Confesso che ho seguito un poco da
lontano le ultime vicende politiche del Paese che quando interrogavo con
attenzione mi parevano appartenere a quei casi discorsivi che nel parere
filosofico di Bacone oscillavano tra il teatro e il foro. Dico però subito che
rispetto a una situazione storica complessa e pericolosa come quella che dà
forma alla nostra vita, non credo affatto di possedere anche una piccolissima
macchina della verità. Né, tanto meno, credo che qualcosa appaia in una
indiscutibile evidenza. Anzi temo che certe mie conclusioni del tipo “vivi
nascosto”, possano derivare da qualche frustrazione narcisistica o da una
memoria un poco ossessiva.Eppure non mi
pare ben fatto volere ignorare che alle spalle dell’incerto commentatore vi
siano lunghe e ostinate letture, interrogativi sempre aperti, conoscenze ovvie
e pubbliche, critiche severe ma valide, teorie riconosciute nel loro luogo
onirico o supponente, fastidio per i praticoni, sospettoso per ogni magia che
vada dall’anima alla storia, diffidente nei confronti di ogni portatore di
salvezza, spesso con un lessico impudente, adatto per pubblicizzare nuove
miracolose caramelle. Con queste reticenze mi è vietato entrare in luoghi
diffusi dove la politica diviene uno spettacolo pubblico come di graziose e
invidiabile soubrette, le quali giustamente sono vendicative e chiudono la
porta in faccia a discorsi che appaiono fuori tempo e fuori luogo. Di qui la
corrispondenza tra prassi politica e comunicazione che non può essere educativa
perché, purtroppo, ha quasi solo l’onda dell’eco. E tuttavia abbiamo la libertà
di dire qualcosa e allora troviamo uno spazio in una lezione storica. Di fronte
alla storica e spesso tragica competizione tra tirannia e democrazia gli
aristotelici greci (e i loro attuali ripetitori) vararono il concetto politico
di “politeia”. Il quale stabilisce che il fine della politica è l’equilibrio
felice nell’insieme dei fattori che costituiscono la vita della città. Se
questo è il fine della politica esso richiede due attenzioni: la conoscenza dei
problemi della città e i desideri legittimi e armonici dei cittadini. Un’opera
che unisce necessita, possibilità e desiderio. Se veniamo alla nostra epoca
abbiamo un elenco clamoroso di necessità poiché abbiamo vissuto secondo il
ritmo di un tempo che oggettivamente non era proprio il nostro. Come sia
accaduto è un problema troppo vasto per queste poche righe. L’elenco però è
vastissimo: il lavoro, il territorio, l’acqua, le risorse, il clima, i rapporti
internazionali in un’epoca che deve riconoscere sé stessa, a cominciare dai
suoi simboli culturali. È su questi e molti altri problemi che la politeia offre un
modello importante di azione politica. Essa, e va detto con chiarezza, richiede
politici che amino la politeia più che sé stessi. Può sembrare strano che un
filosofo estimatore di Machiavelli, finisca con una esigenza amorosa. Ma la
politica è un’arte, che come le altre esige il cambiamento. Per una politeia
contemporanea sono necessari politici che, come dicevo, amino più la città che
sé stessi e le loro opinioni: una vera risorsa che può educare i cittadini
(altro che astensione). Quanto al giudizio sul loro operare è opportuno
ricordare quello che Orazio diceva a Celso Albinovano, segretario
dell’imperatore: “Da come opererete sarete giudicati”.