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lunedì 8 agosto 2022

LAJOLO E NON SOLO
di Antonio Bozzo

 
Ho riletto “Veder l’erba dalla parte delle radici”, di Davide Lajolo, parlamentare comunista, amico del conterraneo Cesare Pavese, direttore dell’Unità dal 1949 al 1958 (dunque nel periodo in cui sull’Unità, edizione genovese, apparve, pochi giorni prima del Natale 1952, uno stelloncino che salutava la mia nascita, “magnifico maschietto” figlio di due compagni: non giornalisti o tipografi, ma semplici militanti di base nel Partito). “Veder l’erba” uscì nel 1977, dopo che Lajolo ebbe un infarto: morì anni dopo, nel 1984. Il libro, che parte dalla malattia e rievoca le vicende di un politico e scrittore di vaglia, fu tra i più venduti dell’anno. Lo lessi, appunto, in compagnia di migliaia di lettori. Me lo aveva regalato, o prestato, un collega de ‘Il Giorno’, giornale nel quale lavoravo, in forza all’ufficio correttori (un club di intellettuali di sinistra, persone dalle quali ho imparato moltissimo, non solo a scovare refusi o raddrizzare una frase). Alla direzione c’era Gaetano Afeltra, in redazione lavoravano Natalia Aspesi, Giorgio Bocca, Gianni Brera, Marco Nozza, Morando Morandini e altri eccellenti giornalisti che non elenco perché dovrei andare avanti un bel po’ di righe. Per la verità, nel 1977 la redazione era già stata svuotata: molte penne d’oro traslocarono a ‘la Repubblica’, tentati dalla sirena Scalfari, il quale fece una campagna acquisti con i controfiocchi. Lajolo era stato convinto fascista, in gioventù e fino alla caduta del regime. Fece la guerra di Spagna come Volontario del Littorio: non proprio dalla parte giusta. Poi “voltò gabbana”, la definizione è sua, e diventò partigiano comunista. Dopo la guerra, bocciò Beppe Fenoglio, colpevole di aver tratteggiato la Resistenza, nel racconto “I ventitré giorni della città di Alba”, in modo irriverente e grottesco (poi Lajolo se ne pentì). 


Davide Lajolo nel suo studio

Nel libro, tutto viene raccontato con intelligenza, leggerezza quando è il caso, gravità quando è richiesta (la sua adesione al Pci, i viaggi in treno Milano-Roma, i rapporti con Pasolini, i comizi davanti alle fabbriche, le passeggiate nel gelo di Torino con il malinconico Pavese divorato dal “vizio assurdo”, le scoperte di Mosca, Pechino, Sciangai - si scriveva così -, Parigi con Èluard, Sartre, Beauvoir). Sono contento di averlo riletto, trovato per caso nella ricca biblioteca degli scomparsi zii di Roberta, qui in Liguria, anch’essi intellettuali di sinistra: è una fortuna avere lasciti librari di tale classe. Scopro che il libro venne stampato nello stabilimento di via Rizzoli, a Milano, che conoscevo bene, di cui ho ancora l’odore nelle narici. Era nei sotterranei della casa editrice, il celebre “grattacielo coricato” nei pressi del Parco Lambro, proprio in questi giorni in via di demolizione. Le ruspe stanno buttando giù - per far posto alla Milano che si rinnova - l’edificio dove ho lavorato per anni da giornalista, dal 1979, una volta lasciato ‘Il Giorno’: a Novella 2000, a 7 del Corriere della Sera, ad Amica. E mi viene da sorridere: anche il palazzo de ‘Il Giorno’ in via Fava, quartiere Greco, dove lessi Lajolo di notte, tra una bozza e l’altra, è stato demolito da non molto. Guardo quindi il volumetto, che ha perso la sovracoperta, come un prezioso fossile rinvenuto tra le macerie. E auguro a tutti una buona settimana di Ferragosto.