Laura
Tussi conversa con Raffaele Crocco. Tussi.
Raffaele Crocco, lei è giornalista Rai, documentarista e inviato televisivo e
molto altro ancora. Ha ideato e dirige l’Atlante delle guerre e dei conflitti
del mondo. Quale aspetto l’ha coinvolta di più in tutte queste attività ed esperienze? Crocco.
È davvero difficile scegliere, dare una priorità. In realtà, tutte le attività
sono un insieme coerente, almeno coerente per me. Io amo viaggiare, raccontare
storie ed ascoltarle, creare situazioni, mostre, oggetti. Mi piace fotografare.
A questo aggiungo la militanza, cioè il tentativo di vivere nel modo più vicino
possibile a come vedo e intendo il Mondo. Credo di aver sempre vissuto mettendo
insieme tutto questo, senza fare grandi distinzioni. T.
Lei conduce un’intensa produzione giornalistica e un attivismo molto sentito e
vero. Quali sono gli ideali che la ispirano maggiormente in questi ambiti di
azione nonviolenta? C.
Il mio avvicinarmi al mondo della non violenza è stato graduale ed è un cammino
ancora in corso. Io vengo da tempi ed esperienze politiche differenti, momenti
e fasi della storia di questo paese in cui la violenza in politica - direi la
militarizzazione della politica - era concepibile in chiave rivoluzionaria, di
necessità di cambiamento. È stato l’incontro e il lavoro assieme a personaggi
come Ernesto Balducci e Gino Strada e la lunga frequentazione della guerra a
convincermi che la strada da seguire è un’altra. Il mio, comunque, resta un
approccio molto “pratico” alla Pace, non ho la struttura, le conoscenze e la
forza di chi pratica la nonviolenza da sempre. La mia scelta di campo, da
questo punto di vista, è nell’affermazione dei diritti umani. È necessario
farli diventare quotidiano e individuale strumento di misura, solo così - credo
- riusciremo a far diventare la Pace il normale sistema di valori in cui
vivere.
T.
Gino Strada è stato un grande uomo di pace. Lei lo ha conosciuto e ha fondato
nel 2003 con lui il quotidiano Peacereporter. Quali sono i contenuti e i valori
più importanti che Gino Strada le ha trasmesso? C.
Gino era davvero un grande uomo di pace e anche lui - questa era una cosa che
condividevamo - era arrivato ad affermare il no alla guerra per le esperienze
avute sul campo. Era il nostro terreno comune, che si traduceva nel tentativo
di dare concretezza, solidità, alle idee sulla Pace. Come Atlante delle Guerre -
condiviso dal gruppo di Unimondo - da qualche tempo lavoriamo su uno slogan:
costruire la Pace non significa essere più buoni, significa diventare più
intelligenti. Ecco: con Gino avevamo in comune la convinzione dell’intelligenza
della Pace. T.
Ora Raffaele Crocco è anche il nostro direttore. Il direttore di Unimondo. Può
descrivere le sensazioni di questa, tra le tante, importante esperienza? C.
L’esperienza con Unimondo è davvero gratificante. Quando lo scorso anno mi è
stata proposta la direzione - alcuni mesi dopo la morte di Piergiorgio Cattani -
ho chiesto del tempo. Sapevo e so che si tratta di un impegno serio, che
richiede tempo e passione e mi chiedevo se sarebbe stato possibile reggere la
cosa mantenendo la direzione dell’Atlante, che dirigo e governo. Ora, a
distanza di un anno, devo dire che la scelta di assumere il timone della
testata è stata felicissima. Innanzitutto, perché il gruppo di lavoro è
formidabile. Davvero, senza retorica. A partire da Alessandro Graziadei, un
grande professionista, per arrivare a tutti coloro che collaborano, mi sono
trovato a contatto con persone umanamente disponibili e professionalmente
preparate. A questo, aggiungo il bel rapporto che ho con l’editore, che ha idee
innovative. Insomma, una esperienza bella e importante, umanamente e
professionalmente.
T.
Una sua presa di posizione consapevole sul Premio Nobel per la pace a Ican, Rete
internazionale per l’abolizione degli ordigni di distruzione di massa nucleari
e per il disarmo nucleare universale, di cui tutti noi ecopacifisti e
disarmisti siamo diretti testimoni e chiamati a rammentare il valore implicito
di questo Premio Nobel per la pace collettivo all’intera umanità ormai in
pericolo e al tracollo, in balia dei venti di guerra mondiali. C.
Più del Nobel per la pace a Ican, credo sarebbe il caso di fare una forte
riflessione sull’atteggiamento che il nostro Paese e la parte di Mondo che
consideriamo alleata ha rispetto alle armi nucleari. Dobbiamo ricordare che
l’Italia non è tra i firmatari del trattato TPNW, votato nel 2017 dall’Onu e
entrato in vigore lo scorso anno. Il trattato sancisce l’illegalità delle armi
nucleari e ne vieta l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la
fabbricazione, l’acquisizione, il possesso. Insomma, dice basta agli ordigni.
Lo hanno firmato 59 Paesi, ad oggi e non siamo fra questi. Credo che ora più
che mai, con la crisi Ucraina che infuria, dovremmo chiederci cosa significa
avere nel Mondo migliaia di ordigni nucleari pronti all’uso e cosa voglia dire
avere sul proprio territorio nazionale una ottantina.
T.
Ucraina: guerra e vanità. Il conflitto letto dall’Atlante. Può narrare
di questo suo nuovo libro e rilasciare una testimonianza di pace per tutti i
giovani del mondo e un pensiero a questa nostra martoriato umanità ‘sull’orlo
del baratro’? C.
Come per ogni guerra, quello che accade in Ucraina è complesso e semplice. È
facile, ad esempio, la lettura del momento: c’è un aggressore, che è Putin e ci
sono degli aggrediti, che sono i cittadini ucraini. Nulla al Mondo giustifica
un’aggressione militare e la comunità internazionale ha il dovere di proteggere
chi è stato aggredito. Ha il dovere si salvargli la pelle e questo significa
agire con le armi della politica, del diritto e dell’economia per fermare
l’aggressore. È semplicemente stupido e pericolosamente ipocrita pensare di
risolvere la guerra armando una delle parti. È come pensare di spegnere un
incendio usando la benzina. Più complesso è ragionare su come si potrà
costruire una pace vera, conoscendo gli antefatti, il ruolo avuto dagli attori
e, soprattutto, il, drammatico immobilismo che c’è stato per otto anni da parte
di tutti, anche da parte di chi oggi alza la voce e fa rullare i tamburi di
guerra. Parlo dell’Unione Europea e degli Stati Uniti, che potevano e dovevano
agire prima. Questa è la guerra delle vanità, perché tutti stanno usando l’Ucraina
come tavola da gioco, pensando che a vincere sarà chi si dimostra più forte e
potente. Intanto, i missili e le bombe uccidono migliaia di civili e la guerra
toglie il futuro ad un’intera generazione. Non è accettabile. Dovevamo agire
prima. Ora, che è tardi, dobbiamo agire sapendo che le scelte non saranno
indolore, che in questa lotta siamo coinvolti tutti. In modo non violento, ma
ci siamo dentro. Perché il pacifismo non è, come qualcuno in malafede racconta,
il mondo delle anime belle. No: è il mondo dell’azione, della costruzione
dell’alternativa e del confronto anche duro con la realtà. Essere pacifisti
significa essere moderni, contemporanei, assolutamente dentro il proprio tempo,
con consapevolezza, forza ed energia. Per queste ragioni il pacifismo fa paura.