Questa riflessione riguarda una buona parte delle parole attinenti alle
figure retoriche, il cui significato è necessariamente divenuto. Pertanto, il
mio intento è cogliere il significato dell’etimo, per favorire l’approccio alla
comprensione delle varie figure, per la cui acquisizione sono meglio deputati i
testi scolastici. La parola metafora
è di origine greca ed è calco di (metaforà) μεταφορά: trasporto, mutazione (da cui anche: fase lunare), metafora,
senso traslato. Si tratta di un lemma dedotto da (fero) φέρω: porto, che indicò inizialmente il portare in grembo. Poi,
con (metà) μετά: dopo, dietro ecc., che, qui, è anche
omologo di post dei latini, in quanto indica il proiettarsi in avanti
del grembo, che, quindi muta, il pastore greco coglie questo: nella crescita
del grembo, c’è un mutamento di posizione (fase lunare), quindi una
mutazione e un cambiamento del messaggio e del significato. La
parola traslato, di origine latina,corrisponde a metafora e
fu dedotta dalla radice greca (lath) λαθ, che aveva
dato luogo, inizialmente, a (lanthano) λανθάνω: nascondo. I latini
fecero largo uso di questa radice, cui attribuirono il significato assegnato
dai greci, coniando lateo, ma se ne avvalsero per formare il supino latum
di fero, deducendo tanti verbi, tra i quali: transfero/traslatum:
trasporto, trasferisco, traduco, alla lettera: transduco.
Cicerone utilizzò verba traslata: parole traslate, in senso
figurato e/o metaforico.
Con (onoma onomatos)
ὄνομαὄνοματος, i greci vollero indicare nome, mentre con metonimia
indicarono: scambio di nome; poi, da metonimia dedussero
l’aggettivo metonimico. Quindi, da (antonomazo) ἀντονομάζω: chiamo con
un nome diverso (inconfondibile) ricavarono antonomasia, per cui da
Achille si ebbe il Pelide. Da (par-onymeo)
παρ-ωνυμέω: derivo il nome da, significo lo stesso
di, ho nome corrispondente fu dedotta: (paronymia/paronomasia) παρ-ωνυμία/ παρ-ονομασία: somiglianza di nome, derivazione da altro nome. Dal verbo
composto (onomatopoieo) ὀνοματο-ποιέω: creo parole, formo parole imitando un
suono naturale fu dedotta: onomatopea. Quindi, per
indicare che le parole (discorso) suonano in un modo, ma significano altro,
coniarono allegoria. Con anacoluto, che indica: “senza seguito”,
si indicò un modo di dire come: io, speriamo che me la cavi. Per indicare parola
ripetuta fu coniata: anadiplosi, in latino: duplicatio. Per indicare
sovrabbondanza, in questo caso, di parole, fu elaborato pleonasmo,
che, inizialmente, indicò: già pieno. Da analogo, nel senso di somigliante,
corrispondente, equivalente fu dedotta analogia, volendo
indicare: somiglianza, corrispondenza, comparazione, paragone. La parola anafora,
nel senso di figura retorica, acquista non tanto il significato di elevazione
(il portare in alto),
quanto quello di ripetizione (il tornare a portare). Chiasmo è figura
retorica definita da Treccani: “Consistente nell’accostamento di due membri
concettualmente paralleli, in modo però che i termini del secondo siano
disposti nell’ordine inverso a quelli del primo, così da interrompere il
parallelismo sintattico, es.: io solo Combatterò, procomberò
sol io (Leopardi)”. Questa parola fu ricalcata da χιάζω: segno con due linee incrociate a forma di χe da χιασμός: incrocio. Con la parola anastrofe si intese capovolgimento
(sintattico). Piace ricordare che (strofè) στροφήsignifica: rivolgimento,
evoluzioni del coro, canto eseguito durante tali evoluzioni. La parola apostrofe
è un deverbale di (apostrefo) ἀπο-στρέφω: volgo
indietro, volgo in senso contrario, mi volgo indietro con le
spalle, detesto, sono ostile, disprezzo. Inoltre,
l’apostrofo come caduta fu dedotto da altri significati di ἀπο-στρέφω: storno, volgo altrove, devio. Da
(antifrazo) ἀντι-φραζω: esprimo per antitesi o per negazione fu dedotta antifrasi. Da (prosopo-poiòs)
προσωπο-ποιός: fabbricatore di maschere i greci dedussero prosopopea,
nel senso di drammatizzazione, personificazione. Da (clima climatos)
χλίμαχλίματος: inclinazione, pendio, zona
geografica, direzione, punto cardinale, i greci dedussero climax
con il significato di scala e, quindi, di crescita (crescendo di
parole) e di decrescita. Da (yper-ballo)
ὑπερ-βάλλω: scaglio al di là, supero, sorpasso i greci
derivarono: iperbole, con il significato di: esagerazione, amplificazione,
eccesso, senza misura, e iperbolico. Dall’aggettivo
composto: (omoio-teleutos) όμοιο-τέλεύτος: con uguale terminazione, con uguale desinenza, con
rima fu ricavato: omoteleuto.
