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mercoledì 2 novembre 2022

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada

 
I fenomeni atmosferici.


I greci, con (to fainomenon) τ φαινόμενον, indicarono: fenomeno, apparenza, il mondo visibile. Dedussero questo sostantivo dal participio presente medio/ passivo di (fainomai) φαίνομαι, con i significati di: appaio, sono visibile, sono manifesto, mi mostro, sorgo. Quando i pastori greci e latini, con il loro codice simbolico, attinente al processo di riproduzione dell’essere, non riuscivano a rendere aspetti del reale e i loro vissuti, si avvalsero dei verbi in μι o in ομαι/αμαι e dei verbi deponenti per indicare cosa si generava in loro in determinati contesti del processo di formazione della vita. Con il verbo φαίνομαι dedussero quanto detto e tant’altro, attraverso questa perifrasi: è ciò che io, pastore, desumo da ciò che nasce dentro (la gravida). Inoltre, dall’aggettivo verbale φαντός (radice: φαν), che è il grembo mostrato, il pastore greco dedusse φαντάζω, cui attribuì anche il significato: m’immagino, da cui, poi: fantasia, che ebbe stretto collegamento con imago imaginis e con immaginazione. Da ricordare che l’immagine si ha solo con la nascita, mentre la fantasia, da una parte è della natura, che ha modalità uguali di processo, ma crea tutti diversi, dall’altra parte è tutto ciò che, dalle conoscenze acquisite e dal grembo coperto, il pastore escogita per rappresentare la grandiosità fascinosa del processo e la bellezza della creatura che si va formando.
Pertanto, fenomeno, sulla base di quel processo non solo indica ciò che appare, ma ha dentro di sé il concetto di essere in divenire, per cui fu collegato all’essere che, divenendo, assume aspetto definitivo (che fenomeno è la creatura!) e ad atmosferico, per indicare i processi meteorologici. Atmosfera e meteorologia sono due parole dedotte dal vocabolario greco. Con (atmos) τμός i greci indicarono: vapore, esalazione e con (sfaira) σφαρα: palla, sfera, sfera celeste, globo, che è quanto si deduce dall’emi-sfera della gravida. Con τμός i greci dimostrano di conoscere i cambiamenti di stato della materia, mentre con sfera celeste ci introducono nella mitica cosmogonia. Con meteorologia, oggi indichiamo tutti i fenomeni che avvengono in alto, negli spazi celesti, che attengono a fenomeni celesti, a meteore, dedotti dall’aggettivo (meteoros meteoron) μετ-έωρος μετ-έωρον: in alto, poi: le regioni elevate/celesti.



A proposito di meteora mi piace sottolineare che il pastore, leggendo il reale attraverso il divenire del grembo, giunge al significato di questa parola, partendo dal verbo είρω: sollevo, a rappresentare il sollevamento del grembo, che dopo (μετά) va in alto: sempre più in alto, fino ad indicare i corpi celesti, che, raggiunto il culmine, scompaiono, così come scompare il sollevamento del grembo.
Pertanto, si dice che i fenomeni avvengono nell’atmosfera e/o nell’ etere, in greco: (aither aitheros) αθήρ αθέρος con i seguenti significati: cielo, regione sopra l’aria, volta del cielo, soggiorno degli dèi. Questa è una parola dedotta da αθω: accendo, brucio, risplendo, frutto di una molto generica perifrasi: dall’andare il crescere, che, verosimilmente, potrebbe avere un legame logico con (thyo) θύω: faccio un sacrificio, faccio fumare. Pertanto, αθω si dovrebbe tradurre: dal generare il fumo (del sacrificio) che indusse i greci a pensare all’αιθ-ere, come cielo, come la regione del fuoco dove brillano gli astri.
Incidentalmente, si ricorda che, da (aitho) αθω, i latini dedussero αιθtus/ αισtus/aestus: ribollimento: calore, ardore, quindi: estate, aestuo: ribollo, sono in effervescenza, avvampo, infurio, e da aestuo persino: estuario, mentre da etere i latini ricavarono: eterno e, nel mio dialetto, c’è il verbo “anchiatrare”, da rendere con assiderare, per cui i due verbi (anchiatrare ed assiderare) rendono la condizione fisica di chi dorme all’addiaccio, sotto il cielo.
Il cambiamento di stato dell’aria determina molti fenomeni atmosferici. Prima di soffermarmi sui vari fenomeni, mi piace individuare il processo formativo di questa parola, che fu utilizzata in greco, in latino, nelle lingue neolatine, in inglese.
I greci dedussero (aér aéros) ήρ έρος: aria, vapore, cielo dal verbo in μι: ημι: soffio, spiro, emano.  Probabilmente, da questo soffio, si generò anche: (aura) αρα: venticello, brezza. In modo del tutto incidentale, mi piace ricordare che da ημι, in greco, fu dedotta: ημα: soffio, vento da cui, in latino: an-()ημα/anima, nel senso di soffio/vento, ma anche di soffio vitale/spirito, quindi: animo/vivifico.



