Pagine

sabato 18 giugno 2022

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada

 
Le figure retoriche.


Questa riflessione riguarda una buona parte delle parole attinenti alle figure retoriche, il cui significato è necessariamente divenuto. Pertanto, il mio intento è cogliere il significato dell’etimo, per favorire l’approccio alla comprensione delle varie figure, per la cui acquisizione sono meglio deputati i testi scolastici.
La parola metafora è di origine greca ed è calco di (metaforà) μεταφορά: trasporto, mutazione (da cui anche: fase lunare), metafora, senso traslato. Si tratta di un lemma dedotto da (fero) φέρω: porto, che indicò inizialmente il portare in grembo. Poi, con (metà) μετά: dopo, dietro ecc., che, qui, è anche omologo di post dei latini, in quanto indica il proiettarsi in avanti del grembo, che, quindi muta, il pastore greco coglie questo: nella crescita del grembo, c’è un mutamento di posizione (fase lunare), quindi una mutazione e un cambiamento del messaggio e del significato. La parola traslato, di origine latina, corrisponde a metafora e fu dedotta dalla radice greca (lath) λαθ, che aveva dato luogo, inizialmente, a (lanthano) λανθάνω: nascondo.
I latini fecero largo uso di questa radice, cui attribuirono il significato assegnato dai greci, coniando lateo, ma se ne avvalsero per formare il supino latum di fero, deducendo tanti verbi, tra i quali: transfero/traslatum: trasporto, trasferisco, traduco, alla lettera: transduco. Cicerone utilizzò verba traslata: parole traslate, in senso figurato e/o metaforico.



Con (onoma onomatos) νομα νοματος, i greci vollero indicare nome, mentre con metonimia indicarono: scambio di nome; poi, da metonimia dedussero l’aggettivo metonimico. Quindi, da (antonomazo) ντονομάζω: chiamo con un nome diverso (inconfondibile) ricavarono antonomasia, per cui da Achille si ebbe il Pelide.
Da (par-onymeo) παρ-ωνυμέω: derivo il nome da, significo lo stesso di, ho nome corrispondente fu dedotta: (paronymia/paronomasia) παρ-ωνυμία/ παρ-ονομασία: somiglianza di nome, derivazione da altro nome. Dal verbo composto (onomatopoieo) νοματο-ποιέω: creo parole, formo parole imitando un suono naturale fu dedotta: onomatopea.
Quindi, per indicare che le parole (discorso) suonano in un modo, ma significano altro, coniarono allegoria. Con anacoluto, che indica: “senza seguito”, si indicò un modo di dire come: io, speriamo che me la cavi.
Per indicare parola ripetuta fu coniata: anadiplosi, in latino: duplicatio. Per indicare sovrabbondanza, in questo caso, di parole, fu elaborato pleonasmo, che, inizialmente, indicò: già pieno. Da analogo, nel senso di somigliante, corrispondente, equivalente fu dedotta analogia, volendo indicare: somiglianza, corrispondenza, comparazione, paragone.
La parola anafora, nel senso di figura retorica, acquista non tanto il significato di elevazione (il portare in alto), quanto quello di ripetizione (il tornare a portare).
Chiasmo è figura retorica definita da Treccani: “Consistente nell’accostamento di due membri concettualmente paralleli, in modo però che i termini del secondo siano disposti nell’ordine inverso a quelli del primo, così da interrompere il parallelismo sintattico, es.: io solo Combatterò, procomberò sol io (Leopardi)”. Questa parola fu ricalcata da χιάζω: segno con due linee incrociate a forma di χ e da χιασμός: incrocio.
 Con la parola anastrofe si intese capovolgimento (sintattico). Piace ricordare che (strofè) στροφή significa: rivolgimento, evoluzioni del coro, canto eseguito durante tali evoluzioni.
La parola apostrofe è un deverbale di (apostrefo) πο-στρέφω: volgo indietro, volgo in senso contrario, mi volgo indietro con le spalle, detesto, sono ostile, disprezzo. Inoltre, l’apostrofo come caduta fu dedotto da altri significati di πο-στρέφω: storno, volgo altrove, devio.
Da (antifrazo) ντι-φραζω: esprimo per antitesi o per negazione fu dedotta antifrasi.
Da (prosopo-poiòs) προσωπο-ποιός: fabbricatore di maschere i greci dedussero prosopopea, nel senso di drammatizzazione, personificazione.
Da (clima climatos) χλίμα χλίματος: inclinazione, pendio, zona geografica, direzione, punto cardinale, i greci dedussero climax con il significato di scala e, quindi, di crescita (crescendo di parole) e di decrescita.
Da (yper-ballo) περ-βάλλω: scaglio al di là, supero, sorpasso i greci derivarono: iperbole, con il significato di: esagerazione, amplificazione, eccesso, senza misura, e iperbolico.
Dall’aggettivo composto: (omoio-teleutos) όμοιο-τέλεύτος: con uguale terminazione, con uguale desinenza, con rima fu ricavato: omoteleuto.



