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mercoledì 13 luglio 2022

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada
 


Schietto

I greci, per definire l’essere umano che nasce, si servirono di (pais) πας παιδός, premettendo l’articolo (la) ἡ o (il) , nell’accezione napoletana di: a criatura, mentre con il termine: παιδεία indicarono l’educazione dei fanciulli e, comunque, il periodo di formazione per, che, in base alla classe sociale, era molto diverso per qualità e per durata. Ricordo che, nei primi anni Cinquanta, nel mio paese, i figli dei poverissimi, all’età di 5/6 anni diventavano piccoli foresi (fur’sill’), per svolgere faticosi lavori nelle masserie, in cambio di calci e di lesinato pane duro (tust’). I latini usarono parvus/i: piccol0/i, da cui, poi, il raffinato: pargolo, nel mio dialetto: zinn’, ma, soprattutto, puer (maschietto) e puella (femminuccia). Da puer furono dedotti: puerile e pueritia, definita dal vocabolario Treccani: “l’età intermedia tra l’infanzia e l’adolescenza “. C’è da sottolineare che si rimaneva puer, sicuramente, fino a 16 anni, quando si dismetteva la bulla e s’indossava la pretesta, conseguendo, in un certo senso, la maggiore età.
Nella lingua italiana furono coniati bambino, colui che vive l’età iniziale, da cui bambinello, bambinesco, bambola. Da premettere, che il cosiddetto suffisso vezzeggiativo, per i nomi, si traduce alla lettera: si genera dentro l’ho il mancare, che rappresenta un nascere, ma qui indica che nel grembo nasce il primo stadio del processo di formazione, mentre bamb si può rendere: va dall’andare il rimanere, che può rappresentare il nascere, ma anche ciò che nasce nel grembo: l’embrione. In altri termini il grembo, come formazione della vita, può rappresentare anche tutti gli stadi della vita stessa. Così lo stadio, quello immediatamente successivo, è la fanciullezza, il periodo della vita tra i sei e gli undici anni, in cui c’è un particolare sentire e i rapporti interpersonali sono ingenui.



I latini avevano coniato il verbo deponente for faris: parlo, da cui: fans fantis: parlante. Da fans fantis, da colui che parla, fu dedotto, in latino, in-fans infantis: colui che non parla. Si tratta di un etimo che ha pesato, sicuramente, sull’interpretazione della parola infanzia. Oggi, però, se parlo della mia infanzia, voglio indicare tutto il periodo di vita prepuberale. Tanto è avvenuto, perché, durante il Medioevo, c’è stata, forse, un’interpretazione letterale della parola fans fantis, quella che portò a fante, fanteria, fantesca, fantoccio, da interpretare così: da dentro il nascere il legare va a tendere il mancare, per cui il militare pensò che negli spazi stretti, nella fase del travaglio, occorrono i pedites, in quel periodo i fanti, mentre altri pensarono che c’è un periodo della vita, quello che precede l’adolescenza, che si può definire infanzia, in quanto i rapporti non sono influenzati dal sesso: il legare non genera il mancare, in quanto la sfera sessuale si caratterizza per un legame in cui avviene il mancare: l’inseminazione. A questo punto bisogna ribadire che, stabilito un significato originario di ogni parola, questo diviene e va accettato per come è divenuto. Sicuramente, nella classificazione delle età dell’uomo, come periodo della vita, l’evoluzione della capacità sessuale ha avuto la sua rilevanza.  Anche (etos) τος τεος (anno) e anno rimandano allo stesso processo: il tempo necessario per la riproduzione vegetale. Annus, probabilmente, si scriveva: ad-nus da rendere con questa perifrasi: dal legare (prefisso ad), che indica il processo di formazione dell’essere, sicuramente quello vegetale, fino a nascere. Verosimilmente, i latini dalla radice ετ di ἔτος dedussero aετas aetatis.




