Una riflessione del filosofo Fulvio Papi C’è una domanda che oggi
ritorna da un luogo all’altro, da un diffuso timore a una speranza incerta,
dubbiosa, convinta della propria fragilità: quando finirà la guerra in Ucraina?
Gli esperti fanno bene a tentare consapevoli previsioni proiettate su scenari
diffusi e variabili. In ogni caso pare ragionevole ritenere che se ci fossero
approcci diplomatici, essi sarebbero coperti rispetto alla informazione. Le
storie, le memorie, gli effetti di ogni tipo, ma sempre catastrofici per i più,
mostrano che il tempo delle strategie verbali o simboliche, delle vittorie o
delle sconfitte, del gesto “giusto” e dell’affare cospicuo, forse è il nostro
passato. Per parlare oggi della realtà bisogna trovare altri referenti, la
pace, la sicurezza, la tolleranza, la possibile reciprocità di un’idea
senz’altro complicata, di giustizia. Nella modernità come tutti sanno non
abbiamo creato solo una straordinaria intelligenza scientifica, ma anche gli
effetti perniciosi che essa ha provocato. È un secolo che in forme diverse, per esempio il bel noto pragmatismo
democratico di Devey, mostra che la possibilità offerta dalla scienza è
sproporzionata dalla consapevolezza etica sino al possibile suicidio del nostro
mondo, regolato spesso, va detto, da poteri sovrani per di più con nomi
menzogneri (che già i greci classici avevano decriptato). Quanto alla guerra è
forse pensabile che il conflitto armato, anche senza un preciso quadro
diplomatico, possa spegnersi per un concorso di fatti che, nel gioco di forze,
possa condurre verso un esito positivo. Senza ridicole illusioni c’è chi ha
cercato di esplorare anche questo spazio. La metafora è quella di un fuoco che
si spegne perché viene a mancare la legna. Molto al di là delle metafore con i
loro limiti della conoscenza poetica c’è un mondo che noi “che non contiamo
niente”, continuiamo però a volere abitabile. Capita che ci pensiamo, tuttavia
è necessaria una sempre maggiore chiarezza specie ai vertici, ma questo è
proprio il nostro vero problema.