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sabato 28 maggio 2022

COME FRATELLI
di Lorenzo Buggio

 

Una delle parole centrali nel mondo odierno, come ho già presentato nel mio precedente articolo, è la parola fratellanza. Oggi però vorrei concentrarmi su un altro aspetto di questa parola, ovvero su che cosa ci rende veramente fratelli? Devo confessarvi, prima di continuare, che purtroppo o per fortuna, questo non sta a me deciderlo, sono figlio unico. Ammetto quindi di aver sempre vissuto il rapporto fraterno da semplice osservatore.
Questa posizione però forse mi ha permesso di indagare più a fondo gli aspetti centrali di tale tematica. Una domanda che ha sempre accompagnato questa mia osservazione è che cosa permette ai fratelli e alle sorelle di litigare, insultarsi e così via in un momento e nel momento successivo invece abbracciarsi o aiutarsi a vicenda. Penso che una possibile riposta a questa mia domanda sia che i fratelli riescono a strutturare un rapporto di questo tipo perché sotto a tutte quelle litigate c’è l’amore. Più precisamente, amore del diverso, ovvero volto al riconoscimento di un altro. In altre parole, il rapporto tra fratelli ci permette di vedere come una prima e fondamentale forma di amore sia il rispetto delle differenze. Un caro amico mi diceva una volta riguardo al rapporto con suo fratello: “Certo che a volte non lo sopporto, ma non per questo lo odio è semplicemente diverso da me ecco tutto”.



Nella semplicità di questa affermazione è presente un punto però di fondamentale importanza che la società moderna sembra aver dimenticato.
Oggi, infatti, si pensa che dire di essere fratelli significhi che siamo tutti uguali e questo è almeno per quanto mi riguarda un ragionamento sbagliato.
Difatti, dire di essere tutti uguali significa anche affermare l’esistenza di un prototipo di persona. Purtroppo, però un prototipo, ovvero un ideale, non può esistere all’interno di un mondo concreto e reale come il nostro.
In sintesi, riprendendo l’affermazione del mio amico è facile immaginare come la sua idea prototipica sarà sicuramente diversa da quella di suo fratello, quindi una ricerca di totale uguaglianza porterebbe soltanto ad una forma di scontro tra le due parti. Lo scontro in realtà può essere a volte però fautore di fratellanza. Ciò mi è stato svelato durante un incontro a Sarajevo. Difatti, una sera del mio viaggio ho avuto la possibilità di incontrare alcuni terziari francescani con i quali ho parlato della loro esperienza di minoranza religiosa durante e dopo la guerra. È stato proprio uno di questi francescani ad un certo punto della nostra chiacchierata a dire: “Durante la guerra si era più uniti e vicini (...)”.
Riprendendo poi questo punto quello che è emerso è che di fronte ad una difficoltà comune, quelle stesse differenze che normalmente sembrano insuperabili, come ad esempio il proprio credo, scompaiono permettendo così alle persone di riconoscersi più facilmente come fratelli.
È quindi necessario ricordarci che essere fratelli non significa essere uguali e che un discorso basato sull’estrema uguaglianza è paradossalmente un discorso volta a dividere le persone piuttosto che ad unirle.



In questo mi pare possa essere utile richiamare alla nostra memoria il celebre discorso di Shylock nel mercante di Venezia di Shakespeare: “Ma un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, organi, misure, sensi, affetti, passioni, non mangia lo stesso cibo, non viene ferito con le stesse armi, non è soggetto agli stessi disastri, non guarisce allo stesso modo, non sente caldo o freddo nelle stesse estati e inverni allo stesso modo di un cristiano? Se ci ferite noi non sanguiniamo? Se ci solleticate, noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo?
Penso infatti che se iniziassimo a chiederci più spesso che cosa ci differenzia effettivamente così tanto da un altro diverso da noi scopriremmo di essere più simili a lui di quanto pensiamo.