Non
ho mai scritto niente su questa orrenda e stupida guerra, nonostante abbia
ricevuto alcune sollecitazioni a farlo. Forse una riflessione sulle ragioni di
questo mio rifiuto può essere di qualche utilità. Interrogandomi a fondo, stimolato
dallo sconforto del Tuo messaggio, mi sono reso conto che lo sconforto, che
condivido, è dovuto, a sua volta, a molteplici ragioni. La
prima ragioneè la partecipazione al dolore di una popolazione innocente martoriata e
bombardata senza alcun rispetto umano e senza alcuna ragione comprensibile. In
quei bambini, tristi e, pur talora sorridenti, come sono spesso i bambini anche
nelle più dure circostanze, mi sono rivisto bambino quando, a otto anni, venivo
portato nei rifugi a causa dei primi bombardamenti su Brescia. E pensare che sto
concludendo la mia troppo lunga vita nello stesso modo con cui l’ho
incominciata, con la guerra che bombarda le città, mi ha dato un senso di
vuoto, di inutilità di ogni cosa, anche se, per ora, i bambini nei rifugi non
sono ancora i miei nipotini. Ma, per favore, liberiamoci da giudizi superficiali
su interi popoli come fai anche tu quando, sulla base della tua esperienza di
lavoro, scrivi: “ammetto di aver maturato un giudizio non positivo su quel
popolo (ucraino) che non poteva che esprimere la classe dirigente che si
ritrova: corrotto, parassitario, mai produttivo e mai disponibile verso gli
altri”. Come sai, ho molto girato il mondo, anche in ambienti rurali, poveri,
di montagna, oltre che nelle grandi metropoli. Forse ho imparato poco, ma una
cosa l’ho certamente imparata: mai ragionare e giudicare per grandi masse, per
popoli, per città, per arti e mestieri, per razze. L’origine delle guerre è
proprio in questo approccio, che non può non essere fonte di grossolani
pregiudizi. Le donne ucraine, ad esempio, le abbiamo viste all’opera nelle
nostre città, come aiuto per la casa e come badanti. E le abbiamo viste, spesso,
come donne forti, brave, oneste, per bene, di grande utilità per tante nostre
famiglie, pronte a sacrificarsi per anni per mandare i risparmi del loro lavoro
in Ucraina per sostenere i vecchi genitori o gli studi dei giovani figli.
Lasciamo, dunque, a Putin e a quelli come lui, razzisti oltre che autentici fascisti,
questo modo di ragionare.
La
seconda ragionedello sconforto è osservare la “scomparsa della ragione”, come mi ha detto in
questi giorni un artista italiano, importante e intelligente disegnatore. La
ragione è scomparsa nei governanti (certamente in Putin e nella sua cerchia ma
anche in Biden e nei suoi) ma anche in tanta parte della classe dirigente a Est
ed a Ovest, e soprattutto negli operatori della comunicazione. Limitandomi
all’Italia, l’opinionismo è, come ha detto giustamente De Rita, la
malattia più grave e scoraggiante in questi giorni.Chiunque, pur che sia rigorosamente ignorante
di quello su cui è chiamato a discutere, si sente in dovere di sdottorare su
ogni cosa, iniettando nella nostra comunità già scossa ulteriore ignoranza,
veleni, confusione. Con questa mia nota non mi contraddico perché questa è solo
uno scambio di idee e sentimenti tra amici, una semplice ricerca del perché
della nostra infinita tristezza, senza pretesa di insegnare niente a nessuno.
Onestamente non pensavo che tanti commentatori politici italiani, sia
televisivi che della stampa, potessero cadere ad un livello così basso di
servilismo. Ora abbiamo preso le corrette misure di questo drammatico
imbarbarimento. Il re è veramente nudo. Importante è saperlo. Solo da
pochissimi giorni si colgono, non dagli “opinionisti” (se possibile, peggiori e
più asfissianti dei virologi) ma da alcuni fatti, barlumi di ritorno alla
ragione. Metto su questo piano il fatto che i conservatori inglesi di
quell’irresponsabile e pericolosissimo Boris Johnson hanno perduto, alla
grande, il controllo del quartiere di Westminster, dove ci sono il Parlamento,
Downing Street e My Fair, la loro storica roccaforte. “È un risultato epocale”
dice Tony Travers, docente di politica alla London School of Economics; segnale
che gli elettori inglesi incominciano a muoversi. Metto qui la importante e
lucidissima intervista che Carlo De Benedetti ha rilasciato al Corriere della
Sera (8 maggio 2022) dal titolo: “L’Europa non ha interesse a fare la guerra a
Putin. Non deve seguire Biden”. È quello che pensa la maggioranza degli europei
liberi e che non hanno perso la ragione. Ma è importante che lo dica finalmente
un imprenditore, già protagonista della vita economica. E che lo dica su un
giornale che, sino ad ora, si è, in gran parte, caratterizzato come puro
megafono e divulgatore del verbo di Biden, è ancora più importante. E ci è
voluto un autorevole generale, come il generale Marco Bertolini, per dire a
voce alta: il segretario generale della Nato, che è un’organizzazione
sovranazionale, non può parlare per conto dei singoli paesi e ancor meno può
parlare a nome dell’Ucraina, che non è parte della Nato. Bertolini ha detto.
