Quest’anno a Milano l’estate è
arrivata presto. Le avvisaglie c’erano tutte: dalla pioggia inesistente ai
fiumi in secca, dalle temperature precocemente estive al cielo lattiginoso insopportabilmente
afoso. E andrà sempre peggio, come ci ricordano gli studiosi dei mutamenti
climatici. Andrà sempre peggio perché non ci sarà alcun cambiamento di rotta e
lo dimostra la formula linguistica che volta a volta adottiamo per i singoli
fenomeni: mucca pazza, pollaio pazzo, estate pazza… esentandoci in tal modo da
qualsiasi responsabilità. Ci si rifiuta di riconoscersi responsabili di quella
pazzia e questo avviene ad ogni livello, fino a quello dei decisori che non
decidono. Ci è entrata in testa la convinzione che il tempo non esiste e,
dunque, possiamo disporne a piacimento. Potrà pure non esistere materialmente
il tempo, ma esiste la certezza matematica che giungerà “un tempo” in cui i
corpi diventeranno polvere, compresi quelli di Putin, Biden, Draghi, di ogni
decisore che non decide, e non ne resterà traccia alcuna. Esiste, altresì, la
certezza di una inoppugnabile correlazione fra estati sempre più calde e
precoci, e siccità e carestie. Da un punto di vista più strettamente personale,
l’estate in città con tali temperature precipita la mia già bassa pressione
fino ai limiti del deliquio, dell’estenuazione, riducendo a zero le mie
attività fisiche e mentali. E il piacere che le estati più normali, con
temperature più normali, mi davano per scendere sul Corso la mattina presto e spiare
la città semiaddormentata non ancora assalita dal tumulto e dal suo affanno, si
è andato stemperando. So che comincerà la fuga come ogni estate, l’esodo di
massa, spostando il disagio altrove; altrove il caos del traffico, altrove la
folla e il rumore. Cominceranno gli incendi dolosi dei boschi di cui per dieci
mesi non ci si cura ignorando che anche questo è guerra, e anche questo
contribuirà ad aggravare il mutamento climatico. Ma ce la caveremo con un
sintagma consolatorio: estate pazza.