemi di frontiera” a partire dallo statuto delle popolazioni di lingua russa nei paesi dell’Est, in particolare in Ucraina, in Moldavia, e nei Paesi baltici che costituiscono altrettante ‘bombe a ritardo’ di cui la prima è già scoppiata appunto in Ucraina. Ad esempio, in Estonia e in Lettonia circa 1/3 della popolazione è russofona, e più de la metà di essa è privata di ogni nazionalità!
Abbiamo cercato di lanciare un’iniziativa in questo senso con la WILPF-Italia (Patrizia Sterpetti e Antonia Sani), la WILPF Europa (Heidi Meinzolt), i ‘Disarmisti Esigenti’ (Alfonso Navarra), ‘World Beyond War’ (Alice Slater), ed il supporto della ‘Laudato Si’ (Mario Agostinelli), di ‘Pressenza’ (Olivier Turquet) e di alcuni altri. Certamente poi i gruppi pacifisti in Ucraina ed in Russia potrebbero apportare un aiuto essenziale. Si tratta quindi di aprire queste trattative cercando di “guardare la realtà anche con gli occhi dell’altro”.
La “cultura del nemico”, così presente nel mondo occidentale, e in particolare nel complesso Stati Uniti/NATO, potrebbe allora cedere il passo a uno spirito di dialogo e cooperazione multilaterale, anche allo scopo di poter combattere i veri nemici, che sono comuni a tutte le nazioni e che si chiamano: riscaldamento globale, degrado ambientale, miseria nel mondo, ecc. Dovrebbe quindi diventare chiaro che la NATO non ha più alcuna ragione di esistere, e che il disarmo nucleare è essenziale, con un’adesione generale al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) in Europa e nel mondo.