I greci, per definire l’essere umano che nasce, si servirono di (pais)
παῖςπαιδός, premettendo l’articolo (la) ἡ o (il) ὁ, nell’accezione
napoletana di: a criatura, mentre con il termine: παιδείαindicarono l’educazione
dei fanciulli e, comunque, il periodo di formazione per, che, in
base alla classe sociale, era molto diverso per qualità e per durata. Ricordo che,
nei primi anni Cinquanta, nel mio paese, i figli dei poverissimi, all’età di
5/6 anni diventavano piccoliforesi (fur’sill’), per svolgere faticosi
lavori nelle masserie, in cambio di calci e di lesinato pane duro (tust’).
I latini usarono parvus/i: piccol0/i, da cui, poi, il
raffinato: pargolo, nel mio dialetto: zinn’, ma, soprattutto, puer
(maschietto) e puella (femminuccia). Da puer furono dedotti: puerile
e pueritia, definita dal vocabolario Treccani: “l’età intermedia tra
l’infanzia e l’adolescenza “. C’è da sottolineare che si rimaneva puer,
sicuramente, fino a 16 anni, quando si dismetteva la bulla e s’indossava
la pretesta, conseguendo, in un certo senso, la maggiore età. Nella
lingua italiana furono coniati bambino, colui che vive l’età iniziale,
da cui bambinello, bambinesco, bambola. Da premettere, che
il cosiddetto suffisso vezzeggiativo, per i nomi, si traduce alla lettera: si
genera dentro l’ho il mancare, che rappresenta un nascere, ma qui indica
che nel grembo nasce il primo stadio del processo di formazione, mentre bamb
si può rendere: va dall’andare il rimanere, che può rappresentare il
nascere, ma anche ciò che nasce nel grembo: l’embrione. In altri
termini il grembo, come formazione della vita, può rappresentare anche tutti
gli stadi della vita stessa. Così lo stadio, quello immediatamente successivo, è
la fanciullezza, il periodo della vita tra i sei e gli undici anni, in
cui c’è un particolare sentire e i rapporti interpersonali sono ingenui.
I latini
avevano coniato il verbo deponente forfaris: parlo, da
cui: fans fantis: parlante. Da fans fantis, da colui
che parla, fu dedotto, in latino, in-fans infantis: colui che non
parla. Si tratta di un etimo che ha pesato, sicuramente,
sull’interpretazione della parola infanzia. Oggi, però, se parlo della
mia infanzia, voglio indicare tutto il periodo di vita prepuberale. Tanto
è avvenuto, perché, durante il Medioevo, c’è stata, forse, un’interpretazione
letterale della parola fans fantis, quella che portò a fante, fanteria,
fantesca, fantoccio, da interpretare così: da dentro il
nascere il legare va a tendere il mancare, per cui il militare pensò che negli
spazi stretti, nella fase del travaglio, occorrono i pedites, in quel
periodo i fanti, mentre altri pensarono che c’è un periodo della vita,
quello che precede l’adolescenza, che si può definire infanzia, in
quanto i rapporti non sono influenzati dal sesso: il legare non genera il
mancare, in quanto la sfera sessuale si caratterizza per un legame
in cui avviene il mancare: l’inseminazione. A questo punto bisogna
ribadire che, stabilito un significato originario di ogni parola, questo
diviene e va accettato per come è divenuto. Sicuramente, nella classificazione
delle età dell’uomo, come periodo della vita, l’evoluzione della capacità
sessuale ha avuto la sua rilevanza. Anche
(etos) ἔτοςἔτεος (anno) e
anno rimandano allo stesso processo: il
tempo necessario per la riproduzione vegetale. Annus,
probabilmente, si scriveva: ad-nus da rendere con questa perifrasi: dal
legare (prefisso ad), che indica il processo di formazione
dell’essere, sicuramente quello vegetale, fino a nascere.
Verosimilmente, i latini dalla radice ετdi ἔτοςdedussero
aετas aetatis.
I greci dal verbo (ebao) ἡβάω: sono giovane, sono nella pubertà, dedussero: (ebe) ἥβη: pubertà,
giovinezza e, quindi, colui che è pubere: l’ef-ebo. I latini, da alesco:
comincio a crescere dedussero: adolesco/adultum: cresco/cresciuto/aumento,
mi rafforzo, che indica il periodo di crescita fisica e degli attributi
sessuali, quindi: adolescente e adulto. I latini, inoltre, da pub-eo:
mi sviluppo, ricavarono: pubes pubis: lanuggine, pelo,
barba, che sono i tratti distintivi del pubere: pubes puberis.
Anche i greci avevano visto nella lanuggine/efflorescenza: (acne) ἄχνη la crescita dell’essere. I greci coniarono anche (eitheos) ἠïθέος: ragazzo e ἠïθέη: ragazza, vergine dai quali fu dedotto, in
italiano, l’aggettivo: schietto/schietta, che il vocabolario Oxford Languages
così definisce: puro per assenza di mescolanza, modificazioni, alterazioni.
