Come
è noto lo “stato di eccezione” costituisce la sospensione di ogni forma di
legalità da parte del sovrano. Infatti, sovrano è chi può decretarlo. Lo “stato
di emergenza” invece è compatibile con un ordine legale costituito, perché non
è legato all’arbitrio del sovrano. L’emergenza, appunto, è legata a determinate
condizioni di fatto, stati del mondo oggettivamente accertabili, storicamente
determinatisi, temporalmente definiti, non “inventati” dal potere. È sotto gli
occhi di tutti che l’emergenza pandemica, resa impermeabile ad ogni critica, si
sia protratta molto a lungo, giustificando il sospetto di essere funzionale al
mantenimento del potere piuttosto che alla pubblica utilità. Il sospetto si
aggrava quando ad essa segua senza soluzione di continuità una “emergenza
bellica”, mentre già si annuncia il suo divenire permanente, tramite altre emergenze,
parimenti strumentalizzabili dal potere e non controllabili né confutabili
razionalmente, come quella energetica o quella climatica. Chi può discutere la
giustificabilità di un blackout legato a una crisi energetica? Chi può
discutere dati diffusi da OMS o fonti governative? Ora è chiaro che, in queste
condizioni, l’emergenza si scollega dalle condizioni materiali e diviene
strumento di arbitrio nelle mani del potere, dunque stato di eccezione. Alla
giurisdizione, ossia alle istituzioni di garanzia diffusa della legalità,
spetterebbe il controllo su ciò che il potere stabilisce, per verificarne
attendibilità o menzogna. Purtroppo, questo ruolo non è stato fin qui svolto.
Di conseguenza, perfino i diritti fondamentali di prima generazione sono ora precarizzati,
ossia messi nelle mani di un potere fuori controllo. Sarà dunque utile
soffermarsi su alcune linee di continuità fra gestione pandemica ed emergenza
bellica, secondo una ipotesi di lavoro che ho sviluppato nel mio recente
volume, Il
diritto di essere contro. Dissenso e resistenza nella società del controllo,
Piemme 2022. La
gestione pandemica è stata caratterizzata da alcuni elementi strutturali che si
sono manifestati dai primi mesi del 2020. a) Ribaltamento
emergenziale delle fonti del diritto con al vertice la più infima, il DPCM, e
la più alta, la Costituzione, alla base della piramide. Concentrazione del
potere nell’esecutivo e completa marginalizzazione del potere legislativo
corrotto dal ricatto della fiducia. Atrofizzazione volontaria delle istituzioni
di garanzia. b) Imponente costruzione
mediatica di una narrazione unica con, da subito, un’unica soluzione possibile:
un massiccio progetto di vaccinazione di massa e utilizzo del c.d. lockdown e
della sua minaccia per conseguirlo. c) Sussunzione di a) e b)
nell’imposizione generalizzata di un dispositivo di sorveglianza, il green
pass, presentato come mezzo per sconfiggere la pandemia, ma in realtà fine
generale di targatura e sorveglianza dell’intera popolazione (sovversione di
fini e mezzi). d) Costruzione artificiale
di un “capro espiatorio” attraverso l’uso di un marchio di infamia, quello di
“No Vax”, per chiunque eserciti il dubbio e invochi precauzione. e) Spostamento di ricchezze
dall’economia ordinaria a quella di emergenza, con relativa generazione di
“profitti di guerra” (industria farmaceutica e piattaforme online), mai
definiti tali dal mainstream, ma evidenziati in quanto tali dall’andamento
azionario di Pfizer, Amazon, Zoom, Deliveroo etc.
f) Attacco
all’economia reale del Paese con chiusura massiccia di piccole attività
economiche, licenziamenti di manodopera specializzata, continua incertezza come
nel caso del bonus 110%. Tale processo, che arricchisce i grandi gruppi
multinazionali, è sostenuto dall’intera informazione mainstream, controllata da
gruppi di capitale oligopolistico più o meno finanziarizzato (in Italia Ghedi è
l’esempio emblematico). g) Ulteriori massicci
indebitamenti a ricaduta strutturale zero: e.g. spesa massiccia a debito sul
vaccino e continuo disimpegno dalla sanità pubblica e di prossimità. h) Eterno presente,
completa irrazionalità degli interventi, rifiuto di ogni evidenza empirica
sull’implausibilità della buona fede governativa: menzogna mediatica
generalizzata.
La
gestione emergenza bellica due anni dopo presenta caratteristiche strutturali
simili. a) Identico b). Identico, laddove il
trasferimento di armi all’Ucraina sostituisce il vaccino come soluzione unica e
il blackout energetico, proprio come il lockdown, è lo strumento che il Governo
può utilizzare in ogni momento a proprio vantaggio sulla base di dati di cui
esso solo dispone (e che può perfettamente inventare). c) Il green pass, ormai
sdoganato, diviene strumento ordinario disponibile per l’enforcement di
fatto di ogni decisione politica. d) Identico, con
sostituzione di “Filoputinisti” a “No vax”. e) Identico, con
beneficiari come Lockheed Martin, Boing, Rolls Royce e in generale produttori
di armi. f) L’identico processo,
tramite inflazione e aumento dei prezzi dell’energia, è ancor più devastante ed
irreversibile. g) Identico, con spese
ingentissime a favore di NATO e di futuri programmi europei di
militarizzazione. Interventi volti a mitigare l’impatto crisi energetica
autogenerata nell’ interesse geopolitico NATO e USA a completo danno interesse
nazionale (e.g. riduzione accise). h) Identico.