“Smettiamolo di stare zitti. La Nato non può decidere per l’Ucraina”. Questa
presa di posizione chiara e onesta da uno del mestiere è un piccolo confortante
lampo di luce. Ma questa dignitosa risposta alla sgangherata dichiarazione del
segretario della Nato, Jens Stoltenberg (che aveva detto: non accetteremo mai
una rinuncia alla Crimea) non doveva essere pronunciata dal presidente della
Commissione UE o dal presidente del Parlamento Europeo o dal cancelliere
tedesco o dal presidente della Francia, o dal presidente del Consiglio italiano
o da tutti questi insieme? E non è proprio l’assenza di questa risposta
dell’Europa una delle maggiori cause dello sconforto? Un grande europeo,
filosofo, uomo di cultura, educatore, come Romano Guardini, nel 1962, in
occasione del conferimento del Praemium Erasmianum, in una relazione bellissima
dal titolo. “Europa, compito e destino” ha detto parole che vorrei scolpite
sulle rocce delle Alpi e degli Urali: “Quanto sia grande la potenza, si presenta alla coscienza massimamente là dove essa distrugge. Noi uomini d’oggi abbiamo vissuto l’avvenimento, in cui la possibilità di distruzione divenne pienamente patente, quando fu lanciata la bomba atomica ad Hiroshima. Avviene in realtà sempre nella storia che le nuove realtà siano dapprima quasi
amorfe, solamente presagite,
avvertite. Poi avviene qualcosa,
per cui ciò che prima era indeterminato prende forma, diventa esprimibile. Ciò è avvenuto con la bomba atomica. Il nostro quadro esistenziale è d’ora in avanti
quello dell’uomo, che dispone
di questa bomba e con essa può
in certa misura distruggere sé stesso, cosa che prima non si sarebbe potuta
pensare”.
“La
potenza è un fenomeno che ha scosso l’uomo antico. «Si danno molte cose
spaventevoli, ma nessuna più spaventevole
dell’uomo», dice il coro nell’Antigone di Sofocle. La potenza dell’uomo è
qualcosa di ben diverso dall’energia della
natura o dalle forze degli animali. Le energie
della natura possono essere enormi, ma esse corrono nella necessità assoluta
delle loro leggi e possono essere esattamente calcolate.La
forza degli animali è già diversa; non è determinabile matematicamente, perché è vita e gli atti vitali sorgono da un punto originario che alla fine non
è esprimibile razionalmente. Nell’uomo poi si aggiunge qualcosa di
completamente nuovo. La sua azione forse non è semplicemente più forte di quella delle energie
della natura - in generale
rimane addirittura al di sotto, persino quando è potenziata dagli strumenti della chimica,
fisica e tecnica
fino a prestazioni sempre più grandi. Ma nell’uomo la energia, la propria,
quella che prende dalla natura, entrano nel campo della libertà. E la libertà,
nonostante tutto ciò che pensa il determinismo meccanicistico, è pure appunto libertà, cioè sovranità di decisione.Credo di non giudicare ingiustamente,
se penso che il problema non sia stato
ancora visto in tutta la sua serietà, anzi
nemmeno affrontato. Ma chi è chiamato a porlo e ad avvicinarsi ad una soluzione?” “Non sembra che sia l’America,
come continente, quella a cui
è affidato questo compito. La storia di questa grande terra è ancora troppo breve per questo; essa è cominciata
insieme col sorgere della scienza e della tecnica moderna. Inoltre, il suo orientamento spirituale - se è permesso un giudizio
così generale - è ancora in
ampia misura legato troppo strettamente
alla fede in un progresso universale e sicuro”. “Neppure
l’Asia, credo, lo sarà. Certo la sua storia è antichissima, ma essa sembra
separarsi da questo passato e precipitarsi
sulle nuove possibilità con una sollecitudine di impressionante rapidità.Certamente
è prematuro parlare dell'Africa in questo contesto. Frattanto il suo incontro con scienza e tecnica
sembra piuttosto creare, nel
senso di una genuina cultura, confusione,
che portare promozione e avanzamento.Credo
che qui ci sia un compito che è affidato particolarmente all'Europa. Richiamiamoci al fatto che la sua storia, prolungata per
oltre tremila anni, conduce con un andamento ininterrotto fino al più recente sviluppo di scienza e tecnica. Essa
non ci si è gettata dentro con un salto, ma l'ha prodotta, e così ha avuto
anche il tempo per abituarvisi.Ma, di più e di maggiore
importanza: essa ha avuto
tempo per perdere le illusioni. Non sbaglio certo se penso che all'Europa
autentica è estraneo l'ottimismo assoluto, la fede nel progresso universale e necessario. I valori del
passato sono ancora in essa così viventi che le permettono di sentire che cosa sta in gioco. Essa ha già visto rovinare
tanto di irrecuperabile; è
stata colpevole di tante lunghe guerre omicide, da essere capace di sentire le
possibilità creatrici, ma anche il rischio, anzi la tragedia dell'umana esistenza. Nella sua coscienza c'è certamente la forma mitica di Prometeo, che porta via il fuoco dall'Olimpo,
ma anche quella di
Icaro, le cui ali non resistono alla vicinanza del sole e che precipita giù.