Un’altra parola latina che deriva dal greco è ros roris: rugiada, che è da collegare al verbo έω/έομαι: scorro, fluisco, stillo, colo, mi diffondo. Il contadino latino usò questa nuova perifrasi: è ciò che legando lo scorrere/lo stillare ne determina la nascita. Quindi, da ror i latini dedussero: rorido, rorare e, poi, irrorare.
Anche la parola pruina: brina è un calco greco e rimanda a (proinòs) πρωινός: del mattino, di primo mattino.
Uno dei simboli per indicare il fenomeno atmosferico della pioggia fu, per i greci, (y) υ. Infatti, coniarono (yo) ω: faccio piovere, piovo; dalla radice υ generarono: (yetòs) ετός: pioggia. Inoltre, i greci coniarono anche (yderoomai) δερόομαι: divento acquoso, da cui (ydor udatos) δωρ δατος: acqua e idria nel senso di brocca/orcio. Da δωρ i latini ricavarono: sudore e sudare. Inoltre, i latini elaborarono: pluo/pluvia/impluvium, liqueo: sono liquido, fluo: scorro, poi: flumen/fiumara/iumara. Per quanto riguarda humidus i latini lo elaborarono da humeo: sono bagnato/umido e da humus, che indica il rimanere della pioggia nel terreno, mentre i greci avevano coniato l’aggettivo (ygròs) γρός per indicare umido, da cui igrometro, per indicare il misuratore di umidità.



Il cielo (coelus), che i latini denominarono: è ciò che ho dal sole (λιος con la variante έλιος, in latino anche caelus), preannuncia il tempo che farà. Per i greci il cielo è δια-φανής (processo innescato da φαίνομαι): trasparente, diafano, limpido, καθαρός: puro come la luce del fuoco che illumina, per i latini può essere sereno, il cui contrario è turbato, inoltre, può essere sincero, nel senso di schietto, leale, puro, limpido. Nel mio dialetto si usa dire anche: è sereno, nel senso, però, di aria frizzantina, propria dell’ora tarda: della sera.
Il cielo può essere coperto, per cui i greci inventarono (nefoomai) νεφόομαι per dire: sono coperto di nuvole, che è da collegare a (nefos) νέφος: nuvola. I latini dalla radice νεφ dedussero nebula: nebbia, che, nel mio dialetto si dice: neglia, che rispetta di più la radice νεφ. Da rimarcare che il pastore greco assimila il cielo coperto al grembo coperto!



