IL SESSANTOTTO DI PIERSANTI di Federico Migliorati
Romanzo di impegno e sentimento Siamo sul
finire del 1967, in una Urbino insolitamente inquieta: nelle istituzioni
scolastiche, in particolare in quell’università rinomata nella quale è
“monarca” Carlo Bo, sta scaldando i motori il vasto Movimento che di lì a poco
si sarebbe imposto in tutto il Belpaese. La contestazione studentesca era
arrivata anche nella città di Raffaello, con i suoi drammi (per quanto minori
rispetto a capoluoghi ben più grandi e ‘agitati’) e gli ideali di uguaglianza e
di libertà, nel coacervo di sentimenti, immagini, desideri, delusioni. È questo
il clima che fa da sfondo a Cupo tempo gentile, il romanzo di Umberto
Piersanti uscito nel 2012 per la casa editrice Marcos y Marcos nel quale il
Sessantotto viene visto con gli occhi del giovane Andrea Benci, studente fuori
corso ormai prossimo alla laurea. Componente di quell’informe gruppo
politico-ideologico dove convivono anime conflittuali, ma ribelle a ogni
violenza e sopruso da qualunque parte siano messi in atto, Benci è “in cerca di
equilibrio” e vive quest’esperienza straniante non senza contraddizioni: c’è sì
in lui la certezza che sia ormai necessario introdurre cambiamenti nella
società e dunque il richiamo a costruire un mondo più giusto ed equo, ma la sua
è una scelta, non priva di pavidità e dubbi, che lo metterà in contrasto con i
più facinorosi. Appassionato di Leopardi e di Proust, con una tesi su Montale
da preparare, si dedica a scrivere racconti e poesie e per questo viene irriso
quale “riformista” e “revisionista”: passa le giornate tra la partecipazione
alle assemblee e alle iniziative di lotta e le esperienze sessuali in un tempo,
“cupo e gentile”, che fa registrare una fiammata di libertà e di emancipazione
femminile. In Benci alberga un’anima dolce e sensibile che lo porta talvolta
lontano dai teatri della battaglia ideologica, dall’esigenza di instaurare la
dittatura del proletariato (a cui peraltro non crederà mai), dal sostegno acritico
ai regimi di Mao e Castro che ha ormai soppiantato in molti lo sguardo
fideistico all’Unione Sovietica: cerca, insomma, una vita “altra” dal resto del
gruppo, che egli assapora e che respira della bellezza di Urbino e delle sue
colline, in un’epoca in cui tutto sembra richiamare i cervelli all’impegno
politico strenuo e a volte castrante.
Veduta di Urbino
O di qua o di là, tertium non datur:
o con il futuro, nuovo ordine comunista o con il mondo borghese capitalista, si
grida forte nelle aule dell’università. Piersanti tratteggia, con uno stile
elegante e diretto, fortemente aderente al suo territorio, quel Sessantotto che
pure ha vissuto in prima persona: nell’estate 1968, in Cecoslovacchia, per
protestare contro i sovietici finì in carcere per due giorni, ma nulla a
confronto di quanto gli capitò una decina di anni prima quando in Spagna, nelle
proteste contro il regime franchista, dovette scontare ben 3 mesi di prigione.
Il poeta dei “luoghi persi”, per riprendere la recente, luminosa silloge di
versi ristampata a distanza di quasi 30 anni da Crocetti editore con la
prefazione di Roberto Galaverni, è facilmente rintracciabile tra le pagine,
nelle raffinate e colte descrizioni della natura urbinate o dei magnifici
scorci della città che cesellano l’intensa trama, nelle atmosfere sospese del
Quattrocento che abitano questo romanzo di sentimento e di impegno. In Cupo
tempo gentile trovano spazio anche l’emancipazione (tentata) dalla propria
famiglia d’origine, l’omosessualità vissuta finalmente alla luce del sole (come
nel caso di Enrico) per arrivare all’icona di un secolo, l’allunaggio, fino
all’esaurirsi, al termine del ’69, della “spinta propulsiva” della
contestazione nelle scuole, simbolo indimenticabile di quegli anni.