Conosce le irruzioni della conoscenza
e della conquista, ma in fondo non crede né a garanzie per il cammino della
storia, né a utopie sull’universale felicità del mondo. Essa ne sa troppo.Perciò io credo che il
compito affidato all'Europa - compito
il meno sensazionale di tutti, ma che nel profondo conduce all'essenziale - sia la critica della potenza.
Non critica negativa, né
paurosa né reazionaria; tuttavia, ad essa è affidata la cura per l'uomo, perché
essa ne ha provato la potenza
non come garanzia di sicuri trionfi, ma come destino che
rimane indeciso dove condurrà. L'Europa è vecchia. Prima sembrava che il carattere della vecchiaia fosse marcato più fortemente sul volto dell'Asia - una volta, quando ancora si parlava della
sua - intemporalità.
Oggi essa sembra rinnegare la sua vecchiaia e sorgere ad una nuova gioventù, certo grandiosa, ma anche
pericolosa. L'Europa ha
creato l'età moderna, ma ha tenuto
ferma la connessione col passato. Perciò sul suo volto, accanto ai tratti della creatività, sono segnati
quelli di una millenaria
esperienza. Il compito riservatole, io penso, non consiste nell'accrescere la potenza che viene
dalla scienza e dalla tecnica - benché naturalmente farà anche questo - ma nel domare questa potenza”.
L’Europa
di cui parla Guardini ancora non c’è, neppure oggi. Eppure, c’è oggi già molto
di più di quello che c’era al tempo di Guardini e ciò è di conforto. E la
speranza è che questa orrenda, stupida e feroce guerra, che è indubbiamente
guerra di Putin e del suo entourage, ma non solo sue, facendoci fare un salto
indietro di duecento anni, possa alla fine, portare a una forte accelerazione
verso un’Europa che sappia rispondere alla sfida alla quale la storia la
chiama. Tutta l’Europa, come l’avevano sognata De Gaulle e Don Sturzo,
un’Europa portatrice di civiltà e quindi di pace e non di potenza e quindi di
guerra.
La
terza ragionedello sconforto è vedere che si continua a giocare con la storia e con le
guerre del passato non per affermare: mai più queste infamie ma, piuttosto per
cercare alibi e giustificazioni, per ritornare indietro. Tu hai visto molto da vicino
le infamie americane della guerra irachena. Ma è questo un buon motivo perché
Putin o altri facciano lo stesso? Questa domanda si può riferire a tutte le
guerre americane degli ultimi decenni a partire dalla guerra del Vietnam, la
più infame di tutte come ci ricorda il celebre scatto del 1972 di Nick Con Gut della
bambina che fugge nuda dal bombardamento (proprio in questi giorni il fotografo, oggi
71 anni, e la bambina Kim Phūc, oggi 59 anni, sono a Milano per ricordare
quello scatto che contribuì a fermare la guerra, dato che Nixon stesso fu
impressionato e, per dirci, con dolce fermezza: mai più queste infamie). Allora
ricordiamo queste cose per non farle più o solo per dire: le hanno fatte anche
gli americani e quindi le può fare anche Putin? Negli ultimi mesi questo gioco alla
ricerca dell’alibi per l’irresponsabilità è stato fatto da molti. L’attacco
alla Libia è stato infame? Sì. La guerra in Afghanistan è stata infame? Sì. La
guerra in Iraq è stata infame? Sì. La guerra in Vietnam è stata infame? Sì.
