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martedì 27 settembre 2022

ELEZIONI 2022
di Franco Astengo


 

Vincono astensione e sondaggisti. Crolla l’Agenda Draghi, restano intatti i problemi sistemici.
  
Elezioni 2022: Vincono astensione e sondaggisti. La vittoria dei sondaggisti è tale da porre un interrogativo: costruita una tesi è parte dell'opinione pubblica che vi si adegua e non chi esegue le rilevazioni seguendo l'andamento delle opinioni? In realtà restano intatti i temi della fragilità del sistema politico italiano in particolare sul versante della volatilità elettorale e della scarsa credibilità dei governi (rapporto tra i due fattori: scarsa credibilità del governo/ sale l'opposizione; finora dal 2008 in avanti non si è mai verificato il contrario). Il tutto distorto dall'applicazione della formula elettorale che rende possibile la costruzione di maggioranze di dimensioni ben diverse dal reale responso delle urne. Il punto d'analisi vero risiede nella valutazione di quanto ci sia di redifinizione a destra nel risultato delle elezioni 2022 e quanto di ricerca del "nuovo" da parte di un elettorato ormai reso "volatile" dalla vacuità delle presenze politiche. Da segnalare ancora l'accentuarsi delle divisioni geografiche dell'orientamento elettorale già ben evidenti in precedenti occasioni ma che adesso sta assumendo la dimensione di una vera e propria spaccatura che non riguarda soltanto la "tenuta" del M5S al Sud ma anche la crescita dell'Alleanza Azione-Italia Viva al Nord, in particolare nelle parti più produttive del Paese. M5S favorito nell'assegnazione dei collegi uninominali dalla forte concentrazione del voto in determinate zone, tanto da potersi considerare quasi "Partito del Sud" (circa il 40% dei voti complessivi raccolti tra Calabria, Puglia, Basilicata, Campania e Molise). Andando per ordine con riferimento al voto per la Camera dei Deputati sul territorio nazionale (esclusa la Valle d'Aosta):
1) Al momento in cui scrivo queste note mancano alla conclusione dello scrutinio 28 sezioni su tutto il territorio nazionale, quindi all'incirca 17.000 voti.
2) Il primo dato da tenere in conto è quello dell'astensione: elemento snobbato da molti commentatori che hanno tirato fuori la vecchia litania del fisiologico allineamento con le democrazie occidentali "mature". In realtà si è creata una vera e propria voragine che peserà sull'intera capacità di tenuta del sistema. Nel 2018 ci furono 32. 841.705 voti validi, adesso siamo a 28.037.116 con un calo di 4.804. 589 unità.



3) Il dato dell'astensione si riflette naturalmente sul totale dei voti delle singole liste. Dal punto di vista della maggioranza relativa Fratelli d'Italia ottiene 7.292.649 voti in netto calo rispetto alla quota realizzata dal Movimento 5Stelle nel 2018 che era di 10.732.066 (meno 3.439.417). In sostanza su di un corpo di 46.127.514 elettrici ed elettori il partito di maggioranza relativa rappresenta il 15,81% (2018 : M5S 10.732.066 su 46.505.350 pari al 23,07 con un calo di 7,26 punti).
4) L'elemento di porre in rilievo è quello della distorsione sul meccanismo di traduzione del voto in seggi parlamentari dovuta all'applicazione della formula elettorale vigente (legge n.165 del 3 novembre 2017) che non prevede, oltre a mantenere le liste bloccate, la possibilità del voto disgiunto tra parte uninominale e parte plurinominale della scheda. A questo punto entra in gioco la capacità coalizione della forze politiche ed essendosi prodotta, in questo senso, nell'occasione delle elezioni del 25 settembre una forte asimmetria tra la tradizionale alleanza di centro-destra e la coalizione raccolta attorno al PD si è verificato il caso che il centro-destra raccolto il 43,82% sul totale dei voti validi (in realtà 12.285.587 su 46.127.514 pari al 26,6% dell'intero corpo elettorale) abbia totalizzato l'83,44% dei collegi uninominali in palio per la Camera dei Deputati (un effetto distorcente del 40%). In sostanza il centro destra ha pagato i suoi collegi uninomimali 102.160 voti l'uno, mentre il centro sinistra li ha pagati 610.101 voti e il M5S 422.143 (sfruttando la maggiore concentrazione territoriale).
5) Non si può affermare semplicisticamente che ci si trovi di fronte a uno "spostamento" a destra che pure c'è stato, bensì sarebbe più corretto scrivere di "ridefinizione" del profilo della destra. Complessivamente il centro-destra ha raccolto il 25 settembre 12.285.587 voti una quota in lievissima ascesa rispetto al 2018 quando i suffragi furono 12.152.345 (circa 130.000 in meno). Deve essere ricordato come dal punto di vista della raccolta di consensi il centro destra avesse toccato il proprio massimo storico nel 2008, quando l'alleanza tra il Popolo della Libertà (che comprendeva già i neo-fascisti che poi avrebbero dato vita a Fratelli d'Italia) e la Lega Nord ottenne 17.064.506 voti (quasi 5 milioni di voti in più rispetto al risultato attuale: in quel momento il centro - destra rappresentava il 36,27% degli aventi diritto al voto, oltre 10 punti in più rispetto ad oggi).


