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domenica 13 novembre 2022

ADONIS, CONCERTO PER GERUSALEMME   
di Roberto Taioli

Adonis
 
Il Concerto per Gerusalemme, composto a Parigi nel 2012, è prima di tutto un atto d’amore verso questa particolarissima città che ospita tra le sue mura le radici di tre religioni che hanno segnato e segnano la storia dell’umanità, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islamismo. Città divisa e lacerata, e al contempo unita per la sacralità che la pervade, Gerusalemme nei versi di Adonis assurge a cifra simbolica del conflitto che sembra non avere mai fine, ma anche di una speranza, di una fiammella che non muore. Potranno mai le sue membra ferite e vilipese ritrovare l’armonia di un corpo, di una immagine complessa, stratificata nel profondo delle viscere della storia, ma integra e solenne? Adonis, nato in Siria nel 1930, è uno dei massimi poeti dei nostri giorni, da molti anni trasferitosi a Parigi, autore di una lunga catena di opere poetiche pubblicate in Italia dall’editore Guanda. Profondo conoscitore anche della tradizione poetica occidentale, la sua musica (nel poemetto la poesia è simile al ritmo musicale) non disdegna di penetrare nei più profondi anfratti della storia, svelandone le oscurità e i disinganni. Nel Concerto già l’incipit svela l’atteggiamento orante del poeta:
“Lassù, lassù /guardatela pendere al collo del cielo / guardatela cingersi con le ciglia degli angeli/. Nessuno la raggiunge con i propri piedi, / si possono usare la fronte, le spalle, magari l’ombelico. / Scalzi bussate alla sua porta, / aprirà un profeta che vi insegnerà come camminare/ e inchinarvi. / Teatro diretto da un grande saggio. / Il Signore fa tutto questo per i suoi figli”).
Occorre pertanto un atto rituale per avvicinarsi anche solo spiritualmente a questa città, compiere un esercizio di abbandono, di annullamento, lasciarsi permeare e trasportare  dalla forza secolare che vi aleggia e che, nonostante le offese della storia, ancora la pervade. Il fascino magico di Gerusalemme sta nel trovare in essa ognuno di noi un brandello di carne che ci appartiene.


Adonis al centro, Gaccione in piedi
col microfono. (Milano, 10 maggio 2005)

Adonis è uomo e poeta scevro da ogni forma di confessionalismo integralistico eppur critico nei confronti dell’Occidente che ha trattato Gerusalemme in nome di una fredda ragion di Stato, senza coglierne la singolarissima cifra di sentinella e di faro dell’umanità. Semmai Adonis rivendica le ragioni della interrelazione, della sintesi, del dialogo tra le diverse anime che la compongono, perché non prevalga la spada (vedasi a proposito il bellissimo saggio La preghiera e la spada). Egli è poeta che non tema la pluralità e le differenze e che ha teorizzato il principio dell’apertura e dell’ascolto, della connessione a tutto ciò che vi è di umano. Durante un viaggio in Italia ebbe a pronunciare solenni parole che fungono da dichiarazione di poetica e paradigma morale: “Sì, sono d’accordo con Publio Terenzio Afro, Homo sum, humani nihil a me alienum puto”, sottolineando la continuità col poeta latino ed una sorta di itinerario spirituale dell’umanità. Tutto ciò che è umano mi appartiene, anche quando mi proviene dall’altro. Siamo impastati dello stesso lievito, macinati dallo stesso frantoio. E poi in una sosta a Napoli: “A Napoli la tomba di Virgilio è accanto a quella di Leopardi, segno di una continuità che è anch’essa una forma di dialogo attraverso lo spazio e il tempo. In modo analogo, si può essere di religioni diverse, ma quando vediamo la statura del Cristo velato di Giuseppe Sammartino nella Cappella Sansevero contempliamo un’espressione dell’arte umana. L’arte aiuta a portare tutto su un piano di profonda umanità”. Non dimentichiamo qui, riguardo alla funzione salvifica dell’arte, il grande amore che Adonis ebbe per Rimbaud, cui dedicò appassionate pagine. 


Adonis (Milano, 10 maggio 2005)

Per Adonis trascendenza ed immanenza non postulano valori astratti ma semmai esigono un chiasma, un incrocio di dimensioni. Nel Concerto questo risulta evidentissimo nella continua invocazione all’alto e nella altrettanto continua chiamata che la terra opera attraverso lo svolgersi della storia, nei suoi drammi e tragedie:
 
O Gerusalemme, Gerusalemme!
Nella tua età del bronzo, la mela era una donna.
Nella tua età petrol-elettonica la mela
è diventata bomba:
nella trasformazione
i missili puntano soltanto verso le case degli innamorati.
Innamorati: alcuni prendono le loro carte e vanno
verso l’età della pietra,
altri prendono le loro carte e si perdono:
non sanno quando andare, dove e come rivolgersi?
 
Dalle mammelle dei pianeti, gli angeli della certezza
fuggono e vengono da te.
Si lavano alla tua acqua e si inchinano alle tue palme.
Trascinano il cielo per i capelli e lo portano a te.
Il cielo si sottrae al cielo. Le loro corde tengono
la terra per il collo.
 
E nella conclusione, tutta lasciata pur nell’orrore, al sapore della speranza:
 
La morte si rigenera, la morte s’accumula,
una tomba arretra, una avanza,
una lapide legge la natura e ciò che vi sta dietro, il nervo del cielo
s’addentra nel corpo della terra, l’istinto
è un paradiso dove è incoronato
il piombo.
Ribellati, o argento, di’ ai bambini:
trasformatevi in scudi,
dì’ alle donne: immergetevi
nell’impasto della passione,
la morte s’accumula, la morte si rigenera,
càlmati, bussola, non fermarti,
la musica del piombo ha intonato
la litania funebre per gli uccisi,
una stella a cavallo passa sotto
un ponte, portando una bambola chiamata politica,
politica che pratica il meretricio
sotto un cielo sulle cui spalle cresce
la preghiera,
chi metterà alla prova quelle rovine
che hanno infranto il patto con Dio?
 
Un monte che corre come il vento,
un fiume che risale per bere le nuvole,
ma, che cosa farà la primavera in questa città
tra bambini che muoiono soffocati o bruciati?
Che cosa farà di una lingua che rifiuta di leggere
altro che non si autunno?
E tu, inferno, in quale cielo stai?
Da quale cielo discendi?
 
Come dopo l’ascolto di una sinfonia, ora un po’ di silenzio.