I greci a (dechomai) δέχομαι, la cui radice δεχsignifica dal
passare il mancare ad indicare sia l’inseminazione sia la nascita, assegnarono
i seguenti significati: prendo, ricevo, da cui dedussero: (ekdechomai)
ἐκ-δέχομαι: seguo, vengo dietro, capisco, comprendo (che
è ciò che fa il pastore durante la gravidanza), attendo, aspetto;
poi, fu dedotto: (sunekdechomai) συν-ἐκ-δέχομαι: accolgo,
prendo su di me, afferro insieme, comprendo più cose insieme;
con quest’ultimo significato,il pastore volle indicare che la lettura
delle singole parti del processo di formazione dell’essere consentiva a lui anche
una visione dell’insieme (e viceversa); quindi, fu dedotto il deverbale sineddoche,
il cui significato si comprende meglio dall’avverbio: (synekdochikos) συν-εκδοχικῶς: implicitamente. Infatti, il Treccani, per
definire sineddoche, così si esprime: “… Figuradella retorica
tradizionale, che consiste nel trasferimento di significato da una
parola a un’altra in base a una relazione di contiguità intesa come maggiore o
minore estensione, usando per es. il nome della parte per quello del tutto o
viceversa ecc.” Dall’unione
degli aggettivi (oxys) ὀξύς: acuto, aguzzo, penetrante, perspicace e (moròs)
μωρός: sciocco, semplice (nel senso di semplicione), stolto,
insensato, che è colui che nel processo formativo dell’essere dice una
castroneria, fu formato l’aggettivo composto: (oxymoros) ὀξύ-μωρος: acutamente folle, ingegnosa unione di concetti contrari, ossimoro,
da cui l’espressione molto perspicace: “le convergenze parallele”di
Aldo Moro. Da (aisthanomai)
αἰσθάνομαι: sento, percepisco, che rimanda a cosa fa il pastore per
accorgersi dell’incipiente gravidanza, fu dedotto (syn-aisthanomai) συν-αἰσθάνομαι: sento insieme, comprendo insieme, ho comune la
sensazione, ad indicare che più sensi consentono di accertarsi dell’ingravidamento.
Quindi fu dedotta: (syn-aisthesis) συν-αίσθησις: sensazione, percezione simultanea. Oggi, nella lingua
italiana, abbiamo sinestesia, per indicare: … voci di tenebra azzurra…
del Pascolio: … l’urlo nero della madre che andava incontro al figlio
… di Quasimodo.
Dall’aggettivo
(litòs) λιτός: semplice, alla buona, fu dedotta:
(litotés) λιτοτής: semplicità, attenuazione, che
individua una frase come questa del Manzoni: “Non era nato con un cuor di leone
“. Da (zeugnymi)
ζεύγνυμι: aggiogo, attacco, unisco fu dedotto il deverbale (zeugma)
ζεῦγμα: giogo, vincolo, legame. Con zeugma si
indica, ad esempio, questa espressione dantesca: “Parlare e lagrimar
vedraimi insieme”. Con solecismo,
dedotto da (soloicos) σόλοικος: che
parla male, in modo sgrammaticato, si indica un errore grammaticale,
sintattico o di significato. Dal verbo
(eiro) εἴρω, che, tra le
tante accezioni, significa: dico, annuncio, furono dedotti:
(eiron eironos) εἴρωνεἴρωνος: dissimulatore, (eironeia) εἰρωνεία: dissimulazione, finzione, ironia
socratica, quindi: ironizzo, nel senso di: simulo, dissimulo,
fingo ignoranza e ironico. Da (sarx sarkòs)
σάρξσαρκός: pezzo dicarne tagliato fu dedotto (sarkàzo)
σαρκάζω: lacero le carni, mordo le labbra per l’ira, sogghigno,
quindi: sarcasmo, come amara e violenta ironia. In queste due ultime
parole, come in tante altre, il significato originario non è molto
corrispondente a quello dell’uso; tuttavia, si riscontrano i semi del loro
divenire. Con ironico il pastore greco fece riferimento a chi dicendo
simula, mentre, oggi, abbiamo aggiunto in chi è ironico uno stato
d’animo rasserenato, di chi è capace di sorridere delle manchevolezze
dell’interlocutore e/o di sé stesso (autoironia). Il mordersi le labbra del
sarcastico indica un’irritazione violenta, un malanimo, a stento frenati, che
si manifesta anche con caustico livore. Pertanto, se la poesia presuppone uno
stato d’animo rasserenato, il sarcasmo esclude un sentimento poetico.