6) Naturalmente la ridefinizione identitaria del centro-destra porta il segno della crescita di Fratelli d'Italia saliti da 1.429.550 suffragi nel 2018 a 7.292.742 nel 2022. Si tratta di un fenomeno da analizzare con attenzione nel quadro di una crescente volatilità del voto in Italia, con un elettorato mobile costantemente alla ricerca del "nuovo". Abbiamo già visto il fenomeno del 2008 quando il Popolo delle Libertà conseguì la maggioranza relativa con 13.629.434 voti; successivamente toccò al PD targato Matteo Renzi in occasione delle elezioni Europee 2014 con 11.172.861, poi al Movimento 5 Stelle nelle politiche 2018 con 10.732.066 e ancora con le Europee 2019 alla Lega con 9.153.638 voti e adesso a Fratelli d'Italia con i già menzionati 7.292.742 voti ottenuti il 25 settembre 2022: un cambio vorticoso di partito di maggioranza relativa dentro a un costante calo di consensi.
7) Il successo di Fratelli d'Italia è andato a scapito delle altre forze della coalizione di centro destra. Tra il 2019 e il 2022 la Lega ha praticamente dimezzato i consensi passando da 5.698.687 a 2.461.627 (perdendo voti anche nelle roccaforti dell'antica Lega Nord) mentre Forza Italia è scesa da 4.596.956 a 2.275.948, nello stesso tempo sono arretrati anche i cosiddetti "centristi" del centro-destra: l'UDC  nel 2018 aveva ottenuto 427.152 voti mentre adesso la lista dei Moderati (nonostante il sostegno di personaggi come il presidente della Regione Liguria Toti e il sindaco di Venezia Brugnaro) si è fermata a quota 255.270.
8) Particolare attenzione merita il voto ottenuto dal M5S. Tutti conoscono il travagliato iter che il Movimento ha percorso nella XVIII legislatura: scissioni e microscissioni mentre rimaneva costante la presenza al Governo con 3 diverse formule: alleanza con la Lega, alleanza con il PD, governo tecnico sostenuto da "larghe intese". Nel frattempo i sondaggi davano il M5S in costante discesa, addirittura al di sotto della soglia psicologica del 10%. Alla fine, dopo un mutamento di direzione politica e una campagna elettorale fortemente orientata soprattutto alla difesa della misura-simbolo del reddito di cittadinanza, sono arrivati 4.325.977 voti pari al 15, 42% sul totale dei voti validi (pari al 9.29% del totale degli aventi diritto). Occorre molta chiarezza su questi dati, accolti con una sorta di velato e ingiustificato trionfalismo. Nel 5 anni trascorsi al governo dopo aver conseguito la maggioranza relativa il M5S ha lasciato sul campo 6.406.089 voti nella massima parte finiti nell'astensione (che nessun partito è mai stato in gradi di frenare considerato che la percentuale dei partecipanti al voto è in costante calo da decenni). D'altro canto i transfughi del Movimento, in particolare l'ormai ex-ministro degli Esteri Di Maio, hanno tentato nuove avventure politiche risultando del tutto irrilevanti. Naturalmente il calo del M5S ha aperto, nella quota uninominale, un vera e propria autostrada per il successo del centro-destra ma questo è un elemento che chiama in causa la capacità coalizionale del PD, il suo asse strategico di riferimento e - ovviamente - gli elementi distorsivi anti-democratici presenti nella vigente formula elettorale che evidenzia aspetti di sicura incostituzionalità. Rimane il dato di fondo degli oltre 6 milioni di voti perduti.



