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lunedì 8 agosto 2022

LA GUERRA È UNA MALATTIA, CURIAMOLA     
di Graziano Mantiloni

 
Non era ancora scomparso l’incubo del covid, un virus così pestilenziale da mettere in ginocchio intere popolazioni in ogni parte del mondo che un nuovo virus si è affacciato ancora più prepotente e pernicioso sulla scena mondiale: la guerra in Ucraina. Per non parlare dell’accendino, vicino alla miccia in Kosovo e ora Taiwan, che gli USA-NATO agitano sempre più scriteriatamente. Ma ha poca importanza quale sia il terreno di scontro. Focolai di guerra esistono ovunque da anni e anni e questo è solo un nuovo drammatico scenario che ripropone riflessioni e impegni più urgenti. Il fatto rilevante è che le parti coinvolte in Ucraina (Russia e NATO), questa volta posseggano le armi atomiche e il pericolo di una escalation che porti ad usarle è sempre più imminente. Con la tragica eventualità della distruzione a livelli inimmaginabili della vita sulla terra. Ciononostante si rileva la tendenza diffusa a minimizzare la portata degli effetti di questo micidiale strumento di morte e proseguire nell’imperterrita mentalità arcaica di prendere parte all’una o all’altra fazione, armare eserciti, fronteggiarsi, devastare città, uccidere cittadini inermi, strappare un lembo di terra strategico, metterci la bandierina. Un perverso copione che si ripete nel tempo. Ma ci dobbiamo convincere che oggi il mondo è cambiato; dal 1945, con l’avvento dell’era atomica è profondamente cambiato. Ciononostante, un giorno sì e l’altro pure è allarmante sentire capi di stato in conflitto minacciare l’uso dell’atomica, una drammatica prospettiva, alla quale l’opinione pubblica, martellata da una propaganda mediatica, asservita ai peggiori guerrafondai del pianeta, si assuefà come se fosse ineluttabile. Spesso ritenendo sia il solo percorso obbligato, dimenticando diplomazia, dialogo, spirito umanitario, spirito di sopravvivenza.



Ma la guerra è una malattia come sostiene anche il teologo e psicologo tedesco Eugene Drewermann. Dobbiamo prenderne atto e soprattutto è il momento di mettere in piedi un apparato “sanitario” tale da curare adeguatamente le infezioni che provengono dai costruttori di armi, da coloro che pensano, erroneamente specie di questi tempi, di avere tutto da guadagnare da un conflitto. Ahimè, dimenticando o ignorando, nell’eventualità di un disastro atomico, che periranno sì i poveri cristi, ma anche i ricchi guerrafondai si troveranno sulla stessa tolda della nave.
Non comprendere, nell’epoca attuale, il dramma di un conflitto atomico è dovuto proprio al fatto che la guerra è una malattia, un virus pericolosissimo, subdolo, che si insinua nelle menti deboli, primordiali, poco avvezze al ragionamento logico e che fa ingrossare metaforicamente la pancia fino all’inverosimile tanto che gli affetti dal virus “ragionano di pancia” – si dice – e si nutrono di un viscido egoismo, vessilli inutili, propaganda.



Curare la mentalità che alimenta i conflitti dovrebbe essere la priorità dell’essere umano d’oggi. Papa Francesco dal suo canto afferma con vigore: “la guerra è un sacrilegio, smettiamo di alimentarla”. Per questo, in ogni parte del mondo, la spinta al cambiamento non può essere calata dall’alto (vediamo bene quanto i capi delle nazioni si rivelino oggi poco saggi) ma deve nascere dalla consapevolezza del diritto alla sopravvivenza di ciascuno. Curare significa mettere la lente sul veicolo di infezione più pericoloso ovvero nel nazionalismo. Come già indicava Carlo Cassola quaranta anni fa, superare il nazionalismo, significherebbe acquisire una nuova mentalità, un nuovo senso di fratellanza. Un nuovo modo di vivere, importante per curare la mentalità che ci trascina nei conflitti e ci offusca la vista rispetto ad una prospettiva storica di vita. La via di uscita, quindi, c’è ed è quella di invertire la rotta, finché siamo sempre in tempo, curarsi dal nazionalismo, uno dei maggiori portatori del virus della guerra.
In questa prospettiva non c’è che da auspicare che specie gli intellettuali, di ogni paese, prendano una netta posizione contro il nazionalismo che ci trascina nella barbarie della guerra, l’espressione più aspra e acuta della malattia nella nostra civiltà.