PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada
La
catarsi
C’è la radice κα/καυ, che rimanda
al verbo καίω/κάω: ardo,
brucio, incendio, riscaldo, che è stata molto usata non
solo nella cultura greca, ma anche in quella latina e in quella neolatina, nel
senso che ci furono molte deduzioni logiche. La perifrasi è molto vaga: dall’andare
il generare/dal generare la creatura, che potrebbe indicare la
femmina in calore o il bruciare alla divinità per propiziare le fecondazioni o
chissà altro. In greco furono dedotti: (cauter) καυτήρ: ferro rovente, quindi: cauterizzo e cauterizzazione,
(caustòs) καύστός: bruciato, da cui caustico con tutte
le implicazioni metaforiche, quindi: (causis) καῦσις: combustione, bruciatura. Fu elaborato olocausto
con il significato di: bruciato interamente, ad indicare la vittima
sacrificale, offerta integralmente alla divinità. Pertanto, la parola olocausto,
per indicare lo sterminio del popolo ebreo, è poco appropriata, in quanto si
tratta di genocidio.
I greci per indicare
carbone usarono κάνδαρος, dedotto da κα, e coniarono
anche: (anthrax anthracos) ἄνθραξ ἄνθρακος, che, oltre a significare carbone, indicò una pietra preziosa di
colore rosso scuro (il rosso del fuoco?), ma anche il carbonchio, che,
nel mio dialetto, oltre alla variante cravugn’ (carbonchio, appunto), c’è
anche: antrac’n’, proprio perché la lettura del simbolo verbale non è
univoca, dando la possibilità a più interpretazioni. Da ἄνθραξ fu dedotto (anthracitis)
ἀνθρακῖτις: antracite. Sempre dalla radice κα furono
dedotti: candela (κανδήλη), candelabro
(κανδήλαβρον), camino (kapne/κάπνη), (capnòs) καπνός: fumo,
vapore da cui la cappa del camino, forse anche la cappa come
tabarro nero che avvolge, (caminos) κάμινος: forno,
fornace, fucina, (caminaia) καμιναία: fornace.
Molto
verosimilmente, dalla radice κα con
l’aggiunta di εν, i latini elaborarono una nuova radice, mediante
una crasi: da καεν ricavarono κην e per
modificazione fonetica ebbero: cin da cui cin-is cin-eris,
formulando la seguente perifrasi: da dentro il bruciare si forma legando la
realtà che nasce: la cenere.
I greci,
inoltre, dalla radice κα dedussero: (catharòs,
da cui la crociata contro i Catari) καθαρός, ad indicare
la nitida luminosità che si ha nel bruciare, per cui tradussero l’aggettivo: puro,
immacolato, genuino, limpido. Poi, dall’aggettivo si ebbe catarsi,
nel senso di purificazione e catartico. Anche l’aggettivo latino
pur-us, che è l’omologo di καθαρός, rimanda a πύρ πυρός: fuoco, meglio: luce vivida di un carbone
incandescente.
Pertanto, il
significato del verbo κάω fu conosciuto
dai latini, che dedussero molte parole. Con dei deduttivi logici, meglio:
prefissi e suffissi, formularono καendo, da cui
ricavarono: ac-cendo, in-cendo/incendium.
Per
espansione logica, i latini formarono καl: scioglie
il bruciare, fa nascere il bruciare. Quindi, formarono il verbo καl-eo, la cui
perifrasi può rendersi: è ciò che desumo da ciò che fa nascere il bruciare,
da cui estrapolarono: sono caldo, sono ardente, ardo, sono
eccitato, poi, elaborarono il deverbale calor, l’aggettivo cal-idus,
un altro aggettivo: cal-(i)darius: che scalda, da cui caldaria/caldaia,
caligo caliginis. Nel mio dialetto si usano caudo (caldo),
caudore, caudar’ (caldaia), caudarar’ (che fabbrica caldaie
o che fa la zincatura delle caldaie) non per deformazione fonica di cal,
ma perché nel Mezzogiorno si usò la radice καυ. I latini dedussero altri due verbi similari fra loro: καn-eo e καnd-eo: sono
d’un bianco abbagliante/splendente, sono incandescente; dalla
radice can fu ricavato canus/canutus: bigio, cinerino,
bianchiccio, bianco, canuto, attempato e canizie.
Da cand-eo furono dedotti cand-ore e cand-ido e cand-esco:
incomincio a diventare bianco.
I latini,
successivamente, identificarono il canuto e la canizie con l’uomo
attempato: maturo, avveduto e saggio. Inoltre, la condotta morale dell’uomo che
voleva entrare in politica (quello che intraprendeva il cursus honorum) trovava
nella toga candida il suo simbolo, mentre, oggi, in base al principio
della laicità dello Stato, sacrosanto anch’esso, la morale e la politica, di
fatto, risultano disgiunte, se la corruzione dilaga in chi amministra la cosa
pubblica. Non ci sono più censori, non c’è censura che tenga!
Inoltre, dalla
radice καυ, con un’accorta deduzione logica, i latini
formularono: καυ-eo/cav-eo: mi guardo, sto in
guardia, vado cauto, poi: do cauzione, do garanzia. Da
chi è stato in guardia fu dedotto cauto, il contrario: incauto,
caut-ela, caut-elo, l’aggettivo caut-elare, caut-elativo,
cauz-ione, pre-cauz-ione.
Per concludere
queste considerazioni sui colori derivanti dal fuoco, c’è da aggiungere il
rosso, perché in consonanza con quanto si sta trattando. I greci, infatti,
da πύρ elaborarono: πυρρός: rosso,
rossastro, fulvo, biondo, ma anche il verbo ἐρεύθω/ἐρύθω: faccio arrossare, rendo rosso rimanda al colore del fuoco
che divampa, se fu dedotto: (erythema) ἐρύθημα: eritema,
infiammazione. Poi, da ἐρύθω fu dedotto: ἐρυθρός: rosso. Incidentalmente, si ricorda che da θυ si ebbe: θύω: offro un sacrificio/faccio fumare.
C’è un verbo
latino: ruo/rutum: corro, mi lancio, mi
precipito, rovino, crollo, scavo (per fermare il fuoco;
in dialetto si dice: staglio il solco per fermare l’incendio) che,
verosimilmente, rappresenta quello che avviene durante un incendio, per cui ruber
dovrebbe indicare ciò che si deduce dai bagliori di un incendio. Tengo a
sottolineare che da questo verbo fu certamente ricavato: rutus: rosso
acceso, fulvo, da cui il verbo rutilo rutilas: rosseggio,
mando bagliori fulvi, brillo come oro, balenare, che ha
lasciato traccia in rutilante, che è la rappresentazione icastica di un fuoco,
che dopo essere divampato, scorre impetuoso, mandando bagliori sinistri.
Infine, vorrei
proporre un possibile etimo dell’aggettivo vermiglio, da far risalire a minium:
minio, per cui la forma originaria sarebbe stata: verminio. Si
dovrebbe trattare di un adattamento fonico e di una perifrasi di questo tipo: va
dal generare lo scorrere il minio.