Qualcuna di queste guerre è stata utile? No. Ed allora perché vogliamo rifare
simili guerre americane che non per nulla le hanno perse tutte, anche perché
erano guerre stupide? Nessuna di queste guerre o di altre dello stesso tipo può
essere utilizzata come alibi per giustificare altre simili infamità da parte di
Putin o da altri. Il mondo sta, con fatica, liberandosi dalla guerra come
necessità della società umana. L’aggressione all’Ucraina è una enorme infamità
senza se e senza ma. E come le altre guerre americane citate è un grande errore,
in questo caso, anche per la Russia, come Putin ha, forse, iniziato a capire,
come sembra da qualche piccolo segnale proprio nel suo discorso del 9 maggio. Non
illudiamoci. La soluzione sarà lunga e difficile, anche se le possibilità di un
onorevole compromesso appaiono chiare e possibili. Ma per andare in questa
direzione è necessario che l’Europa prenda le distanze dalla guerradell’America, dai perversi obiettivi della
Nato e dell’America e trovi una sua strada nella direzione indicata per
l’Europa da Romano Guardini nel 1962, ma ancora prima, per tutti, in due saggi
formidabili del 1950 e 1951: La Fine dell’EpocaModerna e Il Potere,
(Morcelliana, 1984), nei quali Guardini illustra che l’esplosione della potenza
tecnologica accompagna l’uomo in un’epoca nuova per la quale non c’è ancora un
nome ma nella quale il punto centrale sarà nell’imparare a gestire la potenza:
“Il problema centrale attorno a cui dovrà appoggiarsi il lavoro della
cultura futura e dalla cui selezione dipenderà non solo il benessere o la
miseria, ma la vita civile morale, è la potenza. Non il suo aumento ché questo
avviene da sé, ma la via di domarla e farne un retto uso”.
La
guerra in corso in Ucraina ci pone di fronte a questo dilemma assoluto con
grande chiarezza. Se le useremo in modo costruttivo e consapevole, le sofferenze
del popolo ucraino non saranno state vane e le armi americane, pur
indispensabili per far fallire l’anacronistica aggressione russa (come furono
fondamentali per la vittoria sovietica sui nazisti di Hitler) verranno riposte
nella auspicata prospettiva di un accordo generale di disarmo nel quadro di un
nuovo assetto internazionale che ponga al centro le grandi sfide cui le nuove
generazioni si trovano di fronte: fronteggiare le nuove pandemie, liberare
quelle parti del mondo che ancora ne soffrono da fame, sete e miseria, mutamenti
energetici, sovrappopolazione in certe zone e super-invecchiamenti in altre con
conseguenti immigrazioni.Per
fronteggiare tutte queste sfide sarà necessario un accordo generale per il
disarmo per indirizzare verso obiettivi di vita almeno parte delle enormi
risorse attualmente utilizzate per le armi e quindi per fini di morte. E se un
nuovo assetto di pace riuscirà a prendere corpo, non vi è dubbio non solo che
l’interesse dell’Europa non è quello di farsi trascinare nella guerra di Biden,
ma anzi di avere un rapporto collaborativo con la Russia che sopravviverà al
putinismo. Caro
Lino, ora che per rispondere alla tua nota del 2 maggio 2022, ho dovuto
riflettere a lungo, forse sono un po’ meno sconfortato. Ai pochi segnali
italiani di resilienza ne aggiungo uno dalla sfilata nella Piazza Rossa. Ad un
certo punto Putin è sceso per sfilare insieme alle mamme che avanzavano
portando le fotografie dei loro figli caduti in guerra. Esperti mi dicono che
non era mai successo prima. È un segnale piccolo piccolo, forse un imbroglio,
forse solo propaganda. Ma la disciplina dell’analisi aziendale ci ha insegnato
di prestare sempre attenzione ai segnali piccoli e prenderli, quando sono
positivi, come segnali di speranza senza farli affondare nello scetticismo. Per
l’Italia non so che dirti, se non augurare che, rapidamente si ripristini una
democrazia piena, rispettosa di tutta la nostra Costituzione, e con un
Parlamento che ritorni a fare il Parlamento. Il Parlamento, cuore della democrazia,
per quanto scassato e umiliato come il nostro, è sempre meglio di un banchiere
in pensione, che vuol fare il Putin de’ noantri. Un
abbraccio tra sgomenti. Marco [Milano,
10 maggio 2022]
Lino Cardarelli
*L’amico
è Lino Cardarelli (Parma 1934). È stato amministratore delegato del Gruppo
Montedison negli anni Ottanta. Poi ha rivestito responsabilità di vertice nel
Gruppo BNL, in Bankers Trust, in Legler e in altri grandi gruppi industriali. È
stato successivamente Segretario generale ad interim nella fase di costituzione
del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti dal 2001 al 2003, viene poi
chiamato ai vertici del Project Management Office, la struttura responsabile a
Baghdad dell’avvio del progetto di ricostruzione dell’Iraq, di cui coordina
anche la Task Force in Italia fino al 2010. È stato inoltre segretario generale
vicario dell’Unione per il Mediterraneo dal 2011 al 2014. Ha scritto
recentemente un libro intitolato: Dalla Montedison a Baghdad, Edizioni
Guerini e Associati.