QUAL È IL SENSO?
di
Lorenzo Buggio
È
secondo
me fondamentale soprattutto in un periodo come questo fare attenzione a
comprendere bene le parole che usiamo e che ascoltiamo.
A
mio parere, infatti, spesso le parole vengono usate senza mai comprendere
appieno che cosa significhino veramente. Dobbiamo difatti ricordarci che il
nostro linguaggio, più precisamente le parole che usiamo con così tanta
facilità, non hanno un significato arbitrario, ma sono sempre simboli di un
qualcosa. Per spiegare meglio che cosa intenda voglio rifarmi ad una
teorizzazione fatta da Jacques Lacan, uno psicanalista del secolo scorso. Egli,
nel suo discorso sul linguaggio umano, pone una differenza fondamentale tra
“significante” e “significato”; sinteticamente è possibile dire che il significante è un segno qualsiasi,
non avente quindi un senso proprio, che prende significato solo nella relazione
con altri significanti.
In altre parole, esso è
quindi un simbolo il cui significato è comprensibile solo nella relazione con
altri simboli. È possibile affermare che per Lacan il luogo più simbolico, presente
nell’esperienza di vita di un soggetto, sia il linguaggio. Difatti, come ci
sottolinea anche Katherine Nelson: “Sono le persone e non le parole che si
riferiscono a questo o a quello”.
Per
poter comprendere meglio questo elemento ci basti pensare ad un bambino che ha
appena imparato a parlare, esso dovrà comprendere che quando utilizza, ad
esempio, la parola “cane” egli non si sta riferendo solo al proprio cane, che
ha delle caratteristiche specifiche, ma che in realtà si sta riferendo
all’elemento simbolico “cane” che pur possedendo delle caratteristiche che lo
differenziano da qualsiasi altro animale possiede allo stesso tempo però degli
elementi che cambiano di volta in volta.
Dobbiamo,
quindi comprendere che anche se per noi una determinata parola possiede precisi
significati, essa in realtà potrebbe modificare il proprio significato a causa
del passare degli anni o per il presentarsi di differenti eventi storici. Ci
basti pensare a parole come: nemico, eroismo, giusto, sbagliato e fratellanza. Queste
stesse parole in base, ad esempio, al nostro gruppo culturale di appartenenza,
alla nostra età o al contesto storico, possono assumere declinazioni fortemente
differenti.
Vorrei
ora concentrarmi in particolare su due di queste parole.
La
prima è eroismo.
Rispetto
a questa parola mi viene in mente la frase che Juan Alberto Belloch scrive
nella sua introduzione al libro di Gervasio Sanchez Fernández intitolato: Sarajevo
1992-2008: “Alla fine, sull’eroismo, sulla volontà di resistere di un
popolo, resta una verità che opprime l’anima: Una fossa immensa.”
Riporto
questa frase perché vedo in essa la capacità di rappresentare perfettamente il possibile
cambiamento di significato associato ad una parola.
Ovvero,
l’eroismo è fin dall’antica una tematica fortemente presente all’interno delle
differenti ideologie che sono insorte nel mondo durante la sua esistenza.
Non
mi sembra quindi di sbagliare nell’affermare che seppur tale parola abbia
sempre presentando delle caratteristiche simili, abbia però invece assunto dei
connotati differenti, ad esempio, nell’ideologia eroica greca oppure in quella
che ci viene riportata oggi tristemente dai giornali in tutte le loro forme.
Uno
degli elementi comuni è però, esattamente come presenta Belloch, che una volta
terminata la guerra, se di fine si può parlare, tutta la potenza di questo
eroismo, ovvero tutto il suo potere simbolico, sembra scemare lasciando le
persone di fronte ad un vuoto riempito solamente da: “(...) una fossa
immensa.”
Cimitero ebraico di Sarajevo (2022)
La
seconda parola è invece fratellanza.
Di recente ho avuto la possibilità di
compiere un viaggio a Sarajevo e di incontrare diverse persone che nella loro
singolarità mi hanno concesso di affrontare differenti tematiche estremamente
importanti all’interno di un mondo e di una società come quella moderna.
Tra questi incontri quello con Zilka
Spahic-Siljak,
una teologa musulmana e professoressa del dipartimento interdisciplinare e
transculturale all'università di Sarajevo, mi ha permesso di accedere ad un
nuovo modo di leggere la parola fratellanza, tematica che in una
multiculturalità come quella bosniaca è sicuramente centrale.
A riguardo di questa multiculturalità
Zilka diceva che sempre di più ci si sta dividendo a partire da una spinta alla
relativizzazione che si presenta maggiormente nelle nuove generazioni. Questo
comportamento, per Zilka, non solo è da pigri, ma rende anche più facile
manipolare queste generazioni, ciò in realtà era già stato abilmente descritto
dai romani, i quali appunto affermavano: “Dividi et impera”, ovvero
dividi e comanda. Con questa affermazione ciò che si vuole sottolineare è che la
divisione ovvero la discordia dei popoli è sempre utile a chi vuole dominarli.
Difatti, come sottolineato anche da Zilka,
è solo a partire da delle relazioni, che tengano anche conto delle differenze che si può
maturare una fiducia reciproca atta ad evitare la scontro.
Concludendo
credo quindi che mai come oggi siamo chiamati da una parte a stare attenti al
significato che hanno preso alcune parole che da sempre ci accompagnano;
dall’altra a ricordarci, oserei dire quotidianamente, la scoperta fatta da Don
Camillo, insieme al suo amico Peppone, una volta giunto in quella Russia che
tanto gli sembrava ostile, ovvero che i bambini piangono tutti nello stesso
modo.
Cimitero ebraico di Sarajevo (2022) |