Le guerre nucleari, e la “memoria dell'orrore”. 1. Nel dibattito pubblico
relativo alla guerra tra Russia e Ucraina, si torna insistentemente a parlare -
spesso senza alcun pudore e vergogna - della possibilità concreta del ricorso
alle armi atomiche, in particolare alle armi nucleari "tattiche". Di
fatto, dati gli schieramenti in campo e la situazione oggettiva, si fa più
concreta e vicina la possibilità di una terza guerra mondiale caratterizzata dall'uso
massiccio delle armi atomiche; uno scenario che, sino a qualche mese fa,
appariva impensabile e non veniva preso nella minima considerazione. La
minaccia, va ribadito con chiarezza, viene dalla Russia di Putin (oltre che da
un altro suo irresponsabile e sciagurato alleato, Kim Jong-un, presidente della
Corea del Nord), ma non scorgo da nessuna parte - fatta eccezione per la voce
autorevole di papa Francesco Jorge Mario Bergoglio - quello sdegno e quella
sollevazione, quel senso di vergogna e di indignazione che sarebbero più che
mai necessari in questi mesi drammatici al solo sentire evocare simili cose
immonde. Da più parti si cerca anzi di rassicurare e di sottolineare che l'uso
delle armi nucleari "tattiche" comporterebbe un potenziale
distruttivo territorialmente limitato e prevederebbe un numero di vittime
piuttosto contenuto. Ma decine o centinaia di migliaia di morti, qualche
milione di vittime sono forse da ritenere pochi? È certo, comunque, che i
livelli di devastazione e distruzione previsti anche in questi casi cosiddetti
"limitati" sarebbero molto alti e dolorosi. È ancor più certo, poi,
che non si può scherzare col fuoco nucleare e che nessuno può prevedere gli
eventuali effetti a catena dell'uso di ordigni di morte così terribili. Dunque,
il rischio di una guerra mondiale nucleare dagli effetti letali per tutti gli
esseri viventi e per il pianeta intero è palese, dietro l'angolo.
2. Non entro qui nel merito
delle difficili decisioni politiche o militari da prendere in una situazione
tanto delicata e pericolosa. Mi limito a qualche rilievo di tipo etico e al
richiamo indispensabile ad un elementare senso di salvaguardia dell'umanità.
Servirebbero più che mai una sollevazionee un moto delle coscienze e dei cuori, una ripulsa radicale, uno scatto
di indignazione, un palese rigetto di quegli atteggiamenti di indifferenza,
fatalismo e rassegnazione al presunto corso ineluttabile delle cose che
rischiano oggi di costarci molto cari. Sappiamo che il potere può essere folle
e che la storia umana pullula delle più variegate manifestazioni della follia e
tracotanza del potere. Tutto ciò di certo non rassicura in una situazione in
cui non ci sembra che sia particolarmente vigile la coscienza dei popoli.
Pensando al futuro della specie umana e soprattutto a quello delle nuove
generazioni, dei non ancora nati, dovremmo tutti almeno provare raccapriccio e
vergogna per la spada di Damocle che ci pende sul capo, per la situazione
assurda e tragica che stiamo vivendo. 3. Nell'inno Patmos (1800) Friedrich Hölderlin scrive
fra l'altro: "Wo aber Gefahr ist, wächst/ das Rettende auch"
("Ma dove è il pericolo, cresce/ anche ciò che salva") [1]. Il grande poeta ci
avverte e mette in guardia circa il pericolo e ciò che ci può salvare. Tanto
più, nell'età del pericolo estremo, noi dobbiamo prestare ascolto e attenzione.