I greci dal verbo (ebao) ἡβάω: sono giovane, sono nella pubertà, dedussero: (ebe) ἥβη: pubertà, giovinezza e, quindi, colui che è pubere: l’ef-ebo. I latini, da alesco: comincio a crescere dedussero: adolesco/adultum: cresco/cresciuto/aumento, mi rafforzo, che indica il periodo di crescita fisica e degli attributi sessuali, quindi: adolescente e adulto. I latini, inoltre, da pub-eo: mi sviluppo, ricavarono: pubes pubis: lanuggine, pelo, barba, che sono i tratti distintivi del pubere: pubes puberis. Anche i greci avevano visto nella lanuggine/efflorescenza: (acne) ἄχνη la crescita dell’essere.
I greci coniarono anche (eitheos) ἠïθέος: ragazzo e ïθέη: ragazza, vergine dai quali fu dedotto, in italiano, l’aggettivo: schietto/schietta, che il vocabolario Oxford Languages così definisce: puro per assenza di mescolanza, modificazioni, alterazioni. Si tratta di un pubere incontaminato o di una vergine che conserva inalterata la sua primigenia natura. In schietto, inoltre, si evince la sincerità del sentire e del dire pane al pane e vino al vino. Inoltre, nel mio dialetto fu dedotto ssc-chitt’/ssc-chitta ad indicare: celibe/nubile, volendo significare: incontaminato/ a, anche perché nel dialetto della Lucania: ssc-chett’ tu sta ad indicare: solo tu, tu da solo.
Il pastore greco, coniando (neos) νεός: nuovo, recente, fresco, ma anche: giovane, formulò questa perifrasi: da dentro il legare della creatura (quando compare l’accentuazione del grembo), da cui dedusse: l’ultimo in arrivo, mentre altri pensarono che il legare, che è anche un facere che richiede forza, è proprio del giovane, per cui, poi, dedussero appunto: (neanias) νε-ανίας: giovane. Un altro lemma per indicare giovinetto/giovinetta/vergine fu (coros) κόρος/κόρη, così come (parthenos) πάρθενος fu virgo virginis.
Una parola napoletana per indicare il giovinetto che ha capacità procreativa è: guaglion’, da collegare a: a γύαλον: cavità, incavo, grotta, spelonca che, a sua volta, potrebbe discendere da: (gues) γύης: dentale, bure e/o da (guion) γυον: membro/membra. Sicuramente si può affermare che (gualon) γύαλον fu conosciuto nell’Italia meridionale, se fu coniato γυαλano (gualano), che era un addetto alle mandrie, che stazionavano nelle grotte, presumibilmente molto giovane.
I latini coniarono iuvenis iuvenis, che da una parte si caratterizza per la capacità riproduttiva: va a generare la creatura da dentro il mancare cui consegue il legare, dall’altra sta ad indicare colui che ha vigore fisico per realizzare ciò di cui si ha bisogno.



I greci, coniando (anthropos) ἀνθπόπος, così come i latini, formulando homo, che rimanda a (gonimos) γόνιμος: atto a generare (nel mio dialetto uomo si dice: gummin’) indicarono: il prolifico, mentre in (anér) ἀνήρ individuarono sicuramente l’uomo/maschio/marito forte, energico, coraggioso, ma soprattutto il maschio che sa fronteggiare le difficoltà della vita, dando le soluzioni più opportune. Infatti, da ἀνήρ νδρός fu dedotto (andreios) ἀνδρεος: virile, animoso, prode, significati che furono anche di virile. I latini ebbero in vir l’omologo di ἀνήρ, per cui identificarono l’età virile con l’età della maturità dell’uomo e con toga virile la manifestazione visibile di persona responsabile. Pertanto, con ἀνήρ νδρός e con vir viri s’indicava colui che vive la stagione della maturità.
I greci dall’avverbio (palai) πάλαι: già prima, da molto tempo, anticamente dedussero: (palaios) παλαιός: d’altro tempo, antico, vecchio, attempato, mentre da (arché) ἀρχή: origine, principio, inizio ricavarono: (arcaios) ἀρχαος: originario, primitivo, venerando da cui, poi, il nostro arcaico. I greci, inoltre, per indicare il vecchio venerando si avvalsero di (presbùs) πρέσβυς, da cui il comparativo di maggioranza: presbitero e, quindi, presbiterio, come consiglio degli anziani. Πρέςβυς potrebbe essere espresso da questa perifrasi: colui che crescendo lega (è attivo, operoso), per poi mancare (venir meno), ma anche per continuare a dare in saggezza. Ad indicare il grande rispetto dei greci per i vecchi, si ricorda anche (gheron) γέρων γέροντος: vecchio, membro del consiglio reale e la γεροντία/ γερουσία: assemblea degli anziani, senato.
Come i greci si erano avvalsi dell’avverbio πάλαι per formare l’aggettivo παλαιός, i latini si avvalsero dell’avverbio ante: prima per coniare antiquus: tempo passato, antico, anche primordiale, nel mio dialetto si dice anche: prim’ prim’. In altri termini, rimanda al periodo del capostipite. Con vetus veteris: vecchio indicarono colui cui vengono meno le forze.



Dal verbo sen-eo, che dovrebbe indicare ciò che si deduce da dentro il crescere, i latini ricavarono: sono debole, sono vecchio. Da questo verbo fu dedotto il deverbale sen-ex: vecchio, avanzato negli anni. Attraverso i dedotti si evince la stima che i latini avevano per il senex. Da senex furono desunti: senatus, senior. Da senior: signore, signoria (come potere di un signore su un territorio), signori (come categoria sociale). Nel mio dialetto, nel rivolgersi a: nu cristian’ grann’ (persone anziane) si usa l’espressione di rispetto: ssignuria, che è un riconoscimento di autorità dell’interlocutore e corrisponde al vossia (vostra signoria) dei Siciliani. Nella cultura del mio territorio l’aggettivo vecchio è una sorta di dispregiativo, per cui viene sostituito da grande, la cui perifrasi potrebbe essere: da dentro lo scorrere il passare si genera il legare (la massima creazione dell’essere) determinata dal divenire (mancare come crescita) dell’essere. Da grande: grannizz’ (cose in grande), per cui si riconosce all’attempato grande prestigio perché contribuisce, con la sua assennatezza, al bene della collettività.