Si tratta di un pubere incontaminato o di una vergine che conserva inalterata
la sua primigenia natura. In schietto, inoltre,si evince la
sincerità del sentire e del dire pane al pane e vino al vino. Inoltre,
nel mio dialetto fu dedotto ssc-chitt’/ssc-chitta ad indicare: celibe/nubile,
volendo significare: incontaminato/ a, anche perché nel dialetto della
Lucania: ssc-chett’tu sta ad indicare: solo tu, tu da
solo. Il pastore greco, coniando (neos) νεός: nuovo, recente, fresco, ma anche: giovane,
formulò questa perifrasi: da dentro il legare della creatura (quando
compare l’accentuazione del grembo), da cui dedusse: l’ultimo in arrivo,
mentre altri pensarono che il legare, che è anche unfacere che
richiede forza,è proprio del giovane, per cui, poi, dedussero appunto:
(neanias) νε-ανίας: giovane. Un altro lemma
per indicare giovinetto/giovinetta/vergine fu (coros) κόρος/κόρη, così come (parthenos) πάρθενοςfu virgo virginis. Una parola napoletana per indicare
il giovinetto che ha capacità procreativa è: guaglion’, da collegare a:
a γύαλον: cavità, incavo, grotta, spelonca
che, a sua volta, potrebbe discendere da: (gues) γύης: dentale, bure e/o
da (guion) γυῖον: membro/membra. Sicuramente
si può affermare che (gualon) γύαλον fu conosciuto nell’Italia
meridionale, se fu coniato γυαλano (gualano), che era un addetto alle
mandrie, che stazionavano nelle grotte, presumibilmente molto giovane. I latini coniarono iuvenis iuvenis,
che da una parte si caratterizza per la capacità riproduttiva: va a generare
la creatura da dentro il mancare cui consegue il legare, dall’altra sta ad
indicare colui che ha vigore fisico per realizzare ciò di cui si ha bisogno.
I greci, coniando (anthropos) ἀνθπόπος, così come i latini, formulando homo, che rimanda a (gonimos) γόνιμος: atto a generare (nel mio dialetto uomo si dice: gummin’)
indicarono: il prolifico, mentre in (anér) ἀνήρindividuarono sicuramente l’uomo/maschio/marito
forte, energico, coraggioso, ma soprattutto il maschio che sa
fronteggiare le difficoltà della vita, dando le soluzioni più opportune. Infatti,
da ἀνήρἀνδρόςfu dedotto (andreios) ἀνδρεῖος: virile, animoso, prode,
significati che furono anche di virile. I latini ebbero in vir l’omologo
di ἀνήρ, per cui identificarono l’età virile con
l’età della maturità dell’uomo e con toga virile la manifestazione visibile
di persona responsabile. Pertanto, con ἀνήρἀνδρός e con vir viri s’indicava colui
che vive la stagione della maturità. I greci dall’avverbio (palai) πάλαι: già prima, da molto tempo, anticamente dedussero: (palaios)
παλαιός: d’altro tempo, antico, vecchio, attempato, mentre da
(arché) ἀρχή: origine, principio, inizio ricavarono:
(arcaios) ἀρχαῖος: originario, primitivo,
venerando da cui, poi, il nostro arcaico. I greci, inoltre, per
indicare il vecchiovenerando si avvalsero di (presbùs) πρέσβυς, da cui il comparativo di maggioranza: presbitero e, quindi, presbiterio,
come consiglio degli anziani. Πρέςβυςpotrebbe essere espresso da questa perifrasi: colui
che crescendo lega (è attivo, operoso), per poi mancare (venir meno),
ma anche per continuare a dare in saggezza. Ad indicare il grande rispetto dei
greci per i vecchi, si ricorda anche (gheron) γέρωνγέροντος: vecchio, membro del consiglio reale e la γεροντία/ γερουσία: assemblea degli anziani, senato. Come i greci si erano avvalsi
dell’avverbio πάλαι per formare l’aggettivo παλαιός, i latini si avvalsero dell’avverbio
ante: prima per coniare antiquus: tempo passato, antico,
anche primordiale, nel mio dialetto si dice anche: prim’ prim’.
In altri termini, rimanda al periodo del capostipite. Con vetus veteris:
vecchio indicarono colui cui vengono meno le forze.
Dal verbo sen-eo, che
dovrebbe indicare ciò che si deduce da dentro il crescere, i latini ricavarono:
sono debole, sono vecchio. Da questo verbo fu dedotto il
deverbale sen-ex: vecchio, avanzato negli anni. Attraverso
i dedotti si evince la stima che i latini avevano per il senex. Da senex
furono desunti: senatus, senior. Da senior: signore, signoria
(come potere di un signore su un territorio), signori (come categoria sociale).
Nel mio dialetto, nel rivolgersi a: nu cristian’ grann’ (persone anziane)
si usa l’espressione di rispetto: ssignuria, che è un riconoscimento di
autorità dell’interlocutore e corrisponde al vossia (vostra signoria) dei
Siciliani. Nella cultura del mio territorio l’aggettivo vecchio è una
sorta di dispregiativo, per cui viene sostituito da grande, la cui
perifrasi potrebbe essere: da dentro lo scorrere il passare si genera il
legare (la massima creazione dell’essere) determinata dal divenire
(mancare come crescita) dell’essere. Da grande: grannizz’ (cose
in grande), per cui si riconosce all’attempato grande prestigio perché contribuisce,
con la sua assennatezza, al bene della collettività.