Nel saggio Die Frage nach der Technik
(1953) Martin Heidegger ha ripreso e commentato i versi citati di Hölderlin a
proposito della "questione della tecnica", cercando di distinguere il
"divelamento pro-vocante" proprio del Gestell e il "disvelamento pro-ducente", più originario,
della φύσις-ἀλήθεια, che è ποίησις ("pro-duzione", "sorgere-di
per-sé"), "nel senso più alto" (im höchsten Sinne): l'esempio che fa Heidegger è quello dello schiudersi
del fiore nella fioritura [2]. Riprendendo
anch'egli i due celebri versi di Hölderlin, il filosofo italiano Eugenio
Mazzarella sostiene che non siamo ancora "all'altezza morale" della
"questione della tecnica" e scrive: "Sono versi che ci possono aiutare
a capire che solo uno sguardo franco sull'abisso, può farci scampare dal
caderci dentro. L'abisso è quello che abbiamo visto a Hiroshima e Nagasaki, e
oggi ci si sta aprendo davanti in Ucraina. Guardiamolo in faccia (...)"[3]. Alcuni
hanno interpretato i due versi di Hölderlin nel senso di una facile e
ottimistica indicazione nella direzione sicura e garantita della salvezza
umana. Nulla di più sbagliato. Non c'è nulla di rassicurante, di garantito e
tranquillizzante in queste indicazioni; c'è invece qualcosa di prezioso, che
però sta a noi cogliere e sviluppare. Tutto ciò non è affatto ovvio e scontato.
Volete questo...?
4. Dovremmo sempre tener
presente quella che Primo Levi chiamò - riferendosi ad Auschwitz e alla brutale
disumanizzazione dell'uomo che la caratterizzò - la "memoria
dell'orrore", che non serve per restare paralizzati nell'azione
dall'orrore, ma per scongiurare il peggio, per non riprodurre gli orrori del
passato. Noi stiamo dimenticando o sottovalutando l'orrore nucleare di
Hiroshima e Nagasaki? L'uso delle armi biologiche, chimiche e nucleari
"tattiche", oltre a comportare un livello comunque altissimo di
morte, inquinamento e distruzione, espone al rischio altissimo di una escalation atomica incontrollata e
incontrollabile. Noi siamo venuti al mondo per ammazzarci gli uni con gli altri
e per devastare il pianeta o per abitare degnamente la terra? Questo è l'aut-aut decisivo che oggi concerne
l'odierna umanità planetaria. 5.Un
grande filosofo italiano del XX secolo, Enzo Paci, ci aiuta a concepire una
"fenomenologia del negativo" che risulta di sconcertante attualità:
"L'umanità non può trovare la propria via, se séguita a credere, nel
fondo, alla chiacchiera, all'inganno, al ricatto, al gioco della superpotenza e
della schiavitù, alla forma estrema, ben più vasta e decisiva di quanto Hegel
avesse pensato, della dialettica servo-signore. Si tratta di un realismo
machiavellico portato agli estremi e di un'apocalisse concreta. Una nuova fondazione,
è qualcosa di ben più profondo di un gioco di parole e di un continuo scacco e
illusorio trionfo di supremazia. Nel caos esteriormente ordinato l'uomo-idiota,
nel senso di Dostoevskij e del Flaubert di Sartre, ci dà il senso di una
passività crudele e del trionfo di una mediocrità totale. Per questo la
filosofia, in un modo nuovo, è costretta a riproporsi il tema della dialettica
e il problema del senso della negatività, di una negatività che non sia
superficialmente soltanto una funzione di un bene retorico. Il male nel quale
l'uomo si radica suscita uno stupore incoercibile"[4].Sono parole lucide e amare, scritte nel 1974, che colgono perfettamente
ancor oggi il tragico dell'esistenza e che vanno tenute ben presenti se
vogliamo aprirci non illusoriamente verso il bene, verso orizzonti inediti
della civiltà planetaria.
Note 1F. Hölderlin, Patmos,
1800, in Id., Poesie, a cura di G.
Vigolo, Mondadori,
Milano 1986, pp. 216-217. 2Cfr. M.
Heidegger, Die Frage nach der Technik, 1953, in Id., Vorträge
und Aufsätze
(1954, vol. VII della Gesamtausgabe), Klett-Cotta,
Stuttgart 2004, pp. 9-40; trad. it., La questione della tecnica, in Saggi
e discorsi, a cura di G. Vattimo, Mursia, Milano 1976-1980, pp. 5-27. 3E. Mazzarella, Il gran
pericolo e ciò che salva, "Avvenire", 7 ottobre 2022 4E. Paci, Sulla
fenomenologia del negativo, 1974, in Id., Il senso delle parole 1963-1974, a cura di P. A. Rovatti, Bompiani,
Milano 1987, pp. 294-295.