Ci sono dipinti che sono
diventati, nel tempo, così simbolici, che hanno finito per entrare
prepotentemente nelle nostre vite. Non sono semplici icone, sono molto di più
ed hanno contaminato le nostre idee, il nostro modo di guardare il mondo. Se ne
potrebbe fare una discreta lista. Uno di questi è sicuramente il capolavoro di
Pellizza da Volpedo, il Quarto Stato. Gli era costato una decina d’anni
di lavoro questo quadro, preceduto da una lunghissima preparazione, per cui
deve aver provato una cocente delusione il pittore quando nel 1902, presentato alla
Quadriennale di Torino, rimase invenduto. Per nostra fortuna, diciamo oggi.
Così quando nel 1920 arrivò a Milano esposto alla Galleria Pesaro, nel clima
infuocato delle lotte operaie, il dipinto incontrò il suo luogo e la sua
temperie. La straordinaria sensibilità dei milanesi fu encomiabile: una
sottoscrizione popolare permise di acquistarlo per farne dono alla città. Fu
sistemato nella sala più grande del Castello Sforzesco, nella Sala della Balla,
così chiamata perché vi si praticava il gioco della pallacorda. Ma ebbe un
destino inquieto: spostato alla Villa Reale di via Palestro, sede della
Galleria di Arte Moderna, traslocò a Palazzo Marino, sede del Comune, subito
dopo la fine della Seconda guerra mondiale; di nuovo in via Palestro e poi al
Museo del Novecento in piazza del Duomo dove rimase, fra altri capolavori,
dalla sua apertura fino ad oggi. Nel luglio di quest’anno è tornato a casa, in
una sala tutta sua alla Galleria d’Arte Moderna, in cui può trionfare con i
suoi oltre cinque metri di larghezza e i quasi tre di altezza. Alcuni anni fa
mi ero recato a Volpedo con una nutrita schiera di collaboratori e amici di
“Odissea”, e potei vedere la piazza dove Pellizza fece posare i personaggi
della “fiumana” per la realizzazione dal vero del suo capolavoro. Ero stato
fortunato, avevo incontrato un parente di Pellizza che mi aprì le porte dello
studio dove l’artista aveva a lungo lavorato. Purtroppo in quello stesso studio
il 14 giugno del 1907 si tolse la vita impiccandosi ad appena 39 anni. Il
pittore non aveva retto al dolore dei due tragici lutti che l’avevano colpito
in quei mesi: la morte del figlio Pietro appena nato, e quella della moglie
Teresa subito dopo.