NAUFRAGHI IN UN MARE DI NEVE
di Emilio Battisti
Una bella mostra, la tragedia della Campagna di Russia
e lo zio Generale degli Alpini. Quattro novembre giornata delle Forze Armate,
ma cosa celebrare?
La mostra che è stata
recentemente inaugurata alla biblioteca Sormani a Milano intitolata Naufraghi
in un mare di neve, dedicata ad alcuni artisti e scrittori che hanno
partecipato alla campagna di Russia, ha la finalità di esplorare le vicende
dell’ARMIR, il corpo di spedizione che operò dal luglio del 1942 nella zona del
Don, attraverso le testimonianze e le opere di artisti e scrittori che vissero
in prima persona il dramma della ritirata, con il suo terribile bilancio di
morti e dispersi. Sono esposte opere pittoriche e disegni originali dei pittori di guerra Cesare Andreoni (1903-1961) e Francesco Fedeli
(1911-1997) e scritti, lettere e documenti e libri che testimoniano
l’esperienza vissuta sul fronte russo da Nuto Revelli (1919-2004) e da Mario
Rigoni Stern (1921-2008), che consegnarono alle loro opere i resoconti più
lucidi e terribili su una autentica tragedia nazionale. Sono esposti anche alcuni
documenti relativi alla breve esperienza condotta da Filippo Tommaso
Marinetti sul medesimo fronte, oltre a periodici, documenti archivistici e
video. La visita a questa mostra, mi ha indotto a considerare e riflettere
sull’attuale drammatica situazione della guerra in Ucraina, rispetto alla quale
ci sentiamo incapaci e impossibilitati a influire, come certamente è stato per
i nostri nonni e padri nei confronti delle due guerre mondiali che hanno
insanguinato il secolo breve. Infatti, l’attuale
invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin appare simmetrica
rispetto all’invasione dell’URSS che l’Italia fascista fece a fianco dei
nazisti nella Seconda guerra mondiale. Ma mi offre l’opportunità di riflettere
anche su una mia vicenda familiare che con quella grande tragedia e con i
territori nei quali si combatte la guerra attuale, ha attinenza. Digitando il
mio nome in Internet, avrete notato che insieme al mio profilo esce anche
quello di un altro Emilio Battisti, generale degli alpini, morto oltre
cinquant’anni fa, fratello di mio padre. Poiché era l’esponente più
prestigioso della famiglia, mi è stato dato il suo stesso nome e anch'io avrei
dovuto intraprendere la carriera militare. Destino a cui scampai essendo stato
trovato troppo gracile all’età di 13 anni, al momento dell'ammissione alla
Scuola militare "Nunziatella" di Napoli. Non ho avuto frequenti
rapporti con mio zio, a parte qualche riunione familiare, e averlo accompagnato in occasione
dell’adunata degli alpini che si tenne a Milano nel 1959, quando rimasi
impressionato dalla venerazione che gli veniva tributata. Cosa che allora
sfuggì alla mia comprensione di ventenne, ritenendo fosse una consuetudine
degli alpini nei confronti dei superiori in grado.
Il gen. Battisti durante
la prigionia in Urss
Ma ho avuto modo di interessarmene più a fondo in
occasione di un lascito ereditario, essendo venuto in possesso delle lettere inviate alla moglie da varie
località di conflitto e di molte cartoline militari dalla prigionia in URSS,
oltre alla documentazione originale di alcuni momenti della sua lunga carriera,
durante la quale partecipò a tutte le guerre, da quella italo-turca del 1910
fino alla disastrosa campagna di Russia.
la prigionia in Urss
Ho poi compreso che gli alpini che parteciparono
all’adunata del 1959 onoravano il comportamento che mio zio aveva tenuto
durante quella tragica ritirata, perché si rifiutò di abbandonare i militari
della divisione Cuneense al suo comando, quando i tedeschi lo raggiunsero con
un aereo per portarlo in salvo. Pagò quella scelta a caro prezzo, con quasi
otto anni di prigionia insieme ad altri due generali italiani, Umberto Ricagno
ed Etelvoldo Pascolini, tra i quali è ritratto in stato di prigionia davanti al
monumento di Stalin.
A proposito della sua lunga prigionia, un fatto assai
controverso da approfondire riguarda la notizia riportata dal Corriere della
Sera nel 1992, quando in occasione della desecretazione degli archivi
dell’URSS, è stato trovato un documento, datato 1° settembre 1943, dal quale
risulta che 164 prigionieri italiani, compresi i tre generali citati, sarebbero
diventati, una volta rientrati in patria, informatori del KGB. Un sospetto che valse loro
l’accusa di essere dei traditori. Il
fatto è tuttavia controverso, perché la data del documento anticipa di
soli due giorni la firma dell’armistizio con la nostra resa incondizionata agli
alleati, di cui faceva parte anche
l’URSS. Ma anche perché una volta in patria, mio zio riprese servizio
nell’esercito della Repubblica, e dopo il congedo si candidò nelle liste del
MSI. E ciò sembra
escludere una sua collaborazione con il paese comunista, anche se nulla, in
questo opaco scenario, si può ritenere impossibile. La candidatura nelle liste
del MIS oltre a confermare la sua adesione al fascismo, lo mise in grave
contrasto con i territori dai quali provenivano gli alpini della Cuneense. Nel
1962, in occasione di una adunata che doveva essere ospitata in una sala del
Municipio di Roccavione, comune della valle Vermenagna che si attesta sul Colle
di Tenda, fu concessa a condizione che non vi partecipasse il neofascista
generale Battisti. Ma nel carteggio ereditato ho trovato altri documenti ancora
più inquietanti, perché la sua lunga carriera, che lo portò ai massimi gradi,
diventando sotto il fascismo capo di stato maggiore Gruppo armate ovest,
comportò rapporti ufficiali con la Germania nazista, come documentato in questa
foto nella quale lo si vede sedere alla destra di Hitler in occasione di un
banchetto in suo onore presso la cancelleria di Berlino, nel luglio del 1939.
