CECILIA E TIZIANO
di
Angelo Gaccione
Di storie più o meno romanzate che
riguardano artisti (pittori e scultori) ce ne sono diverse. Il romanzo si sa, è
una costruzione che mescola fatti avvenuti e fatti inventati; questo vale anche
per quelli che si fregiano dell’appellativo di storico. Manzoni che in Italia è
riconosciuto come il padre del romanzo storico, ce lo ribadisce senza giri di
parole: “Prendendo in mano un romanzo storico, il lettore sa benissimo che ci
troverà e cose avvenute e cose inventate (…) cioè due opposti assentimenti”.
Non fosse altro, e questo ogni narratore lo sa, perché è lui a mettere in bocca
ai suoi personaggi frasi e parole che non ha mai effettivamente sentito, che le
adatta secondo il proprio personale fine poetico conferendo ad esse la forma
espressiva e il tono che più conviene. Il destino di un amore. Tiziano
Vecellio e Cecilia di Luca Nannipieri (Skira Editore 2021, pagg. 128 €
15,00) non sfugge a questa regola. Negli 89 brevi capitoli, alcuni brevissimi,
composti di quattro, tre, due e addirittura di un solo lapidario rigo - il
trentottesimo -, la storia è un contorno e il passare degli anni è scandito da
brevi annotazioni: “Calava l’anno 1533, Lodovico Ariosto chiudeva per sempre i
suoi occhi al mondo, mentre Michel de Montaigne li apriva”. E ancora: “In
quell’anno, che il calendario cristiano segnava 1534, in Francia si studiava la
possibilità che tutti i torchi depositassero per legge in biblioteca una copia
di ogni libro stampato a futura memoria”.
Luca Nannipieri
A Nannipieri non interessa la storia, interessano i sentimenti, il legame intenso che ha legato Cecilia al suo uomo, all’uomo spesso rude, distratto, interessato ad onore, soldi e gloria come scrive a pagina 25, dandoci un ritratto impietoso del pittore. La devozione di Cecilia Soldani, giovane sfortunata moglie del grande pittore di Pieve di Cadore morta di parto dando alla luce la figlia Lavinia e che per questa gravidanza sacrificherà sé stessa, è questo che interessa al narratore. Gli interessa farci partecipe di questa toccante dolorosa vicenda umana per portarci alla condivisione, all’empatia, alla compassione, a muoverci alla pietàs, alle lacrime, com’è accaduto a lui stesso nello scriverle quelle parole. Perché le parole, certe parole, non sono solo fiato, sono sentimenti, sono brandelli di vita e ci riguardano direttamente, perciò ci prendono allo stomaco o ci serrano la gola. Ci vorrà quella tragedia immane perché Tiziano si renda conto della spaventosa perdita e del vuoto incolmabile in cui è precipitato. La memoria non gli darà tregua, e così gli oggetti, i luoghi, i gesti; la riconoscenza arriverà, postuma ma arriverà. E in che forma poteva arrivare se non attraverso l’unico modo in cui un pittore può e sa farlo? La sua arte.
Tiziano Vecellio Autoritratto |