L’ARMA SBIADITA DI QUESTI REFERENDUM Guido
Salvini*
Non
sono contrario all’istituto del referendum ma nemmeno un entusiasta sostenitore di quelli sulla giustizia per cui
andremo a votare il 12 giugno. Un
referendum dovrebbe porre ai cittadini un quesito che comporta una risposta
semplice, un sì o un no, con conseguenze chiare della vittoria dell’uno o dell’altro.
I referendum dovrebbero riguardare soprattutto temi civili e diritti di libertà
di cui ciascuno ha avuto in qualche modo esperienza e sui quali può esprimere
una scelta consapevole, anche indipendente dal suo schieramento politico. L’esempio
che tutti ricordiamo è quello del referendum sul divorzio per il quale andò a
votare, con convinzione, in un senso o nell’altro, la grande maggioranza dei
cittadini. L’unico
nell’ultimo gruppo di referendum che aveva questo carattere era quello sul fine
vita e sul suicidio assistito, purtroppo e con una certa ipocrisia, dichiarato
inammissibile dalla Corte Costituzionale. I
referendum di oggi propongono quesiti complicati, con l’abrogazione di leggi o
pezzi di leggi, difficili da capire nelle loro conseguenze anche per gli
addetti ai lavori, toccano questioni che possono essere oggetto solo di
elaborazioni e mediazioni legislative, anch’esse non semplici. E alla fine i
quesiti non toccano il cuore degli elettori, non sono in grado di coinvolgerli. I
referendum sulla giustizia del resto erano partiti male, frutto di una innaturale
alleanza tra i Radicali e alcune associazioni di avvocati e la Lega, un partito
quest’ultimo garantista o giustizialista a corrente alternata in base ai suoi
interessi politici immediati. Il principale effetto positivo che si può
riconoscere all’iniziativa referendaria è quello propulsivo, richiamare l’attenzione
e accelerare, come è avvenuto, la discussione in Parlamento delle leggi in
materia di riforma della giustizia. Infatti alcuni dei temi oggetto dei quesiti
sono stati di fatto già superati dalla riforma del ministro Cartabia sulla
giustizia vicina all’approvazione definitiva. Mi riferisco alla separazione
delle funzioni tra giudici e Pubblici Ministeri, alla possibilità di intervento
dell’avvocatura nelle valutazioni sui magistrati e al meccanismo elettorale del
CSM, ove pure, anche se in modo a dir poco timido, la recente riforma è
intervenuta rendendo inutile il quesito posto dal relativo referendum.
Un
altro referendum, se vincessero i sì, avrebbe effetti abbastanza rischiosi che
il comune lettore non è certo in grado di calcolare. Si tratta di quello che
propone, con l’abrogazione di buona parte dell’art. 274 lettera c) Codice di
procedura penale, la netta riduzione delle ipotesi in cui sarebbe possibile
applicare durante le indagini una misura cautelare. Tuttavia, per come è posto
il quesito, nel caso fosse raggiunto il quorum e vincessero i sì, diverrebbe
impossibile applicare la misura del carcere anche ad esempio nel caso di
spaccio ripetuto di considerevoli quantità di sostanze stupefacenti e nel caso
di rischio di ripetizione di altri gravi reati e inoltre applicare altre
misure, come il divieto di avvicinamento alla vittima, nel caso di reati contro
le donne e in generale contro i soggetti deboli. Sarebbe un effetto che
andrebbe ben oltre quello che gli stessi sostenitori del sì desiderano e
immaginano come conseguenza della loro scelta e comporterebbe in tempi rapidi
un intervento di aggiustamento da parte del Parlamento. Difficilmente
accadrà perché con ogni probabilità il 12 giugno il quorum non sarà raggiunto.
Ma per evitare la disaffezione allo strumento del referendum che comunque è in
grado su temi importanti di dare voce ai cittadini si potrebbe pensare in
prospettiva ad un istituto del referendum concepito in modo diverso rispetto a
quello previsto dalla Costituzione. Non un referendum abrogativo di una legge o
di una parte di una legge, operazioni che richiedono l’intervento del
legislatore e di esperti, ma un referendum in sostanza consultivo in cui si
chiede ai cittadini di esprimere la loro posizione e le loro aspettative in
merito ad un determinato tema con una domanda semplice, senza coinvolgerli
nella modifica dello strumento tecnico. Ad esempio “Volete che le carriere dei
giudici e dei Pubblici Ministeri siano separate?” oppure “Volete che il
cittadino possa essere assistito quando decida, per malattia o altre gravi
ragioni, di porre fine alla sua vita?”. Spetterebbe
poi al Governo e al Parlamento con un adeguato studio e un intervento
legislativo dare una risposta soddisfacente a quanto espresso dagli elettori. Sarebbe
uno strumento di “democrazia partecipativa”, sul modello della polis ateniese,
di cui si sente il bisogno e che esiste già in alcuni paesi quali la Svizzera, la
Danimarca, Taiwan, la California e altri Stati degli USA,
ove, quando
si pone mano ad un progetto di legge o anche ad un atto amministrativo importante
viene spesso indetto un referendum consultivo o propositivo tra tutti i
cittadini interessati. Il
12 giugno andrò certamente a votare come ho sempre fatto, ma senza entusiasmo,
per dovere civico, ma capisco anche perché, queste sono le previsioni, la
grande maggioranza dei cittadini non lo farà. *magistrato