Tale riguardo gli fu probabilmente riservato in
considerazione del fatto che aveva partecipato alla guerra di Spagna, terminata
proprio quell’anno, in aprile, con la vittoria di Francisco Franco, grazie
all’appoggio nazifascista, al quale mio zio collaborò. Infatti, attorno al
grande tavolo di quel banchetto, insieme a Hitler e agli alti ufficiali nazisti
sedeva, oltre a mio zio, il generale spagnolo Don Juan Yague, soprannominato el carnicero di Badajoz per la strage di
4000 civili che compì durante la guerra civile dopo avere espugnato la città.
Elenco dei commensali del banchetto
in onore del generale Battisti
La partecipazione
alla guerra di Spagna valse a mio zio un’onorificenza a firma di
von Ribbentrop, ministro degli esteri del Terzo Reich, autore del controverso
trattato di non aggressione con l’URSS, principale organizzatore dell’Olocausto
e primo dei condannati a morte per impiccagione al processo di Norimberga. L’autorevole
immagine familiare che avevo dello zio è stata cancellata, perché è risultato
del tutto evidente che nel luglio del 1939, dopo quasi un anno dalle nostre
leggi razziali, era certamente complice di quanto si stava compiendo in Italia
e accadeva in Germania già da anni.
in onore del generale Battisti
Ritornando alla ritirata della campagna di Russia, a
posteriori si può ritenere che egli, rifiutando il soccorso dei tedeschi, si
sia in effetti salvato la vita. Infatti se fosse tornato in Italia in quel
momento gli sarebbe sicuramente stato fatto carico della disfatta, sarebbe
stato coinvolto nella repubblica di Salò e chissà quali altri rischi avrebbe
potuto correre. Non salendo su quell’aereo e restando a capo della Cuneense, fu
fatto prigioniero in prossimità di Waluiki, una località non lontana dal
confine ucraino attualmente conteso da Putin.
In rosso l'itinerario del ripiegamento
della Cuneense
Ritornato in Italia nel 1950, al termine della
prigionia, riprese servizio nell’esercito della Repubblica come generale di
corpo d’armata e poi come presidente del Consiglio Superiore delle Forze
Armate. Una carica per la
quale, al momento del congedo, ricevette una lettera autografa di Luigi
Einaudi, secondo presidente della Repubblica che, indicando le tappe della sua
carriera, lo congedò tributandogli un omaggio a me parso ingiustificato.
Soprattutto se si tiene conto del fatto che quella della Cuneense può essere
considerata la più grande disfatta mai subita da una divisione nella storia
moderna dell’Europa occidentale, con circa 16500 caduti e dispersi a fronte di
18000 combattenti, dei quali meno di 1600 sopravvissuti. E non sembra proprio
abbia senso, alla luce della disfatta dell’Armir, celebrare il 26 gennaio di ogni anno con la Giornata della Memoria e del sacrificio
degli alpini, la ricorrenza della battaglia di Nikolajewka unica
vittoria sul campo nell’ambito della tragica ritirata di Russia in cui migliaia
di alpini abbandonati e persi nel freddo, equipaggiati malamente, si sono
battuti tenacemente, con l’obiettivo di evitare la prigionia e tornare a casa.
Ma c’è da chiedersi, cosa ci facessero gli alpini insieme ai tedeschi nei
pressi del confine russo-ucraino, a tremila chilometri da casa, nel freddo
inverno del 1942 - ’43. Il contingente alpino
faceva parte di un corpo di spedizione fortemente voluto da Mussolini,
nonostante i dubbi degli alti comandi tedeschi sull’adeguatezza logistica e
tecnica del Regio esercito. Ma l’Italia fascista non voleva perdere l’occasione
di partecipare alla “crociata antibolscevica” scatenata da Hitler il 22 giugno
del 1941 violando il patto Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939. L’“Armata italiana in Russia” sarebbe
arrivata a contare fino a 230.000 uomini e l’invasione fascista della
Russia, a fianco dei nazisti, fu una delle vicende più vergognose e drammatiche
della storia del fascismo. Ben altro ci sarebbe da ricordare e celebrare: ad esempio
tutti quegli alpini che, tornati in Italia, parteciparono alla Resistenza.
Infatti, non pochi soldati dell’Armir maturano una profondissima avversione per
i nazisti e per i fascisti italiani che li avevano mandati al macello, e che
avrebbe portato alcuni di loro, pochi mesi più tardi, a scegliere di
combatterli. Tra loro Nuto Revelli, futuro comandante
partigiano. In un ciclo di lezioni organizzate nel 1961 a Torino, rivolto a un
pubblico di studenti, Revelli avrebbe rievocato il crollo psicologico quando,
proprio a gennaio del 1943, il caos aveva colto lui e i suoi commilitoni a Podgornoje,
mentre ripiegavano dal Don. Quando mio zio morì fu sepolto nel
Sacrario militare di Redipuglia, ma nel 1983, rispettando le sue volontà, gli alpini
trasferirono le sue spoglie al Colle di Nava, dove sono sepolti i caduti della
Cuneense.
della Cuneense