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giovedì 18 agosto 2022

VENTUNO AGOSTO  
di Franco Astengo


 

Data fatidica nella storia del comunismo italiano.   

Il 21 agosto 1964 moriva a Yalta, nell’URSS, Palmiro Togliatti segretario generale del PCI, politico di grandissimo spessore, già membro della segreteria dell’Internazionale Comunista negli anni’30, promotore al suo rientro in Italia del “partito nuovo” : sulla base di quell’intuizione il PCI crebbe fino a diventare il più grande partito Comunista d’Occidente e il più forte partito della sinistra italiana, conseguendo in pieno quella “legittimazione nazionale” che aveva rappresentato l’obiettivo di fondo dell’azione politica di Togliatti. Le contraddizioni però non mancavano: quattro anni dopo, il 21 agosto 1968 le truppe del Patto di Varsavia entrarono a Praga per spezzare l’esperimento della “primavera” di Dubcek che puntava ad un “socialismo dal volto umano”. Si trattò di un momento davvero definibile come di “cesura epocale” nella storia del comunismo internazionale e dello stesso PCI, che dopo aver preso le distanze dall’invasione finì per un lungo periodo (nonostante la presenza di spunti parziali di riflessione critica di grande valore) ad acconciarsi ad un ruolo critico ma sostanzialmente marginale rispetto alle dinamiche imposte dalla logica dei blocchi e limitandosi a una impostazione politicista della propria politica interna, rinunciando a proporre un'alternativa.
Nel 1989 al momento della caduta del muro di Berlino (mentre in Italia stava per imperversare la bufera di Tangentopoli e si stava per sottoscrivere il trattato di Maastricht) la proposta di scioglimento del Partito, poi concretizzatasi nel 1991 dopo la celebrazione di due congressi, si verificò  in condizioni di evitabile frettolosità e al di fuori da una qualsiasi ricerca di impostazione teorica alternativa ma semplicisticamente sull’onda dell’attualità, di una presunta “fine della storia” e della necessità (davvero provinciale e politicamente angusta) di “sblocco del sistema politico”.
In questo quadro, anche rispetto alle diverse soggettività della sinistra italiana con il PSI impegnato in una operazione di governo che avrebbe trascinato il partito nella drammatica conclusione della propria esperienza, si originò un dato di cesura storica che al momento sembrò irrecuperabile. 
Le diverse esperienze successive segnate dall'adeguamento ai concetti effimeri della personalizzazione, del governo inteso quale fine ultimo dell'agire politico e, dall'altro canto, da una radicalità movimentista sostanzialmente segnata da una logica “moltitudinaria” hanno decretato in poco tempo un vero e proprio dato complessivo di marginalità sia al riguardo della realtà del sistema politico italiano e, soprattutto, di estraneità anche rispetto all’apertura di una ricerca aperta al futuro nel nome di una continuità storica attraverso la quale superare divisioni ormai completamente inattuali.
Nel 2021 si era sviluppata una forte discussione in occasione del centenario della scissione di Livorno dalla quale originò la fondazione del Partito Comunista Italiano.



Nell’occasione di quel dibattito erano comparsi spunti di riflessione in qualche caso interessanti ma segnati nel complesso da un eccesso di difensivismo sia da parte di chi stava sostenendo la tesi della condanna della scissione e del successivo processo politico, sia da parte di chi ha difeso la scelta dei comunisti di allora. Nell’occasione del centenario del PCI è stato concesso poco spazio a chi ha cercato di sviluppare un discorso riguardante il superamento delle ragioni della divisione: anzi sono sembrate prevalere motivazioni collegate alle fasi più recenti di separazione e contrasto accentuatesi, come abbiamo visto, nella fase terminale della "Repubblica dei Partiti". Occorre invece riprendere un discorso sulle radici comuni delle forze che hanno caratterizzato in diverse forme oltre un secolo di vita politica italiana. I veri punti della discussione da sviluppare restano sostanzialmente due, e sarà su questi punti che verificheremo la prospettiva di una “fine della modernità” con l'apertura di una fase nel corso della quale potrebbe annullarsi il peso di contraddizioni che avevamo invece pensato come definitive:
La concezione della politica nella rappresentazione dello scontro fra i diversi ceti sociali superando le remore e i fraintendimenti, che sono stati introdotti nel corso degli ultimi anni, in particolare dalla concezione dominante della “fine della storia” e dell’univocità dei modelli di detenzione del potere e dell’organizzazione sociale. Un’univocità sistemica che avrebbe assunto carattere “imperiale” a livello planetario, cui sarebbe possibile rispondere soltanto attraverso la protesta di una “moltitudine” che, più o meno spontaneamente, si sarebbe mossa per riappropriarsi dal “basso” di quelli che sono stati definiti proprio come “beni comuni”;
L’organizzazione della lotta politica.
Anche nel XXI secolo il tema ricompare come urgente pur nelle complessità dell’organizzazione sociale esistente a livello planetario, nella trasversalità delle contraddizioni, nel modificarsi del sistema di relazioni internazionali con il ritorno alla guerra e alla geopolitica e il presentarsi concreto di nuove forme di logica dei blocchi. L’organizzazione della lotta politica non potrà che realizzarsi quindi attraverso la costruzione di un’identità basata non soltanto sui necessari riferimenti alla storia (che rimane strumento indispensabile) ma anche al riguardo della realtà sociale esistente e alle forme possibili di partecipazione che soprattutto l’innovazione tecnologica ha modificato nel loro esistere concreto dell’oggi. Si tratta di due pilastri fondamentali se si vuole aprire sul serio la discussione sulla possibilità del ritorno ad una idea della politica come lotta da condursi attraverso un’identità precisa (insieme etica, storica e politica) attrezzata attraverso la riorganizzazione di un soggetto politico compiuto.