In vista delle elezioni del primo novembre, la campagna
elettorale in Israele sta sempre più entrando nel vivo, con mosse e accordi tra
i partiti per garantire all’uno o all’altro dei due schieramenti principali la
maggioranza dei 120 seggi della Knesset, il Parlamento israeliano; e sta, al
contempo, sempre più polarizzando le posizioni, portando al centro questioni
identitarie che segnalano, in particolare, la caratterizzazione sempre più
estremista delle forze della destra dello spettro politico di Israele. Tra i
responsabili di questo ulteriore riorientamento a destra del baricentro
politico-elettorale in Israele figura, indubbiamente, il leader del Likud, l’ex
capo di governo Benjamin Netanyahu, che sta costruendo un’alleanza tra le varie
destre, di orientamento laico, fondamentalista ed estremista, per aumentare le
possibilità di raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi. In questo quadro
si inserisce la notizia dell’accordo raggiunto tra il Likud e le forze che compongono l’alleanza
ashkenazita haredim “United Torah Judaism”, accordo che ha consentito di
stringere l’alleanza e di mantenere unito il partito in cambio della promessa,
mediata direttamente da Netanyahu, di aumentare consistentemente il
finanziamento statale alle scuole haredim (religiose ortodosse) e di consentire
loro di ottenere il finanziamento pubblico nella sua interezza anche senza
rispettare il curriculum didattico, statale, di base. Netanyahu avrebbe cioè promesso
un incremento del bilancio annuale per le scuole ultra-ortodosse da 1.2
miliardi a 3 miliardi di shekel (circa 875 milioni di dollari) e una più ampia
libertà di seguire un proprio curriculum didattico (religioso), senza obbligo
di seguire il curriculum statale di base. Non si è fatta
attendere la replica dell’attuale premier israeliano, il liberale Yair Lapid, del
partito centrista Yesh Atid, per il quale «dobbiamo garantire che ogni bambino
in Israele impari l’ebraico, l’inglese e la matematica. Gli studi di base sono il futuro del Paese e costituiscono un’opportunità
storica per integrare gli ultra-ortodossi nel mondo del lavoro. Il
tentativo di Netanyahu di barattare il futuro dei nostri figli per un accordo
politico è irresponsabile». La questione, al di là della schermaglia politica e
della campagna elettorale, ha avuto ampia eco sulla stampa proprio in virtù del contenuto ideologico e
del carattere identitario della proposta. Non a caso, Moshe Gafni, leader di
Degel HaTorah (“Bandiera della Torah”), una delle fazioni di “United Torah
Judaism”, ha definito l’accordo come la «riparazione di un torto storico», dal
momento che l’impossibilità di ottenere l’intera quota dei finanziamenti pubblici
a causa dell’inosservanza del programma statale costituirebbe una «discriminazione
ingiustificata». D’altra parte, ove mai entrasse in vigore, l’accordo non solo
rappresenterebbe un serio vulnus alla laicità della scuola e, in prospettiva, della
società israeliana, ma verrebbe anche a configurare un consistente incremento
della spesa pubblica per il sistema di istruzione religioso, parificando
altresì, a tutti gli effetti, istruzione statale e istruzione religiosa.
Molte comunità ultra-ortodosse
in Israele letteralmente rifiutano di applicare il programma di studi statale
perché lo considerano una “distrazione” o una “minaccia”, a seconda dei punti
di vista, per l’insegnamento religioso e per lo studio della Torah. La
questione è stata portata al centro del dibattito pubblico, a seguito della
decisione del capo dell’importante comunità chassidica di Belz, il rabbino
Yissachar Dov Rokeach, che ha raggiunto un accordo con il Ministero dell’Istruzione
in base al quale le scuole di Belz avrebbero applicato l’intero curriculum statale
di base in cambio del finanziamento statale completo, suscitando dibattito e
contrasto nelle comunità ultra-ortodosse. La questione, come è stato fatto
notare, ha anche risvolti economici e sociali significativi, dal momento che un
insegnamento non conforme al programma statale e di carattere eminentemente
religioso riduce le possibilità di accesso al mondo del lavoro; secondo uno studio dell’Israel
Democracy Institute relativo alle
comunità haredim, gli ebrei ultra-ortodossi guadagnano oggi la metà (55%) di quanto
guadagnano gli ebrei non-ortodossi, e il tasso di povertà tra gli israeliani
ultra-ortodossi è addirittura il doppio (44%) rispetto a una media nazionale intorno
al 22%. Tali divisioni si
riflettono nel singolare sistema di istruzione israeliano; in Israele esistono di fatto quattro
sistemi scolastici: un sistema statale
laico, un sistema statale religioso, un sistema per gli arabi israeliani e un
sistema religioso ultra-ortodosso; quest’ultimo è a propria volta articolato in
quattro tipi di scuole: le scuole haredim statali, dove si studia il programma
statale completo e che quindi ricevono l’intero finanziamento statale; le
scuole private legate alle diverse comunità (40% degli studenti haredim), che
pure seguono l’intero curriculum di base e ricevono finanziamenti statali
completi; le cosiddette scuole «non
ufficiali ma riconosciute» che seguono il 75% del curriculum e ricevono il 75% del
finanziamento; e le cosiddette scuole “esenti” (altro 40% di studenti
haredim), che seguono il 55% del curriculum e ricevono il 55% di finanziamento;
il resto del budget viene coperto col pagamento di tasse scolastiche a carico
delle famiglie. Un sistema scolastico, nel suo insieme, non privo di
contraddizioni, considerato tra i primi, in area OCSE, per qualità dell’istruzione, ma
criticato per non pochi elementi
discriminatori, con le scuole degli arabi israeliani spesso sottofinanziate, assai meno attrezzate, con meno librerie e meno
spazi ricreativi. L’accordo mediato da Netanyahu verrebbe a eliminare il requisito che le
scuole “non ufficiali ma riconosciute” ed “esenti” seguano il curriculum
statale per ricevere i finanziamenti pubblici. Lo stesso Netanyahu, peraltro, ha
anche negoziato un accordo tra i partiti religiosi della estrema destra, “Sionismo
religioso” di Bezalel Smotrich e “Otzmah Yehudit” di Itamar Ben Gvir,
rafforzando il carattere radicale di destra della coalizione; non si fatica a
definire “Sionismo religioso” un partito di orientamento fondamentalista,
mentre sono note le origini di “Otzmah Yehudit” (“Potere Ebraico”) nel vecchio
partito Kach, poi fuorilegge, di ideologia kahanista (pseudo-fascista),
accusato di negare il carattere democratico di Israele e di incitamento al
razzismo. «La vittoria della destra e la lotta per la piena identità ebraica
del Paese» ha dichiarato “Sionismo religioso” «ci obbligano a non
correre rischi di disperdere voti che potrebbero portare a un governo progressista».
Una destra oltranzista, ideologica e fondamentalista, a lungo ai margini
dell’arco politico israeliano, e che sempre più invece si va affermando, in
termini di consenso e di egemonia.