Presidenziali QUALCHE NUMERO DALLA FRANCIA di
Franco Astengo
Spoglio
quasi completato per il primo turno delle presidenziali francesi svoltosi
domenica 10 aprile: scriviamo, infatti, al 97% delle schede scrutinate e a
questo punto è possibile tentare qualche prima valutazione posta sul piano
generale, riservandosi una analisi più approfondita posta sul terreno
dell’articolazione territoriale. Molto opportunamente il sito del Ministero
dell’Interno francese riporta anche le percentuali sul totale degli aventi
diritto: in Italia questo tipo di analisi non si svolge quasi mai e si finisce
con lo stravolgere il senso delle percentuali effettive di voto assegnandole
soltanto sulla base dei voti validi (sorgono così equivoci come quello
clamoroso delle Europee 2014 con il PD attestato a un fasullo 40% ottenuto
semplicemente per una massiccia diserzione dalle urne). Nella
Francia 2022 l’astensione è ancora cresciuta e questo elemento deforma il
valore delle percentuali ottenute dai diversi candidati. Andando
per ordine, su questo punto: nel 2017 ci si era attestati sul 77,77% dei
votanti con l’1,78% di schede bianche e lo 0,78% di schede nulle. Nel 2022 il
totale dei votanti è sceso al 74,86% (meno 2,91%: circa 1.500.000 in più di
elettrici ed elettori che non si sono recati al seggio). Nel
computo dei voti relativi ai diversi candidati si rileva anche una forte
volatilità elettorale (non ancora, però, ai livelli assunti dal fenomeno nelle
più recenti elezioni italiane) con la caduta dei due grandi partiti che avevano
segnato il bipolarismo francese: il partito socialista e quello gollista (ed
eredi) e la grande differenza tra centri urbani e Francia profonda. Considerato
che i due candidati che arriveranno al ballottaggio hanno incrementato il loro
plafond passando (al 97% dei voti scrutinati) Macron da 8.656.346 voti a
9.560.579 e Le Pen da 7.678.491 a 8.109.802 diventa fondamentale per capire
cosa è successo valutare il crollo di gollisti e socialisti facendo presente
prima di tutto un elemento. Si
tratta della divisione a sinistra: la presenza di 5 candidature (compresa
quella dei Verdi, che nel frattempo in Francia hanno assunto una dimensione
maggiormente “politica” dai tempi ruralisti di Bovè) ha impedito
all’ex-socialista ora radical-populista Mélenchon di arrivare al ballottaggio. La
candidatura dell’ex-fondatore di Radio Tangeri è cresciuta in numeri assoluti
da 7.059.951 a 7.605.495. Intorno,
a sinistra, registriamo: il pauroso arretramento della candidatura socialista,
in questo caso Anne Hidalgo che rispetto a quella di cinque anni fa di Benoit
Hamon si ferma a 604.203 voti contro 2.291.288; il comunista Roussel (non
presente nel 2017) ottiene 799.352 voti; i Verdi con Jadot 1.587.541 e le due
candidature trotzkiste complessivamente 461.720 voti. Un’ipotetica
candidatura da Fronte Popolare (compresi gli ecologisti) avrebbe ottenuto nel
2017 9.978.128 voti saliti nel 2022 a 10.454.108 a dimostrazione che, dal
crollo dei socialisti, non si è avuto uno spostamento a destra ma, considerato
il quadro complessivo, semplicemente un maggiore frazionamento. L’altro punto
di caduta che andrà esaminato con attenzione è quello dei gollisti. La
candidatura ufficiale dei “Repubblicani” nel 2017, presentata da Francois
Fillon aveva ottenuto 7.212.995 suffragi: nel 2022 Valérie Pécresse, presidente
dell’Ile de France, è scesa a 1.658.377 voti con un calo di 5.554.618 suffragi. Appare
evidente che gran parte di questi voti abbiano rappresentato nel 2022 la base
del consenso acquisito da Eric Zemmour, ultradestra, che ha raccolto 2.442.673
voti; un’altra parte dei perduti voti gollisti è da ricercarsi (oltre che
nell’astensione) nell’incremento ottenuto dalla candidatura Le Pen. Nella
sostanza non c’è complessivamente uno spostamento a destra ma uno spostamento
della destra verso l’estrema destra che Macron sta cercando di recuperare
corteggiando (come fa da tempo) l’ala più vicina all’ex-presidente Sarkozy:
così la sinistra divisa si limita, pur disponendo di un notevole numero di
voti, ad assistere abbarbicata al successo di Mélenchon che verificheremo
quanto potrà essere trasmesso e reso efficace nelle elezioni legislative. In
sostanza si può affermare che per la prima volta la candidatura Le Pen di
estrema destra non ha fatto il pieno al primo turno e dispone (al contrario
dello scontro di 5 anni fa) di margini di crescita: oltre ai 2.442.673 voti di
Zemmour sono da considerare anche il 1.095.703 voti di Lassalle (erede di
Bayerou) e i 718.240 voti di Dupont-Aignan oltre all’incerta possibile
divisione dei voti gollisti.
Macron
ha portato avanti una politica di destra sottovalutando l’ampiezza del bacino
della sinistra: Mélenchon ha dichiarato “non un voto per la Le Pen” ma non ha
invitato a votare Macron. Esiste
allora un margine di incertezza da non trascurare, considerando anche l’articolazione
sociale e culturale dell’elettorato di France Insoumise che risulta molto
diversa da quella per così dire “classica” di PS, PCF e LO. Sul voto per Mèlenchon sicuramente hanno
insistito frange dei tanti “NO” che agitano l’estremismo europeo dall’emigrazione,
all’emergenza sanitaria, alla guerra con richiami che, almeno in Italia, hanno
assunto aspetti di dannunzianesimo di ritorno come nel caso del M5S che pure
tentarono approcci con il movimento dei “gilet gialli”. Pesa
l’incapacità della sinistra francese di valutare le proprie forze nelle diverse
componenti e, di conseguenza, l’impossibilità di costruire una qualche
dimensione unitaria. Sarà l’affluenza al secondo turno a decidere il
ballottaggio e soprattutto la possibile partecipazione di elettrici ed elettori
della sinistra, perché la volatilità elettorale tra il primo e il secondo turno
non è così scontata come si verificò invece nel 2002, quando Chirac raccolti
5.665.855 voti al primo turno volò al secondo a 25,537,956 facendo il pieno
dell’antifascismo francese e surclassando Le Pen padre. Passato da 4.804.713 a
5.525.032 (su Chirac si assestarono gli oltre 4 milioni di voti socialisti di
Jospin, i quasi 2 milioni del centrista Bayerou, mentre va ricordato che in
quell’occasione le due candidature trotzkiste di Lotte Ouvriere e della LCR
finirono davanti a quella del PCF).