L’interiorità smarrita e l’infinita distrazione. Il
nuovo libro di Fabio Merlini.
Merlini, scrittore filosofico che
con intelligenza critica, misura ed eleganza ha condotto la sua scrittura
soprattutto nella valutazione di quella mutazione della egemonia culturale del
nostro tempo di cui - va detto - la mia vecchia generazione ha sofferto
soprattutto ricordando a quali prove di senso sia stata chiamata in tutto
l’arco simbolico della sua esperienza. È venuta meno quella trasmissione di cultura
che consenta una continuità, nella differenza, delle qualità del tempo. Ne va
del rapporto tra le differenti identità, comportamenti, desideri, stili
sociali. Se ascolti filosofi, sociologi, psicanalisti, tutti dicono che per
entrare positivamente nella nuova selva bisogna armonizzare sé stessi su una
scala di cui, forse, percepivamo i suoni, ma restava esterno il prestigio della
nostra esperienza. È un nuovo senso di essere al mondo molto più indifferente a
noi stessi di quanto non sia pregiudizialmente ostile alla nostra eredità.
Anche se è più facile riprodurre il capitale che un qualsiasi stile d’arte
fosse solo una regìa. Merlini, in ogni caso, gioca tutta la sua analisi sul
rapporto tra esteriorità e interiorità. Abbiamo perduto un’interiorità per
divenire sterili pedine del dominante gioco dell’esteriorità. Merlini però non
cade nella vana opposizione dei due termini. L’avventura soggettiva è solo una
interiorizzazione. Questo è quasi ovvio. Ma bisogna vedere che cosa si
interiorizza, e in che modo, poiché il valore di una interiorità dipende dal
sentimento di sé che è in relazione diretta con questi fattori determinanti.
Del resto non c’è autobiografia che non sia scritta sullo scambio tra oggetto e
soggetto e che non siano dominati da una, più o meno, differente temporalità.
Tornare su sé stessi comporta in ogni caso un principio di identificazione. E
qui andrei fino ad Agostino che ci ha insegnato a riconoscere nel rumore del
mondo lo spazio spirituale che ogni creatura ha in sé stessa come donazione di
Dio. La verità del nostro essere è tutta in questo riconoscimento che ha il
definitivo statuto in questa prospettiva che può chiudersi solo con il gesto
inaugurale della conversione. Diversa, nella somiglianza è la ricerca della
interiorità di Pascal che è il modello di un’altra vita rispetto alla
trionfante mondanità dei suoi anni con i suoi successi e i suoi sensibili
paradisi. Il modello oggettivo che consente una ricchissima interiorità,
nell’opera di Merlini, è il vissuto di Goethe nel suo viaggio a Roma. È un
esempio corretto, ma forse è troppo facile. Resta, teoricamente lo spazio delle
possibilità. O a mio modo di vedere, nella realtà è la mondializzazione di una
interiorità conformistica che a sua volta è la condizione di una corruzione del
senso. Che non è detto sia un valore universale, piuttosto per noi europei il
sottinteso di una lunga e spesso sanguinosa contesa.