La capretta di Alberto. Sono amico
di Alberto Casiraghy da molti anni; da molto prima di quando ha sostituito la i
italiana del suo cognome nella y. Mi ricordo la prima volta che andai a
trovarlo in quel di Osnago in una villetta tutta sua, incredibilmente piena di
oggetti e sculture di ogni genere. Con le sue tante creazioni in miniatura, i disegni,
il torchio a mano con cui stampava i meravigliosi libretti a tiratura limitata suoi
e di tutti noi: poeti, aforisti, letterati, artisti e che sono andati in ogni
dove, diventando anche “oggetti da collezione”. E il suo immancabile violino, e
le galline che razzolavano dentro e fuori casa, e i conigli, e le verdure che
poteva raccogliere all’istante per farti quello che lui con civetteria chiamava
“risottino francescano”, e la capretta… Giorni fa mi ha mandato un saluto
proprio con la foto di una sua capretta. Una capretta colta sull’uscio di casa con
davanti al muso un cartiglio su cui ha voluto riprodurre la scritta amichevole
di benvenuto. In verità la scritta è in inglese, welcome, e questo è un vero tradimento della nostra magnifica e bellissima lingua. Ma è un
peccato veniale e glielo perdono. Ho sempre invidiato gli amici che hanno avuto
la doppia fortuna di avere una casa con davanti un orto o un giardino e quella
di potere andare in ogni dove, ma rimanere ancorati al luogo dove si è nati, a
quello della propria lingua, degli affetti sicuri, e dove si sarà seppelliti. A
me invece è toccata una vita nomade. Ma l’arrivo della foto della capretta di
Alberto mi ha fatto bene: sia perché il saluto affettuoso di un amico che ti
raggiunge in un altro luogo è sempre il benvenuto, sia perché ho una
considerazione particolare per le caprette, come ce l’ho per gli asini. Animali
per niente stupidi o sottomessi. Io li considero intelligenti, caparbi, umili,
miti, generosi, e sommamente utili. Il contrario di tanti bipedi in
circolazione: arroganti, maligni, guerrafondai, disonesti, e assolutamente
nocivi per il genere umano.