La
crisi politica italiana, frutto della cultura del "particulare", si
trasferirà domani per un giorno in Algeria dove il presidente del consiglio
dimissionario cercherà di trovare qualche aggancio utile per affrontare la
crisi del gas innescata dagli esiti dell'aggressione russa verso l'Ucraina e
relative conseguenze determinate dal balletto delle "reciproche
sanzioni". Però: quale Algeria? Un'Algeria dove non passa settimana senza
che la stampa riferisca di partenze in massa e di naufragi. I giovani se ne
vanno perché non hanno alcuna prospettiva, né lavoro né un tetto e pochissimi
svaghi. I più grandi perché la loro situazione materiale è diventata
insostenibile. Ad aggravare tutto il regime blinda il campo politico e le
libertà individuali. Non sono solo le condizioni economiche a indurre a
partire. È un malessere diffuso che pesa sulla vita quotidiana. Ne scrive
diffusamente l'edizione italiana di "Le monde diplomatique" di luglio
in un articolo di Lkhadar Benchiba. Nel
catenaccio l'articolo recita: "Il 5 luglio 1962 la Francia lasciava
l'Algeria dopo più di un secolo di dominazione coloniale. La celebrazione di
questo sessantesimo anniversario sopraggiunge in un cupo clima sociale. Mentre
si accentua il movimento di immigrazione clandestina, principalmente verso le
coste spagnole, il regime rinvigorito da una prosperità finanziaria dovuta
all'aumento degli idrocarburi si prodiga per impedire il ritorno delle
manifestazioni popolari del 2019 (quelle promosse dal movimento Hirak tra
il febbraio 2019 e il marzo 2020)." In
conclusione sembra proprio che il gioco perverso delle sanzioni favorisca
dittature e psuedo "democrature" (Turchia, Algeria) alimentando anche
il caos libico dove, incautamente, apprendisti stregoni occidentali (in testa
il nostro sedicente ministro degli esteri) hanno ripetutamente sparato a salve
annunciando pacificazione nazionale e (impossibili) libere elezioni. Rimane il ricordo dei
sessant'anni dalla Liberazione dell'Algeria: con quanto slancio i giovani
democratici europei avevano seguito quella vicenda e quante ipotesi di uscire
dallo schema dell'equilibrio del terrore erano state alimentate, all'epoca, dal
processo di decolonizzazione dell'Africa (Ben Bella, N'Krumah, Senghor per non dimenticare
Lumumba erano diventati popolari quanto Fidel Castro) e dal movimento dei non
allineati. A quel ricordo l'appena descritta constatazione dell'oggi in Algeria
diventa ancora più amara.