Negare
questi parallelismi sarebbe molto difficile e la gogna mediatica attende chi ne
accenna (avevo già evidenziato linee di continuità nel mio intervento DuPre del
2 aprile e sono stato puntualmente aggredito dalle gazzette). Il punto h
è qui molto importante, perché spiegabile solamente attraverso l’esistenza di
un medesimo potere finanziario globale, capace di controllare il mainstream,
Bruxelles, il regime draghista, e l’intera comunicazione (inclusi i principali
social tramite censura). I pacchetti azionari di controllo dell’industria
farmaceutica e del complesso militare industriale dell’occidente sono gli
stessi: Vanguard, Blackrock, State Street, Goldman Sachs ecc. Di
Covid muore la stessa idea di opposizione. Avere idee diverse è sinonimo di diserzione
e slealtà. Si usa la metafora bellica (nemico potentissimo e invisibile) che
considera gli oppositori come disertori. La guerra ci porta fuori dalla
metafora, con trasferimento, del tutto incostituzionale, di armi all’ Ucraina.
Chi dubita è immediatamente un traditore arruolato dal nemico. I morti di Bucha
svolgono lo stesso ruolo mediatico delle bare di Bergamo. È l’assioma su cui si
poggia tutta la narrazione. Non puoi dubitare di vaccini e green pass in chiave
costituzionale: ci sono le bare di Bergamo. Non puoi difendere la Costituzione
o riflettere su potenzialità e limiti del diritto internazionale come strumento
di pace. Ci sono i morti di Bucha.
L’Italia
non è stata sola nell’utilizzare la pandemia per tramutare una democrazia
costituzionale, già agonizzante da più di un decennio, in un regime autoritario
fondato sulla menzogna generalizzata, per di più moralisticamente sostenuta da
una narrazione “sociale” (di sinistra). Canada, Australia, Austria, Germania,
Grecia, Francia hanno seguito, con appena minor rigore, la stessa linea
autoritaria. Si tratta del fronte degli alleati NATO più aggressivi nel
favorire una escalation pericolosissima del conflitto in Donbass, con
relative immani sofferenze dei popoli a vantaggio del potere e del capitale.
Lesioni frontali dei fondamenti della sovranità di una nazione, oggi ad opera
della Federazione Russa rispetto ai confini dell’Ucraina, ieri ad opera di USA
e Nato a Belgrado (per tralasciare Iraq e Afghanistan) in totale spregio dei
principi che oggi l’Occidente imputa a Putin di non rispettare. Oggi
nel mondo ci sono tantissime guerre, oltre 40, quasi tutte aventi carattere di
guerra civile o per procura (proxy war). Esse sono strutturali al
complesso militare-industriale. L’escalation della guerra in Donbass va
letta come passaggio da guerra civile a proxy war ad alta intensità fra Stati
Uniti e Cina che, data la posta geopolitica in ballo, crea rischi ingentissimi.
In Ucraina non è guerra soltanto per un territorio. Essa
mi pare oggi una guerra volta principalmente a conquistare le menti e
l’immaginario collettivo al fine della ristrutturazione capitalistica. Tale
guerra si conduce in almeno due camere dell’eco contrapposte e non comunicanti. Da
un lato infatti c’è la camera dell’eco occidentale, che intende difendere,
sotto la rinnovata forma del great reset, gli elementi post-guerra
fredda che avevamo chiamato fine della storia. Dall’altra, c’è il tentativo di
costruzione di una Bretton Wood 3, ossia un nuovo equilibrio in cui non è più
il dollaro a fungere da moneta di riferimento, ma in cui si ripristina qualche
nuovo standard, (dopo la Bretton Woods 2 di Nixon nel ’73) che magari non
tornerà ad essere l’oro, ma che comunque non sarà più l’arbitrio della FED con
le proprie politiche liberamente monetaristiche, fondate sull’ attivazione
delle stampanti del denaro. Ed è questa caratteristica che chiama in campo gli
economisti, perché fino a prima della pandemia era forse l’austerity
il sistema che il blocco occidentale utilizzava per mantenere i propri equilibri
nel rapporto di potere tra capitale e lavoro, mentre oggi è forse la Modern
Monetary Theory del “whatever it takes” draghiano. Nella
società dello spettacolo, come già insegnava Debord, il falso diventa vero ed
il vero diventa falso. Questo lo abbiamo appreso dalla pandemia e ce lo
conferma la guerra, con le proprie narrazioni contrapposte e speculari (per
ogni camera dell’eco l’avversario fa orrore) ma le proprie prassi identiche. Ed
è qui che diventa più difficile per il pensiero critico discernere, perché ogni
concetto è agevolmente cooptabile. Pensiamo, per
esempio, alla MMT con la sua critica del “Mito del deficit” resa celebre da
Stephanie Kelton. Trattasi di teoria capace di liberarci dalla peggior faccia
austera del capitalismo a favore del popolo, o piuttosto siamo di fronte al
carburante per il grande reset, che ha come fine ultimo una nuova sovranità
globale nelle mani di corporation onnipotenti che mirano a una popolazione
dipendente e desoggettivizzata, come invece vorrebbe il controverso Glenn Beck
in un suo recente libro? Similmente,
la grande crisi per eccellenza, quella del cambiamento climatico globale.
Trattasi di problema che “cambia tutto” nel senso di Naomi Klein e che richiede
un reale ripensamento delle strutture capitalistiche profonde in chiave di beni
comuni, ovvero un concetto strumentalizzato dal potere e ad esso funzionale per
la prossima emergenza dopo quella climatica e bellica, che consente di
mantenere indefinitamente una popolazione controllata e impaurita sotto lo scacco
del green
pass e del credito sociale? Non
sono questioni di poco conto e sarebbe bene che la nostra magistratura
iniziasse a rifletterci.