Franco
Fergnani (1927-2009), è stato un maestro di stile umano e di stile filosofico
per moltitudini di studenti che si sono avvicendati con passione e meraviglia alle
sue lezioni di filosofia morale presso l’Università Statale di Milano. Stupiva
il suo tratto umano e il suo modo di porsi, come un filosofo itinerante, un flaneur del pensiero che filosofo era in
ogni luogo del quotidiano, fosse un corridoio, un caffè, un cinema. Forse filosofava
anche con sé stesso, in lunghi monologhi che dallo studio in Università, lo portavano,
carico di libri, alle aule, ove in qualche modo si ricomponeva per dar luogo
alla lezione, che tuttavia pareva già iniziata, affabulata in quel fraseggio
solitario. Da pochi anni scomparso in solitudine, così come era vissuto,
refrattario ad ogni logica di potere anche accademico, affascinava per l’ethos
che metteva nelle sue lezioni, affollatissime, e che costruiva sul momento, nel
senso che la traccia da lui prefigurata, andava intessendosi di mille
parentesi, di rinvii e peripezie linguistiche che, lungi dalla dispersione,
davano l’impronta di un pensiero in movimento, elastico, mobile, sollecitato, come
per l’oscillazione di un pendolo intellettuale. Rigorosissimo nel riscontro dei
testi, non ne rimaneva prigioniero, sapendo sempre leggere tra le righe il non-detto
o non ancora detto ma già in nuce annunciato, intuito, preformato, aprendo
nuove avventure al pensiero. Giunto a Milano agli inizi degli anni Settanta,
dopo una lunga scuola di insegnamento in licei di provincia, si inserì in quel
terreno fertile di ricerca filosofica che recepiva le voci di un marxismo
antidogmatico e critico (posizioni già abbozzate nel suo lontano libro del 1964
Marxismo e filosofia contemporanea) e
che lo condusse a dialogare con pensatori eterodossi quali Bloch, Merlau-Ponty,
Sartre, con un Gramsci affrancato da una lettura ortodossa, le cui idee
cominciavano allora a circolare in Italia e a penetrare anche nelle aule
accademiche. Il suo impegno anche morale e politico (ma non nel senso di una
militanza schierata) lo fece un punto di riferimento per molti giovani che
cercavano in Università un sapere non paludato e incrostato, ma dialettico,
aperto, utopico, nel senso usato da Fergnani in un suo bel corso sulla
problematica dell’utopia in Bloch. Una dispensa forse oggi andata perduta ma
preziosa. Ricordo che ad un esame (tra l’altro Fergnani fu correlatore nella mia
tesi di laurea discussa con Enzo Paci) egli notò che avevo fatto rilegare il
fascicolo della dispensa e incuriosito mi chiese candidamente come mai. Non
ricordo la mia risposta, se mai ci fu, ma da quell’accidente nacque un dialogo, un rapporto, anche perché ero l’ultimo
studente esaminato e dopo salimmo insieme nel suo ufficio nell’Istituto di Filosofia
continuando in un certo senso la conversazione dell’esame. Quando andai a
Parigi Fergnani mi chiese di cercargli alcuni libri su Sartre e su Gorz (fu il
primo, credo, ad assegnare una tesi di laurea a questa figura di cui in Italia
nulla fino ad allora era stato scritto) e al mio ritorno non smetteva mai di
ringraziarmi, anche se non tutti li avevo reperiti. Era un uomo gentile,
signorile, anche se c’era nel suo tratto umano un qualcosa di irrisolto,
probabilmente dovuto alla sua esperienza di internato in un lager nazista. Grande
conoscitore del pensiero di Sartre, dedicò la sua vita allo scandaglio di
questo pensatore.
La sua opera La cosa
umana. Esistenza e dialettica nellafilosofia
di Sartre, oggi purtroppo introvabile, è un dialogo serrato con le asprezze
ma anche con le scoperte nascoste nei testi sartriani. Fergnani maieuticamente
ne enucleava il senso sotterraneo, aprendo prospettive impensate anche a chi si
incaponisse in letture stereotipate e di maniera. La sua lezione di rigore e di
umanità non dovrebbe andare perduta. Per questo sarebbe auspicabile che
qualcuno ritrovasse e salvasse dall’oblio i non pochi suoi scritti sotto forma
di articoli su varie riviste come “aut aut”, “Utopia” e altre ancora. Oggi
reperibile è infatti solo il suo Antonio
Gramsci. La filosofia della prassi nei Quaderni del carcere, pubblicato da
Unicopli nel 2011 e che trae origine da un suo vecchio corso universitario.