MONTE DI PIETÀ
di
Franco Astengo
Il palazzo del Monte di Pietà di Vicenza
I
giornali locali titolano "Code al Monte dei Pegni, lite tra i clienti,
picchiata un'anziana". Succede a Savona piccola e tranquilla città di
provincia post- operaia, in declino economico e di identità: età superiore alla
media (la provincia è la più longeva d'Italia), immigrazione minima, lunghe
file di negozi chiusi in particolare nelle vie che collegano il centro alla
periferia.
Il
Monte dei Pegni corrisponde all'antico Monte di Pietà dove i poveri
"impegnavano" i pochi beni in cambio di denaro utile per le spese
quotidiane; beni che poi si cercava di riscattare mesi dopo con grande fatica
e, qualche volta, con il risultato di vederseli battuti all'asta. Si impegnava
di tutto: in particolare, nella forma classica, la biancheria o le posate e le
stoviglie magari ricevute come dono di nozze. Allora "Il Monte" si
trovava in pieno centro storico, in un palazzo avito che oggi ospita un
importante museo: anche in quel tempo si vedevano le code per depositare e riscattare,
parte di un indimenticabile panorama umano. Adesso ci troviamo oltre allo
stadio dei "Compro oro": siamo al segno di una povertà diffusa,
magari vissuta dignitosamente da anziani rimasti soli, una "povertà da
giacche rivoltate" come accadeva un tempo di cui sembrava persa la
memoria. Roba da anni'50, da quel neorealismo di cui Andreotti, grande
interpreta della censura di un'Italia dalla facciata perbenista, diceva "i
panni sporchi vanno lavati in casa". Tutto questo accade nel Nord del
Paese, alla vigilia del luccichio natalizio, con attorno la vacuità di un
presunto turismo marino, anche in questo caso molto di facciata nell'affannarsi
della reciproca voracità dello spendere e dell'accumulare da parte delle
categorie espressioni della modernità di un corporativismo ben espresso dal
recente voto politico.
Una
città, Savona, dalla borghesia ricca che ha storicamente riempito le banche
senza investire con gli imprenditori venuti dall'estero per lanciare
l'industria alla fine dell'800. Una città, Savona, che ha vissuto davvero la
lotta di classe condotta da quella che si definiva "classe operaia forte,
stabile, concentrata" poco incline anche verso il consumismo degli anni '60.
Una
città nella quale le disuguaglianze continuano sottilmente a crescere avendo
come risultato larghi vuoti soprattutto nel "lineare" centro
ottocentesco, modellato sulla Torino anni'30-'40 del XIX secolo e di
conseguenza sulla Parigi di allora : appartamenti sfitti e in decadenza,
facciate antiche ormai consunte in un panorama dove spuntano ancora gioielli
liberty accanto all'invasione del cemento risalente alla frenesia degli anni
del grande scambio della deindustrializzazione/speculazione edilizia, la cui
espressione più evidente rimane la noia dell'essere punto di passaggio della crocieristica
fiera delle vanità. La lite davanti al Monte dei Pegni sembra l'emblema di una
"pervasività" del declino. Amministratori di buona volontà stanno
cercando di fronteggiare questo stato di cose soprattutto recuperando alcuni
importanti contenitori storici e da lì tentare il modellarsi di una nuova
identità. Un tentativo da incoraggiare con fiducia: rimane però la sensazione
dell'antico che afferra il nuovo e cerca di trascinarlo nel ritorno alla triste
povertà di un tempo lontano mentre rimane il ricordo delle ciminiere da cui
usciva il fumo degli altiforni: laddove stava la Savona del lavoro.
Il palazzo del Monte di Pietà di Vicenza |