Da
alcuni analisti occidentali sta emergendo una valutazione in base alla quale
l'espansionismo russo (cfr. Andrew Wilson su "Scenari") deriverebbe
dall'impatto teorico che l'idea di riduzione schmittiana della politica
all'interno della coppia "amico/nemico" avrebbe
sull'impianto di analisi geo-politica sostenuto dalla maggior parte dell'establishment
di quel paese. A
questo punto ci sarebbe da chiedersi quanta reciprocità ci sia tra questa
concezione analitica di stampo orientale e quella di stampo occidentale (in
realtà USA come traino NATO) e, ancora, di richiesta avanzata da parte dei
settori dominanti della politica e dell'economia USA di parte democratica per
un ritorno alla semplificazione del quadro globale in "sfere
d'influenza" ("scontro di civiltà"). Dopo
il fallimento dell'American first di marca trumpiana sarebbe questo, di
una sorta di ritorno alla logica dei blocchi e di egemonia USA sull'Occidente
l'esito del superamento della fase di globalizzazione già avviata con la crisi
del 2007-2008. Al contrario, come scrive Alain Gresh su Le Monde diplomatique
l'affievolimento delle linee di appartenenza ideologica di un tempo
potrebbe offrire a un mondo multipolare l'opportunità di emergere dal caos
alimentando al resto del mondo la possibilità di esercitare un più ampio
margine di manovra. Rispetto al tentativo di imporre un ritorno al bipolarismo
attraverso la guerra e l'equilibrio del terrore il movimento pacifista avrebbe
dunque carte da giocare sia sul piano teorico sia su quello dell'interposizione
geo-politicatanto più che, andando avanti
sulla linea bellicista mantenuta negli ultimi tre mesi, ci si troverà presto di
fronte al micidiale combinato disposto tra rischio di escalation nucleare,
crisi energetica e crisi alimentare. Un intreccio micidiale che si
collocherebbe a un livello di pericolosità globale mai visto nel corso della
fase di sviluppo della modernità a partire dalla prima rivoluzione industriale.