DE VINCENTI: POETA DEL COLORE E DELLA LUCE di Angelo Gaccione
In occasione della mostra di De Vincenti che si inaugura domenica 16 ottobre alModernArtMuseum Ca’ la
Ghironda – Sala delle Colonne diVia Leonardo da Vinci 19, 40069 – Ponte Ronca di Zola
Predosa (Bo). Mi è capitato spesso di sentir dire che la pittura, o almeno un certo tipo
di pittura, non avrebbe più alcun senso, dal momento che la fotografia, e
soprattutto i mezzi tecnici più innovativi e sofisticati, sono in grado di
restituirci la realtà più fedele della realtà stessa. E quanto all’astrazione,
alla possibilità infinita di riprodurre colori e forme, - forme persino in
movimento – i computer sono più visionari e inventivi del più eccitato dei
cervelli: persino di quelli stimolati dall’acido lisergico e dalle sostanze
psichedeliche più potenti in circolazione. L’errore di accostare in maniera
impropria due linguaggi completamente differenti quali sono la pittura e la
fotografia, è fin troppo evidente.
Quanto alla mitologia del mezzo tecnico, vorrei
sommessamente ricordare che senza la consapevolezza e l’immaginazione di chi lo
usa, il mezzo è muto. Ed è sempre l’artista che ha le idee e sceglie, il mezzo
- di idee - non ne ha alcuna. Ma c’è una pittura (una forma di pittura) come
questa di Giuseppe De Vincenti fatta di luce mediterranea, di trasparenze, di
meriggi assolati, di edifici su cui la luce si è rappresa, vi si trattiene per
esaltarne i colori: il turchese, il giallo dorato, il cobalto… e che si
espandono, si effondono nei riverberi di un tramonto, nelle strisce di mare,
nei casolari, nella sera che cala sprofondando dentro tonalità differenti di
blu. Sono frammenti di visioni questi quadri, paesaggi silenti, quieti, immoti,
dove la figura umana è assente, e tuttavia sappiamo che la vita non è stata
abolita perché tutto è ben tenuto: la vegetazione, i campi, le case lungo la
costa, i binari della ferrovia, le colline. Sono visioni familiari di un
paesaggio che conosciamo; scampoli di paesaggio isolati in un dettaglio, in un
particolare che li rende ancora più affascinanti e memoriali. Sappiamo che la
pittura è stata ed è racconto, allegoria, simbolo e quant’altro; qui, invece,
in questi olii di De Vincenti, ci troviamo davanti a visioni evocative,
poetiche, memoriali, che agiscono su di noi in maniera sensoriale: guardiamo
quel cielo e non possiamo fare a meno di ricordare, di evocare, di sentire.
C’è un dipinto fra quelli esposti che esprime questo tipo di stato d’animo
esistenziale. Si tratta di una veduta circoscritta di casolare ed è come se
fosse stato “preso” dall’interno; come se fosse stato fotografato per mettere
in evidenza solo il limitato perimetro che va dalla posizione di chi guarda,
fino alla finestra che funziona da fulcro della scena. Lo sguardo è catturato
dall’angolo con la finestra semichiusa, dai cui rettangoli filtrano delle
strisce di luce che si stagliano sulla parete in basso di sinistra, e
sull’impiantito dove si immaginano brandelli degli scuri, pezzi di infissi
scardinati di quella aperta a metà. L’efficacia e la riuscita di questo dipinto
sono dovute alla scelta saggia di avere optato per una parziale
rappresentazione dell’ambiente, in modo che lo sguardo si concentri su un punto
solo e verso l’azzurro del fuori che ci rimanda il cielo. Per come è concepita
la scena, è possibile anche dall’esterno allungare lo sguardo nel dentro per
spiare un ambiente completamente spoglio e privo di qualunque suppellettile.
Non fatevi depistare dal titolo di questo quadro e del suo Omaggio a Edward
Hopper, qui l’atmosfera non ha niente che vedere con l’inquietante solitudine
metafisica e perturbante del pittore americano. È un dipinto realizzato con una
forte dose di realismo, con le macchie di sporco, gli aloni di umido che
corrono lungo le pareti fino ad un triangolo accennato di soffitto, colto in
prospettiva tridimensionale.
Quello che posso dire, per concludere questa nota
senza pretese, è che la fedeltà di De Vincenti al suo mito mediterraneo, alla
luce che lo sorregge, alle visioni, lo ha premiato e risarcito. La coerenza del
suo discorso ha attinto con caparbia determinazione senza derogare, senza
fughe, senza dispersioni lungo territori ibridi, a quell’unica fonte, e così ha
potuto giungere ad una sintesi estrema, ad una essenzialità purificata da
qualsiasi aporia, arrivando con l’esperienza e l’applicazione a trovare una
cifra personale e riconoscibile, una sua impronta. Un poeta del colore e della luce, questo mi sentirei
di dire oggi di De Vincenti, dopo una vita intera dedicata alla pittura. Un
cantore della luce del Sud e dei suoi elementi: così umili, così
indispensabili.