9) L'alleanza tra Azione e Italia Viva ha inteso collocarsi al centro dello schieramento politico con il deliberato proposito di svolgere una funzione interditrice al riguardo dei due schieramenti ritenuti principali (sottovalutando tra l'altro il possibile esito del voto al M5S). Alla fine sono arrivati 2.183.170 voti pari al 7,78% del totale di voti validi: varranno un  pugno di deputati considerata la non competitività della lista nella parte uninominale. In realtà la raccolta di voti del duo Calenda - Renzi (assolutamente sovraesposto mediaticamente) è risultato di molto inferiore alle attese dei due imprenditori politici di riferimento: rimasti alla fine le vittime più illustri dell'impopolarità dell'agenda Draghi(nonostante l'apparente consenso di cui sembrava godere il suo apparente estensore). Un analogo tentativo fu svolto nel 2013 dall'uscente presidente del Consiglio Mario Monti che (a differenza di Draghi) si espose in prima persona. Il risultato fu considerato deludente ma sicuramente migliore di quello ottenuto dall'alleanza centrista in questa occasione (da accompagnare tra l'altro con il fallimento dell'ipotesi centrista portata avanti sul versante del centro destra). Prima di tutto Monti, nel 2013, riuscì a comporre una coalizione che ottenne 3.591.451 voti, oltre un milione e mezzo di voti in più rispetto all'operazione di oggi, e anche la sua lista con 2.823.841 voti (le altre componenti dell'alleanza erano rappresentate dll'UDC e dall'effimera FLI di Gianfranco Fini) raggiunse una quota superiore a quella del duo Renzi- Calenda di oggi.
10) Sul voto al PD pesa come un macigno il duplice errore strategico compiuto dal suo gruppo dirigente: prima di tutto la mancata riforma della formula elettorale da tradursi in senso pienamente proporzionale; in secondo luogo, l'evidente incapacità di costruire un fronte capace di fronteggiare adeguatamente il centro-destra nei collegi uninominali. Da segnalare anche la disperata oscillazione nella campagna elettorale partita all'insegna dell'agenda Draghi e terminata con velleità simil-populiste di ritardato laburismo. Ciò nonostante, il voto al PD preso per sé stesso non è pessimo: nel 2018 (fatto salvo che in quell'occasione la perdita rispetto al 2013 era stata di circa 2.000.000 di voti) il PD aveva ottenuto 6.161.896 voti scesi in questa occasione a 5.346.826 voti (con una finta crescita percentuale dovuta alla diminuzione nei voti validi): 815.070 voti in meno. Si segnala però l'assoluta assenza di consenso raccolto da alleati inseriti in lista (fra i quali 2 ex-ministri della Sanità). Il problema principale per il PD sarà quello della segreteria e quello della crisi di astinenza da governo in un partito fondato su correnti e sulla logica del potere in centro e in periferia.



11) A sinistra va segnalato il passaggio di soglia della lista Alleanza Sinistra- Verdi che, praticamente, con un 1.017.652 voti raccoglie l'intero bottino di Leu nel 2018 che ammontava a 1.114.799 voti. Si tratta di un dato che, oltre alla presenza parlamentare, sarà da verificare se potrà essere considerato punto di partenza per una necessaria ricostruzione a sinistra dopo le tante battute d'arresto fatte registrare almeno dalla vicenda della Lista Arcobaleno nel 2008 in avanti. Fallito completamente il tentativo di Unione Popolare nonostante il tentativo di personalizzazione attorno alla figura dell’ex-sindaco di Napoli De Magistris e l'intervento d'appoggio da parte di protagonisti della politica europea. Unione Popolare si è fermata a quota 402.187 appena sopra alla quota di 372.179 voti che era stata ottenuta dalla lista di Potere al Popolo (comprendente egualmente Rifondazione Comunista) nel 2018. Anche questi sono dati che dovrebbero fornire occasione per un ragionamento diverso dal consueto: tanto più che si è ben notata la differenza tra un'elezione per un incarico di tipo monocratico rispetto a un'elezione di tipo direttamente politico. De Magistris, infatti, presentandosi alle regionali calabresi con una candidatura a Presidente aveva avuto all'incirca il 16%: la lista di UP nella circolazione Calabria ha ottenuto il 25 settembre il 2,27%. Infine completamente fallito il tentativo di sfruttare l'onda no-vax e no-Europa tentata dall'ex M5S Paragone bloccato a 533.190 voti e con la lista VITA dall'altra ex-deputata pentastellata Cunial (201,370 voti, 0,8%). Lontana dal quorum anche la lista rossobruna comprendente il PC di cui è segretario Marco Rizzo che ha avuto 347.713 voti pari all'1,24%.