Cangiano
fra pittura e scrittura. Non è
possibile parlare di Carmine Cangiano scrittore separandolo dalla sua pittura
perché non c’è alcuna soluzione di continuità fra le due forme d’arte. Dal
Campo al cielo, il libro di sua recente pubblicazione,è
il naturale approdo di un uomo e di un artista che ha fatto più di un
cambiamento nel corso della sua vita e che ha sempre amato mettersi in gioco e
ripartire avendo chiaro l’obiettivo finale da conseguire. Potenziale calciatore
dotato di buona tecnica, più che di potente fisico, allenatore delle squadre
giovanili dell’Inter ma con la sensibilità dell’educatore ancor più che con il
piglio del sergente di ferro, Cangiano approda alla pittura come insito bisogno
di creare qualcosa che lasci una testimonianza del suo passaggio sulla terra,
bisogno che non ha niente a che vedere con il concetto di religione delle
illusioni, ossia il culto dei valori ideali di foscoliana memoria, anche perché
Carmine, contrariamente a Foscolo, è un credente e quindi ha una sua solida
visione del mondo e dell’Aldilà, anche se è una visione tutta sua. E
se la sua pittura è vissuta come il dono di un essere superiore che guida la
sua mano e la sua creatività, infondendo forza, vigore ed estro alla sua
creatività artistica, la scrittura di questo libro gli consente di uscire da
questa dimensione che è contemporaneamente onirica e spirituale, per conseguire
una più attenta e razionale conoscenza di sé attraverso l’operazione del
recupero della memoria, scandagliando il proprio passato e il proprio presente. La
scrittura, ancor più di altre forme d’arte ci costringe a guardarci allo
specchio sia per recuperare le pepite e le scorie di cui è seminato il nostro
cammino sia per razionalizzare le nostre aspirazioni, riflettere sui nostri
sbagli e vedere come continuare il cammino.
Carmine Cangiano
Per
Carmine le avversità e le perdite fanno parte della vita. L’importante è non
farne un alibi per continuare a lamentarsene e non far nulla per una sorta di
piacevole ignavia che si può provare, ma rialzarsi e ritornare al centro del
quadrato per riprendere a combattere. Trovo che c’è molta
religiosità nella pittura di Carmine, più di quanto non dicano le sue figure,
le sue favole oniriche raccontate sulla tela con dovizia di particolari e la
bravura del miniaturista, ma c’è anche tanta religiosità interiore e non di
facciata in questo libro, dove Carmine confessa di sentirsi guidato da un “Dio
creatore, liberatorio nel suo divenire per risanare ignoranti credenze”. L’iter
pittorico di Carmine è complesso perché complessa è l’arte con la “a” maiuscola,
ed è fatto di tante tappe che condensano tutti i fermenti pittorici che hanno
avuto luogo dal Rinascimento ai giorni nostri, ma che hanno come punto di
partenza l’Impressionismo. Carmine inizia a innamorarsi della pittura fin da
bambino, scrutando e osservando il pittore che casualmente abita nel suo
palazzo e che poi lo prenderà sotto la sua custodia per trasferirgli i segreti
dell’arte, proprio come accadeva ai ragazzi che andavano a bottega dai grandi
maestri del nostro Rinascimento. Il primo innamoramento artistico di Carmine
ragazzo non può non essere per il disegno, il figurativo, collocandosi nella
corrente impressionista dove la precisione delle figure e dei contorni assurge
quasi a livelli fotografici soddisfacendo l’io del pittore. Questo è un denominatore
comune di molti pittori, i quali all’inizio del loro percorso artistico cercano
di fare emergere il “Giotto” che c’è in ciascuno di noi, ed è quello che fa
Carmine da giovane. Con il passare del tempo passa ad altri generi e ad altre
contaminazioni pittoriche, l’espressionismo, ossia il desiderio di fare
emergere l’interiorità delle persone ancor più che delineare i contorni dei
loro corpi e delle loro cose, l’art nouveau, il simbolismo, il fauvismo,
il surrealismo, l’arte naif e via discorrendo. Tante le influenze che si
possono notare nella pittura di Carmine, ma gli approdi sono sempre personali
ed originali, anche perché egli ama scompigliare le carte e sorprenderci.
I
suoi quadri non sono solo immagini e figure, ma veri e propri racconti di vita.
Ritornando al libro, mi pare di poter affermare che siamo di fronte a un volume
di memorie non tanto davanti a uno scritto autobiografico. Dico questo perché
Carmine in questo libro non rispetta gli eventi e non ricostruisce
pedissequamente i fatti restando imbrigliato nello sviluppo cronologico e nella
scansione reale degli accadimenti, ma evidenzia maggiore attenzione per le
emozioni vissute nei vari periodi della sua vita, perché per lui conta più la
verità emotiva che non la verità fattuale. Per questo motivo non è stato
difficile per lui condensare settant’anni di vita in poche pagine, perché non
ci dice cosa ha mangiato e come era vestito il tal giorno, ma quasi alla
maniera proustiana ci rivela cosa ha provato quel giorno in una certa situazione.
E allora, attraverso i suoi scritti rivediamo alcuni luoghi simboli del mondo
artistico milanese, come il bar Jamaica in zona Corso Garibaldi. Il titolo del
libro dal Campo al Cielo, con l’iniziale della preposizione dal
in minuscolo e le due “C” di campo e cielo in maiuscolo sanciscono la mancanza
di soluzione di continuità fra i campi erbosi o di terra battuta dove si gioca
al calcio e quelli più morbidi e onirici del cielo, “Dove il tempo non
conosce tempo” e“nel diradarsi delle nuvole rimane un’ultima
visione”.
Siamo di fronte a un libro che si lascia leggere con piacere
perché Carmine non ci parla dei massimi sistemi ma del suo rapporto con l’arte
e con il padrone del creato e lo fa con un linguaggio semplice e senza la
spocchia dell’accademico e dell’artista che ha la puzza sotto il naso. Il libro
è impreziosito da alcune foto del periodo calcistico e da quelle di alcuni dei
suoi dipinti che danno che aiutano il lettore e farsi un’idea del suo percorso
pittorico.