I greci a (dechomai) δέχομαι, la cui radice δεχ significa dal passare il mancare ad indicare sia l’inseminazione sia la nascita, assegnarono i seguenti significati: prendo, ricevo, da cui dedussero: (ekdechomai) κ-δέχομαι: seguo, vengo dietro, capisco, comprendo (che è ciò che fa il pastore durante la gravidanza), attendo, aspetto; poi, fu dedotto: (sunekdechomai) συν-κ-δέχομαι: accolgo, prendo su di me, afferro insieme, comprendo più cose insieme; con quest’ultimo significato, il pastore volle indicare che la lettura delle singole parti del processo di formazione dell’essere consentiva a lui anche una visione dell’insieme (e viceversa); quindi, fu dedotto il deverbale sineddoche, il cui significato si comprende meglio dall’avverbio: (synekdochikos) συν-εκδοχικς: implicitamente. Infatti, il Treccani, per definire sineddoche, così si esprime: “… Figura della retorica tradizionale, che consiste nel trasferimento di significato da una parola a un’altra in base a una relazione di contiguità intesa come maggiore o minore estensione, usando per es. il nome della parte per quello del tutto o viceversa ecc.”
Dall’unione degli aggettivi (oxys) ξύς: acuto, aguzzo, penetrante, perspicace e (moròs) μωρός: sciocco, semplice (nel senso di semplicione), stolto, insensato, che è colui che nel processo formativo dell’essere dice una castroneria, fu formato l’aggettivo composto: (oxymoros) ξύ-μωρος: acutamente folle, ingegnosa unione di concetti contrari, ossimoro, da cui l’espressione molto perspicace: “le convergenze parallele di Aldo Moro.
Da (aisthanomai) ασθάνομαι: sento, percepisco, che rimanda a cosa fa il pastore per accorgersi dell’incipiente gravidanza, fu dedotto (syn-aisthanomai) συν-ασθάνομαι: sento insieme, comprendo insieme, ho comune la sensazione, ad indicare che più sensi consentono di accertarsi dell’ingravidamento. Quindi fu dedotta: (syn-aisthesis) συν-αίσθησις: sensazione, percezione simultanea. Oggi, nella lingua italiana, abbiamo sinestesia, per indicare: … voci di tenebra azzurra… del Pascoli o: … l’urlo nero della madre che andava incontro al figlio … di Quasimodo.



Dall’aggettivo (litòs) λιτός: semplice, alla buona, fu dedotta: (litotés) λιτοτής: semplicità, attenuazione, che individua una frase come questa del Manzoni: “Non era nato con un cuor di leone “.
Da (zeugnymi) ζεύγνυμι: aggiogo, attacco, unisco fu dedotto il deverbale (zeugma) ζεγμα: giogo, vincolo, legame. Con zeugma si indica, ad esempio, questa espressione dantesca: “Parlare e lagrimar vedraimi insieme”.
Con solecismo, dedotto da (soloicos) σόλοικος: che parla male, in modo sgrammaticato, si indica un errore grammaticale, sintattico o di significato.
Dal verbo (eiro) ερω, che, tra le tante accezioni, significa: dico, annuncio, furono dedotti: (eiron eironos) ερων ερωνος: dissimulatore, (eironeia) ερωνεία: dissimulazione, finzione, ironia socratica, quindi: ironizzo, nel senso di: simulo, dissimulo, fingo ignoranza e ironico.
Da (sarx sarkòs) σάρξ σαρκός: pezzo di carne tagliato fu dedotto (sarkàzo) σαρκάζω: lacero le carni, mordo le labbra per l’ira, sogghigno, quindi: sarcasmo, come amara e violenta ironia. In queste due ultime parole, come in tante altre, il significato originario non è molto corrispondente a quello dell’uso; tuttavia, si riscontrano i semi del loro divenire. Con ironico il pastore greco fece riferimento a chi dicendo simula, mentre, oggi, abbiamo aggiunto in chi è ironico uno stato d’animo rasserenato, di chi è capace di sorridere delle manchevolezze dell’interlocutore e/o di sé stesso (autoironia). Il mordersi le labbra del sarcastico indica un’irritazione violenta, un malanimo, a stento frenati, che si manifesta anche con caustico livore. Pertanto, se la poesia presuppone uno stato d’animo rasserenato, il sarcasmo esclude un sentimento poetico.