In un momento già definito,
da più parti, storico, la Chiesa d’Inghilterra, nell’occasione della funzione tenuta all’inizio di
questo mese, domenica 8 maggio, ha manifestato il proprio pentimento ed
espresso le proprie scuse, per la prima volta in modo solenne e ufficiale, per i
provvedimenti anti-ebraici approvati esattamente ottocento anni fa,
provvedimenti che, nel corso del tempo e ponendo le basi per ulteriori misure
anti-ebraiche, hanno alla fine portato all’espulsione degli ebrei dal regno, in
un processo storico durato secoli. La funzione, presso la Cattedrale di Cristo a
Oxford, si è svolta con la partecipazione del rabbino capo di Gran Bretagna, Ephraim
Mirvis, e dei rappresentanti dell’arcivescovo di Canterbury. Il Sinodo di Oxford del
1222, esattamente ottocento anni fa, vietò infatti i rapporti tra ebrei e
cristiani, impose una decima agli ebrei e li costrinse ad indossare un segno di
identificazione. Gli ebrei furono successivamente banditi da alcune professioni
e fu impedita la costruzione di nuove sinagoghe. Di lì alla fine del XIII
secolo, ulteriori misure, via via introdotte, proibirono loro di possedere
terreni e di trasmettere l’eredità. Centinaia furono gli ebrei arrestati,
impiccati o imprigionati, fino a giungere all’espulsione di massa dei 3.000
ebrei dell’epoca dall’Inghilterra (1290). Ci sarebbero voluti 360 anni e più prima
che agli ebrei fosse permesso di tornare, venendo riammessi da Oliver Cromwell
nel 1656, nel contesto della rivoluzione inglese. L’editto di espulsione dei
3.000 ebrei d’Inghilterra fu promulgato da re Edoardo I nel 1290. Sebbene, come è stato ricordato, la Chiesa d’Inghilterra
non fu istituita fino al 1530 (dopo lo scisma che portò Enrico VIII alla
separazione dal Papa di Roma), è giusto che i cristiani riconoscano tali «azioni
vergognose», pur accadute secoli e secoli prima, e «ricostruiscano
positivamente» i rapporti con la comunità ebraica, come richiamato in una
dichiarazione di Jonathan Chaffey, arcidiacono di Oxford. «La nostra intenzione
è che la commemorazione sia un segnale forte, per un potenziale così ricco,
riflesso nella profondità dell’incontro interreligioso, che esiste sempre più a
Oxford e in tutta la società», è stato ribadito dalla Diocesi in una
dichiarazione prima dell’evento. Non solo la funzione «è un’opportunità per ricordare
e ricostruire», ma, in particolare, è utile per ispirare i cristiani di oggi «a rifiutare le forme contemporanee di antisemitismo». Qui, la storia incontra
l’attualità e l’evento incrocia uno dei nodi dell’Europa di oggi. Un documento della chiesa pubblicato nel 2019, dal
titolo “La parola infallibile di Dio”, ha delineato per la prima volta in modo
netto l’importanza del rapporto ebraico-cristiano, riconoscendo, elemento
storico e politico di notevole importanza, che secoli di antisemitismo
cristiano in Europa hanno contribuito, tra altri fattori e circostanze, a
gettare le basi per la Shoah. Il documento afferma inoltre che gli
atteggiamenti cristiani nei confronti dell’ebraismo, nel corso dei secoli, hanno
fornito anche un «fertile brodo di coltura per l’antisemitismo». Non solo si
tratta di riconoscere tali “responsabilità del passato”, ma soprattutto di impegnarsi
a sfidare atteggiamenti e stereotipi antiebraici. Sullo sfondo, ovviamente, vi
sono anche questioni di relazioni e, perfino, teologiche tra cristiani ed
ebrei.
Tony Kushner, docente alla
Southampton University, ha ricordato che «questo è il passo più difficile per
la chiesa. Accettare che la diffamazione del sangue, i massacri e le espulsioni
fossero sbagliati è semplice... accettare che l’ebraismo custodisca un’intrinseca
validità religiosa è più impegnativo». Le scuse per il Sinodo di Oxford
sembrano riflettere oggi «preoccupazioni per l’antisemitismo contemporaneo» e rientrano
in una più ampia rivalutazione circa le ideologie e i fenomeni della storia, tra
i più tragici, inclusa la schiavitù. Del resto, l’incremento e la diffusione dell’antisemitismo nelle società contemporanee
costituiscono una sfida che le società europee sono chiamate ad affrontare. È
stato registrato in diversi rapporti l’aumento di incidenti razzisti e
antisemiti nella UE, nonché l’esacerbazione dei crimini di odio di carattere
razzista e antisemita e della negazione della Shoah, in particolare, ma non
solo, nel contesto degli eventi legati alla diffusione della pandemia. Anche una “riduzione della
tensione” circa la memoria dell’antifascismo e la lotta contro fascismo e
nazismo in Europa sono fattori che concorrono alla diffusione
dell’antisemitismo e all’erosione del tessuto democratico. Il voto alle Nazioni
Unite di Stati Uniti e Ucraina contro la risoluzione di condanna della glorificazione del
nazismo
(novembre 2020) e la risoluzione del Parlamento Europeo (dal titolo, generico e
fuorviante, “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”) che
sostanzialmente equipara nazismo e comunismo (settembre 2019) sono,
sul piano istituzionale, eventi, in tal senso, assai cupi e preoccupanti. Una recente indagine (ottobre 2021), intitolata “Antisemitic Prejudices in
Europe”, pubblicata da Ipsos, ha riscontrato che può esistere una scarsa
correlazione tra atteggiamenti antisemiti e attacchi diretti contro gli ebrei, alla
luce dei dati che prendono a riferimento una platea diffusa in 16 Paesi del
Vecchio Continente. Qui, l’affermazione per cui «sarebbe meglio se gli ebrei
lasciassero il Paese» è sostenuta dal 24% degli intervistati in Polonia, dal 23%
in Grecia e dal 21% in Ungheria. Non solo, in Grecia, Ungheria e Romania oltre
il 20% degli intervistati ritiene che «il numero di ebrei vittime della Shoah
sia molto più basso di quello che viene normalmente ricordato». Ancora, quasi un terzo
degli intervistati in Austria, Ungheria e Polonia ha affermato che gli ebrei
non saranno mai in grado di «integrarsi appieno» nella società. In Spagna, il
35% ha affermato che gli israeliani si comportano «come nazisti» nei confronti
dei palestinesi; nei Paesi Bassi il 29%; in Svezia il 26%. Sono segnali della
diffusione di immagini e stereotipi che alimentano pregiudizi e ostilità. Altre
indagini confermano, non senza preoccupazione, l’aumento di casi ed episodi di
razzismo, intolleranza, xenofobia. Alla luce
di tutto ciò, sempre più essenziale diventa allora il nesso, tanto più oggi e
in Europa, tra costruzione di società pluralistiche e inclusive, difesa della
memoria e dei valori democratici e sociali, tutela dei
diritti e della democrazia.