Oggi
- 20 maggio 2022 - scendiamo in piazza in tutta Italia, e qui a Milano da Largo
Cairoli (ore 9:30), per protestare contro il coinvolgimento bellico del nostro
Paese e dell’Europa nei “fatti ucraini”, insieme ai sindacati di base, nella
modalità importantissima di uno sciopero generale dei lavoratori. Precisiamo
la solita, ormai scontata premessa: condanniamo l’aggressione di Putin
all’Ucraina, condividendo però la corrosiva considerazione del Papa: può essere
stata agevolata dall’ “abbaiare della NATO” ai confini della Russia. Speriamo
che, in questo spirito, questa iniziativa possa collocarsi in un percorso di
più ampio respiro per dare voce e rappresentanza alla maggioranza del popolo
italiano; il quale rifiuta la guerra ed invoca la pace secondo tre punti
certificati dagli istituti di sondaggi commissionati dagli stessi media
interventisti: NO al riarmo (le spese militari al 2 per cento del PIL) e NO
aiuti militari ai belligeranti, in soldi, truppe (per ora nelle retrovie) ed
armi, anche solo leggere, figuriamoci quelle pesanti! No
a spirali di sanzioni e controsanzioni contro la Russia che sarebbero pagate più
che dagli oiligarchi dai popoli con inflazione, disoccupazione, tempeste
economiche incontrollate. Sì
a porsi come mediatori (magari svegliando Europa, Cina, ONU e quanti altri) per
costringere le parti in conflitto armato al cessate il fuoco e a sedersi a
tavoli negoziali per arrivare a compromessi il più possibile win-win. Nell’ambito
dei movimenti sociali, è particolarmente importante sottolineare il secondo
punto, che ci sembra alquanto trascurato nel dibattito tra i soggetti
alternativi. Dobbiamo contrastare la tendenza a scaricare, da parte dei “nemici
che marciano alla nostra testa”, il prezzo della guerra sui lavoratori europei
ma anche e soprattutto sulle masse diseredate del Terzo Mondo, mentre Putin e gli
oligarchi saranno (eventualmente) colpiti solo di striscio. Andando
avanti nel giocare alla guerra economica, e non fermando il conflitto in atto,
arriveremo solo a cadere in una devastante recessione, sotto il nome tecnico di
stagflazione. Ci
attende, qui in Italia e in Europa, un rialzo vertiginoso dei prezzi accompagnato
da crisi produttive (scarsità di beni più disoccupazione), mentre già si parla
di razionamenti energetici e di contingentamento delle scorte di materie prime.
Per non parlare della crisi alimentare in Africa, di cui questa guerra secondo
l’ONU costituisce fattore moltiplicativo. Ucraina e Russia sono due grandi esportatori
di grano, fertilizzante, oli vegetali: prodotti fondamentali per la sicurezza
alimentare di molti Paesi. Più in generale l’interruzione dei commerci,
l’aumento dei prezzi e gli effetti ambientali del conflitto hanno un impatto
negativo che già si percepisce. I morti lontani per fame paradossalmente
saranno molti di più dei morti vicini sotto i bombardamenti! Questa
guerra con epicentro Ucraina non ci riguarda dal punto di vista delle libertà e
dei diritti globali da difendere; e meno che mai ci riguarda una guerra
economica globale su chi deve fissare e gestire, a livello mondiale, le regole
finanziarie, commerciali e produttive capitalistiche. Tanto
più che dobbiamo fare mente locale sul fatto che hanno deciso di non imporre
sanzioni a Mosca i paesi che insieme alla Russia compongono il gruppo BRICS
(Brasile, India, Cina, Sudafrica). Ossia, il 41% della popolazione mondiale. I
paesi dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (OTSC)
Bielorussia, Kazakistan, Tagikistan, Armenia e Kirghizistan. Al pari di Azerbaigian, Moldavia e persino la
Georgia.
Diversi
sono anche i governi in America Latina come Messico, Argentina, Venezuela,
Guatemala, Colombia, Cuba, Nicaragua, Cile e Perù, che hanno deciso di non
seguire sul terreno delle sanzioni il blocco occidentale. Tutti
i paesi ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico) meno Singapore.
In Medio Oriente la Siria, Egitto,
Turchia, Iran, Iraq e due alleati di ferro degli USA come Emirati Arabi Uniti e
Arabia Saudita. Con loro il Pakistan. Abbiamo anche Serbia e Bosnia-Erzegovina.
Addirittura, l’Ungheria membro dell’Unione Europea. In Italia invece abbiamo come
presidente del Consiglio il candidato a segretario generale della NATO Mario
Draghi; e come ministro degli Esteri il buon Di Maio, incapace di difendere i
nostri interessi, invece capace solo, nel suo servilismo atlantico, di sparare verbalmente
al capo di Stato della Russia sulle orme del suo egemone Joe Biden. Ma
su questo terreno oltre agli interessi, valutati ad esempio da una destra
attenta ai portafogli, dobbiamo considerare anche i valori. La pace la dobbiamo
preparare e costruire attraverso mezzi di pace e non ricorrendo a forme
indiscriminate di violenza economica, spacciate come sostitutive della violenza
armata diretta. La conversione ecologica proponiamola come terreno di
cooperazione per una pace che deve avere come base la convergenza contro i veri
nemici dell’umanità: la disuguaglianza sociale, la catastrofe ambientale
incombente, le minacce del nazionalismo e del militarismo aggravate da una
“deterrenza” nucleare che rischia di saltare persino per caso e/o per errore. In
conclusione il nostro appello, care amiche ed amici lavoratori, è che la guerra
cessi subito in tutte le sue forme, inclusa quella economica, che il nostro
popolo, insieme agli altri popoli, non sia coinvolto, che si possa pensare solo
a vivere e a lottare in dignità per la dignità di tutti, come oggi con questo
sciopero; e che si possa insieme, tutti insieme, collaborare per “costruire la
pace”, con strumenti e percorsi di pace, altrimenti il precipizio verso il
peggio è già spalancato. Info: coordinamentodisarmisti@gmail.com, via Mario Pichi 1 Milano tel.
340-0736872