Data
fatidica nella storia del comunismo italiano.
Il 21 agosto 1964 moriva a Yalta,
nell’URSS, Palmiro Togliatti segretario generale del PCI, politico di
grandissimo spessore, già membro della segreteria dell’Internazionale Comunista
negli anni’30, promotore al suo rientro in Italia del “partito nuovo” : sulla
base di quell’intuizione il PCI crebbe fino a diventare il più grande partito
Comunista d’Occidente e il più forte partito della sinistra italiana, conseguendo
in pieno quella “legittimazione nazionale” che aveva rappresentato l’obiettivo
di fondo dell’azione politica di Togliatti. Le contraddizioni però non
mancavano: quattro anni dopo, il 21 agosto 1968 le truppe del Patto di Varsavia
entrarono a Praga per spezzare l’esperimento della “primavera” di Dubcek che
puntava ad un “socialismo dal volto umano”. Si trattò di un momento davvero
definibile come di “cesura epocale” nella storia del comunismo internazionale e
dello stesso PCI, che dopo aver preso le distanze dall’invasione finì per un
lungo periodo (nonostante la presenza di spunti parziali di riflessione critica
di grande valore) ad acconciarsi ad un ruolo critico ma sostanzialmente
marginale rispetto alle dinamiche imposte dalla logica dei blocchi e
limitandosi a una impostazione politicista della propria politica interna,
rinunciando a proporre un'alternativa. Nel
1989 al momento della caduta del muro di Berlino (mentre in Italia stava per
imperversare la bufera di Tangentopoli e si stava per sottoscrivere il trattato
di Maastricht) la proposta di scioglimento del Partito, poi concretizzatasi nel
1991 dopo la celebrazione di due congressi, si verificòin condizioni di evitabile frettolosità e al
di fuori da una qualsiasi ricerca di impostazione teorica alternativa ma
semplicisticamente sull’onda dell’attualità, di una presunta “fine della
storia” e della necessità (davvero provinciale e politicamente angusta) di
“sblocco del sistema politico”. In
questo quadro, anche rispetto alle diverse soggettività della sinistra italiana
con il PSI impegnato in una operazione di governo che avrebbe trascinato il
partito nella drammatica conclusione della propria esperienza, si originò un
dato di cesura storica che al momento sembrò irrecuperabile.
Le diverse esperienze successive segnate dall'adeguamento ai concetti effimeri
della personalizzazione, del governo inteso quale fine ultimo dell'agire
politico e, dall'altro canto, da una radicalità movimentista sostanzialmente
segnata da una logica “moltitudinaria” hanno decretato in poco tempo un vero e
proprio dato complessivo di marginalità sia al riguardo della realtà del
sistema politico italiano e, soprattutto, di estraneità anche rispetto
all’apertura di una ricerca aperta al futuro nel nome di una continuità storica
attraverso la quale superare divisioni ormai completamente inattuali. Nel
2021 si era sviluppata una forte discussione in occasione del centenario della
scissione di Livorno dalla quale originò la fondazione del Partito Comunista
Italiano.
Nell’occasione
di quel dibattito erano comparsi spunti di riflessione in qualche caso
interessanti ma segnati nel complesso da un eccesso di difensivismo sia da
parte di chi stava sostenendo la tesi della condanna della scissione e del
successivo processo politico, sia da parte di chi ha difeso la scelta dei
comunisti di allora. Nell’occasione del centenario del PCI è stato concesso
poco spazio a chi ha cercato di sviluppare un discorso riguardante il
superamento delle ragioni della divisione: anzi sono sembrate prevalere
motivazioni collegate alle fasi più recenti di separazione e contrasto
accentuatesi, come abbiamo visto, nella fase terminale della "Repubblica
dei Partiti". Occorre invece riprendere un discorso sulle radici comuni delle
forze che hanno caratterizzato in diverse forme oltre un secolo di vita
politica italiana. I veri punti della discussione
da sviluppare restano sostanzialmente due, e sarà su questi punti che
verificheremo la prospettiva di una “fine della modernità”
con l'apertura di una fase nel corso della quale potrebbe annullarsi il peso di
contraddizioni che avevamo invece pensato come definitive: La concezione della politica nella
rappresentazione dello scontro fra i diversi ceti sociali superando le remore e
i fraintendimenti, che sono stati introdotti nel corso degli ultimi anni, in
particolare dalla concezione dominante della “fine della storia” e
dell’univocità dei modelli di detenzione del potere e dell’organizzazione
sociale. Un’univocità sistemica che avrebbe assunto carattere “imperiale” a
livello planetario, cui sarebbe possibile rispondere soltanto attraverso la
protesta di una “moltitudine” che, più o meno spontaneamente, si sarebbe mossa
per riappropriarsi dal “basso” di quelli che sono stati definiti proprio come
“beni comuni”; L’organizzazione della lotta politica. Anche nel XXI secolo il tema ricompare come urgente pur nelle
complessità dell’organizzazione sociale esistente a livello planetario, nella
trasversalità delle contraddizioni, nel modificarsi del sistema di relazioni
internazionali con il ritorno alla guerra e alla geopolitica e il presentarsi
concreto di nuove forme di logica dei blocchi.L’organizzazionedella lotta politica non
potrà che realizzarsi quindi attraverso la costruzione di un’identità basata
non soltanto sui necessari riferimenti alla storia (che rimane strumento indispensabile) ma
anche al riguardo della realtà sociale esistente e alle forme
possibili di partecipazione che soprattutto l’innovazione
tecnologica ha modificato nel loro esistere concreto dell’oggi.Si tratta di due
pilastri fondamentali se si vuole aprire sul serio la discussione sulla
possibilità del ritorno ad una idea della politica come lotta da
condursi attraverso un’identità precisa (insieme etica, storica e politica)
attrezzata attraverso la riorganizzazione di un soggetto politico compiuto.