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domenica 27 novembre 2022

CARLO SINI PER PAPI
di Carlo Sini


Papi nel suo studio
(foto archivio Odissea)
 

Durante molti e molti anni ho avuto la fortuna di poter considerare Fulvio Papi uno dei più cari e affettuosi amici personali, oltre che un collega straordinario e, vorrei dire, un compagno di strada con il quale ho avuto l’onore di collaborare in innumerevoli occasioni pubbliche, accademiche e non, godendo anche della sua generosa considerazione. Questo però non è tutto.
La figura di Papi ha infatti rivestito per me un tratto di autorevolezza e di superiorità personale, dovuta credo al fatto di aver incontrato Papi per la prima volta nella sua funzione di assistente di Antonio Banfi alla Statale di Milano; io ero invece uno studentello alle prime armi. E così ricordo perfettamente il mio esame di Storia della filosofia con Banfi, che aveva al suo fianco il giovanissimo Fulvio. Lo stesso Papi ha avuto la bontà di ricordare in diversi suoi scritti le circostanze di questo esame, che ora mi è ancora più caro nella memoria. E il fatto è che da allora Papi è sempre stato per me più avanti e più in alto della mia persona: una figura autorevole, anche sullo sfondo delle nuove relazioni di lavoro e personali, nelle quali mi trovavo nondimeno collocato alla pari come collega e come amico (e tra gli amici tutto è comune, diceva Aristotele). Questo fatto antico mi ha consentito di osservare un aspetto concernente la personalità umana di Fulvio Papi: la sua naturale autorevolezza, appunto, un tratto spontaneo e del tutto in contrasto con altri aspetti. Tutti coloro che hanno conosciuto Papi hanno certamente notato la sua assoluta assenza di pretese, la sua cordialità genuina, il non darsi mai arie di sorta e anzi l’esibizione di una spontanea bonomia, signorilità e semplicità nel rapporto, oltre alla generosità, che era un tratto predominante della sua natura, di cui io stesso ho ampiamente goduto nei suoi giudizi. Tutto ciò è verissimo, ma l’autorevolezza è in sé un’altra cosa e in Papi era qualcosa di profondo e di innato, di cui penso non fosse neppure consapevole. Ne ho nella memoria vari episodi ed esempi concreti: per esempio di fronte ai colleghi di Filosofia teoretica, quando chiedemmo la loro collaborazione per la richiesta al Ministero della assegnazione della Filosofia della storia al nostro raggruppamento (la quale stava invece, chissà perché, in Morale); poi nello svolgimento di una Commissione di Concorso a Pavia (bloccando certe pretese del terzo Commissario) e così in altre circostanze. Papi “tagliava corto”, asciutto nella sua cortesia formale, ma tranquillamente sicuro di sé, certo di fare il giusto e serenamente impositivo; da ciò scaturiva una autorevolezza per nulla autoritaria, “oggettiva”, e pertanto efficace e indiscutibile.
Questo tratto del mio Fulvio ha accompagnato i nostri rapporti tutta la vita, senza ovviamente che lui ne sapesse qualcosa. Anche nei momenti di maggiore familiarità non ho mai smesso di sentirmi come di fronte a una persona cui si doveva particolare rispetto, non banalmente formale ma sostanziale; forse posso azzardarmi a dire: come si deve a un fratello maggiore, dalla personalità molto più grande e ammirevole. Ma lo dico con prudenza ed esitazione, ora che purtroppo Lui non c’è più a rassicurarci col suo sguardo sereno e con i suoi modi semplici e diretti, ora che la perdita ha per me anche questo tratto unico e indimenticabile.