Eurafrica. Se in Europa si ricomincia
a pensare e a discutere, la prima questione è ovviamente la pace:
lasciando che la guerra - lo scontro tra due superpotenze nucleari - segua il
proprio corso, l’unico futuro immaginabile è la fine del mondo. La pace
richiederà una ridefinizione dei rapporti con gli Stati Uniti;
quindi, sarà comunque un processo lungo e difficile, esso pure a rischio di
guerra. Ma se l’Europa, in toto o in parte significativa, troverà il coraggio
di togliere l’appoggio incondizionato all’Ucraina, può aprirsi un periodo molto
fecondo, come è stato il dopoguerra. Di questo periodo ricorda un aspetto
particolare il filosofo Étienne Balibar nella prefazione a un libro
di due storici svedesi, che ha per oggetto la relazione del progetto europeo
con il colonialismo. Eurafrique è la parola che definisce il
dibattito di allora, e della quale gli autori raccontano l’infelice sorte.
Oggi, avendo ridotto l’Africa a fornitrice di immigrazione indesiderata,
oltre che di risorse naturali, in particolare di gas, siamo forse al punto più
basso, la povertà del dibattito svoltosi all’ultimo vertice UE-Africa, pochi
giorni prima dello scoppio della guerra, ne è prova. Il saggio di Balibar è
molto interessante per la ricchezza di spunti e di riferimenti storici: il suo
valore però sarebbe forse maggiore se lo si integrasse con il pensiero di
Alexandre Kojève. È infatti l’idea di impero che manca nel saggio (oltre
che nei propositi dei governi europei contemporanei), senza la quale gli stati
europei difficilmente riusciranno a liberarsi di un passato di
colonialismo e di guerre. Perché si debba passare dallo stato-nazione
all’impero, Kojève lo spiega nelle prime, illuminanti righe di L’empire
latin, un saggio del 1945. Diffidando della Germania, che conosceva bene,
l’autore pensava a un’unione degli stati mediterranei; in realtà, sciolti gli
stati-nazione, non si vede perché i Länder tedeschi non
potrebbero tornare agli splendori dell’Ottocento, onorando l’Europa, anziché
umiliarla, ed essere a propria volta umiliati, come è oggi ancora una volta la
Germania.