LAJOLO E NON SOLO
di Antonio Bozzo
Ho riletto “Veder l’erba dalla parte
delle radici”, di Davide Lajolo, parlamentare comunista, amico del
conterraneo Cesare Pavese, direttore dell’Unità dal 1949 al 1958 (dunque nel
periodo in cui sull’Unità, edizione genovese, apparve, pochi giorni prima del
Natale 1952, uno stelloncino che salutava la mia nascita, “magnifico
maschietto” figlio di due compagni: non giornalisti o tipografi, ma semplici
militanti di base nel Partito). “Veder l’erba” uscì nel 1977, dopo che
Lajolo ebbe un infarto: morì anni dopo, nel 1984. Il libro, che parte dalla
malattia e rievoca le vicende di un politico e scrittore di vaglia, fu tra i
più venduti dell’anno. Lo lessi, appunto, in compagnia di migliaia di lettori.
Me lo aveva regalato, o prestato, un collega de ‘Il Giorno’, giornale nel quale
lavoravo, in forza all’ufficio correttori (un club di intellettuali di
sinistra, persone dalle quali ho imparato moltissimo, non solo a scovare refusi
o raddrizzare una frase). Alla direzione c’era Gaetano Afeltra, in redazione
lavoravano Natalia Aspesi, Giorgio Bocca, Gianni Brera, Marco Nozza, Morando
Morandini e altri eccellenti giornalisti che non elenco perché dovrei andare
avanti un bel po’ di righe. Per la verità, nel 1977 la redazione era già stata
svuotata: molte penne d’oro traslocarono a ‘la Repubblica’, tentati dalla
sirena Scalfari, il quale fece una campagna acquisti con i controfiocchi.
Lajolo era stato convinto fascista, in gioventù e fino alla caduta del regime.
Fece la guerra di Spagna come Volontario del Littorio: non proprio dalla parte
giusta. Poi “voltò gabbana”, la definizione è sua, e diventò partigiano
comunista. Dopo la guerra, bocciò Beppe Fenoglio, colpevole di aver
tratteggiato la Resistenza, nel racconto “I ventitré giorni della
città di Alba”, in modo irriverente e grottesco (poi Lajolo se ne pentì).
Davide Lajolo nel suo studio |