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martedì 18 ottobre 2022

LIBRI
di Mariacristina Pianta
 


La copertina del libro

Gli occhi rossi del piccione.
 
Subito l’immagine incisiva dello stesso titolo del libro si colora di contenuta malinconia per la riproduzione in copertina del dipinto di Munch, in cui un uomo si trova al margine del quadro che ritrae un ameno paesaggio marino, e rivolge il suo sguardo verso un altrove indefinito, volgendo le spalle alla scena dipinta. Nello stesso modo il protagonista di questo libro proietta uno sguardo laterale agli eventi, e appare sempre in terza persona (lui). Gli occhi rossi del piccione (titolo di uno dei racconti) non ci abbandonano nel corso dei singoli testi perché indicano il destino di ogni creatura vivente. La sofferenza e la morte sono presenti fin dagli albori della vita. Vengono in mente i versi leopardiani del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: “Nasce l’uomo a fatica, / ed è rischio di morte il nascimento”, oppure le pagine dello Zibaldone relative al giardino: “Entrate in un giardino di piante, d’erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella più mite stagione dell’anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. (…) Là quella rosa è offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue appassisce…”.
Tornando al libro di Vidale, l’impianto narrativo si basa inizialmente su di una fotografia che ritrae la madre del protagonista al mare, in giovane età. Da qui inizia la rievocazione della gita a Venezia, turbata dalla presenza della morte, motivo ricorrente in numerose altre prose, caratterizzate da uno stile asciutto, essenziale, privo di inutili orpelli. Ogni verbo, aggettivo, sostantivo ha una sua funzione precisa, lontana da retorica e sentimentalismo. Un grande lavoro di revisione e di “lima” si intuisce da tutto il contesto. Alla base di una originale capacità di delineare situazioni, ambienti, personaggi si coglie la lezione dei classici da Luciano di Samosata, per la dimensione ironica, alle pagine di Emilio Cecchi, e Massimo Bontempelli. L’autore non aderisce al realismo magico, ma, per mezzo di paradossi e capovolgimenti inaspettati nei finali, crea atmosfere di sottile angoscia, superando un approccio denotativo. Molto significativi La zingara, In metro. Non è facile, in poche righe, rendere quasi palpabili alcuni particolari delle figure presentate e farci emozionare e sorprendere. Non accetta visioni consolatrici di matrice trascendente; desidera solo una sorta di Paradiso terreno in cui rivivere le ore più belle passate con le persone care. Ripensa al difficile rapporto col padre, nonostante la stima che provava per lui. Per entrambi sembrava impossibile dialogare serenamente per le differenti posizioni ideologiche ed esistenziali. Un certo rimpianto emerge per non essersi capiti, visto che la memoria continua a lavorare in assenza dell’altro, scomparso per sempre. Narrare in terza persona permette di dominare meglio stati d’animo, evitando un coinvolgimento che può togliere vigore all’efficacia dell’intreccio e alle riflessioni suggerite. Certi particolari, come il rito funebre o considerazioni di chi preferisce i funerali ai matrimoni dimostrano come l’autore rifiuti un mondo di convenzioni e di ipocrisie. L’interesse per la fotografia, fonte di ispirazione di molti testi, rientra nella scelta di una poetica che trae alimento da elementi concreti per poi ricostruire una storia  e possibili interpretazioni.


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