I latini partorirono la radice nub, da rendere con un vago: va dentro la creatura, meglio: va dentro l’acqua, che portò a nubes nubis: nuvola (che genera pioggia) e a nubo/nuptum: copro, velo, mi sposo, in quanto la sposa era colei che si velava. Poi da nubo si ricavò anche: nubile, per indicare la ragazza da maritare, mentre da nupta (sposata) furono desunte nuptiae (le nozze).
Il calco latino nix nivis, come quello italico, per indicare neve è greco ed è da collegare alla radice (nif) νιφ di νίφω: mando la neve, nevico. I latini rielaborarono così la radice νιφ: νιψ, che, con adattamento fonetico, divenne nix e al genitivo νιφις/nivis.
Un fenomeno atmosferico pernicioso fu (chalaza) χαλάζα e per i latini grando grandinis: grandine. Le due perifrasi attengono al linguaggio del grembo: durante i nove mesi c’è il legare (della pioggia) che genera il mancare. Inoltre, i latini, probabilmente, si avvalsero di questo conio greco per formare calamitas: calamità. A sostegno di questa tesi ricordo che, in latino, i nomi, con il suffisso in itas, sono dedotti, per cui da felice si genera felicità e da buono/bono si deduce bontà. Se, invece, si tratta di un calco tutto latino, indica, parimenti, qualcosa di nefasto che nasce.
I greci da βρέμομαι: rumoreggio/risuono dedussero (bronté) βροντή: tuono, da cui, verosimilmente, brontolare. Invece, da (bombeo) βομβέω: mando un suono cupo, rumoreggio si ebbe, in italiano: rimbombo e, in dialetto: vomm’c’ (calabrone). I latini, invece, da τόνος con il significato di: tono, accento, elevatezza ricavarono tono, tonui, tonare: rimbombare/tuonare, da cui: tonitruum, in dialetto: trunutizz’.  Inoltre, in greco, c’è ομβέω/ύμβέω: faccio girare, da cui il deverbale: όμβος: tamburino, trottola, che determinò in italiano: rombo, ronzare, ronzio, mentre, nel dialetto di Aprigliano, si ha rummari (tuona) e rummulu (trottola) e, nel mio, probabilmente, runnari (indugiare), a causa del continuo girare.



I greci indicarono il lampo/fulmine con κεραυνός, i latini da fulgeo: risplendo, rifulgo, sfavillo, scintillo dedussero: fulgur: lampo, baleno, folgore, fulmen: saetta. Gli italici si avvalsero di stampi greci: λάμπω: splendo, brillo, sfavillo e di βάλλω: lancio, scaglio, saetto, da cui: βαλός/βελός: freccia, saetta, per cui generarono: baleno, balenare, balenio.
Anche l’immagine del vento è mutuata dal grembo materno. I greci con (anemos) νεμος dissero, traducendo a senso: è ciò che si rinviene in una sacca gonfia (che trovando un pertugio fuoriesce con forza), mentre letteralmente: da dentro dal rimanere (chiuso, compresso) è ciò che manca (in questo caso: è ciò nasce). Per i latini animus: coraggio è il risultato di questa perifrasi: da dentro l’andare a rimanere è ciò che manca (ciò che ci vuole), che contestualizza la permanenza nel grembo e/o il travaglio. Inoltre, i latini con ventus asserirono la stessa cosa: è ciò che nasce da dentro il tendere (che è la spinta del grembo). I greci, inoltre, con (ouros) ορος indicarono vento favorevole, mediante questa perifrasi: dal generare lo scorrere (qui scorrere è da leggere alla lettera) il mancare, per cui gli italici da questo mancare dedussero uragano. Da ricordare che ορος fu dedotto con una ε dalla radice ορ (è ciò che scorre).
Ritengo di poter ripercorrere il processo formativo, che portò al conio di Eolo, in greco ιολος, che rimanda ιολάομαι: erro, sono inquieto, sono agitato. Pertanto, Eolo diventa la mitizzazione del vento, in quanto va sempre errando. Uno dei modi per indicare, in greco, tempesta/bufera/uragano fu (aella) ελλα, nome dedotto da ημι (soffio, spiro), che si cita, in quanto assonante, e non solo, con procella, trattandosi di un vento che fuoriesce con fortissima pressione.
La parola (tyrbé) τυρβή: confusione, disordine, trambusto, tumulto, che indica come scorre il flusso spermatico prima che si attivi il legame tra madre e creatura, fu molto usata dai latini: turba, turbare, turbamento, torbido, quindi: turben turbinis e turbo turbinis ad indicare il movimento vorticoso del vento. L’aggettivo vorticoso fu dedotto da verto/vorto: girare, rivoltare, andare vagando.
Molto probabilmente da (alaomai) λαόμαι: vado errando, giro qua e là fu dedotto (aleo) λέω: macino, da cui (alesis) λεσις: il macinare, quindi: alesaggio ed anche: alisei. Anche ala può essere collegata a λαόμαι
da cui alacer, nel significato di: agile, destro, svelto.