Pagine

sabato 24 dicembre 2022

LETTERA A UN DETENUTO
di Zaccaria Gallo


Ho aderito a “chiamata alle parole” promossa da Fondazione Vincenzo Casillo e Liberi dentro - Eduradio&TV, che invitavano cittadini e cittadine a scrivere lettere ai detenuti. Un modo per creare connessioni, per mettere in circolo narrativa di resistenza e far sentire un po’ meno sole le persone in carcere.

Caro amico, permettimi di chiamarti amico, anche se non ci conosciamo e, probabilmente, non ci conosceremo mai. Scriverti è comunque un modo per incontrarci almeno con le parole e, attraverso esse, con i sentimenti. Già, i sentimenti. Ne abbiamo di comuni? Io penso proprio di sì. Vedi, tu sei lì dentro, non so da quanto tempo né per quanto tempo, e non mi importa conoscere la causa che ti ha condotto nel luogo dove sei. La mancanza di un parente, d’un figlio o d’un padre, d’una madre, la lontananza da una donna con cui stavi condividendo parte del tuo viaggio nella vita, i pensieri d’un futuro avvolto nella nebbia dell’incertezza, il desiderio di poter assaporare la gioia della libertà, non sono sentimenti che provi soltanto tu, ma sono quei moti dell’anima che ogni uomo prova nei momenti di solitudine in cui il destino o il caso lo gettano. Quella società che, oggi, regolata da leggi che ha prodotto nel tempo per proteggersi da chi le infrange, è una società che vive nel concetto di una giustizia giusta. Non sempre è così, purtroppo. Perché è la stessa società in cui i ricchi hanno dei sentimenti di inclusione e appartenenza, i poveri e chi non ha lavoro o lo ha perduto sono invece “detenuti” in una gabbia spesso invisibile, ma piena di dolore e afflizione. Ѐ la stessa società che produce milioni di esseri al mondo “detenuti” in guerre e carestie, esportando lei stessa armi, depredando lei stessa le loro risorse, e producendo poi la sofferenza indicibile di tutti quei migranti che, se non muoiono in mare, durante i loro viaggi della speranza, saranno comunque “detenuti” lontano dalle loro terre, dai loro cari, dalle carezze di un figlio, di una madre, di una sposa. Ed è in questa società che, da sempre, i malati o peggio ancora gli anziani, quelli non autosufficienti, durante le loro malattie, le loro infermità, sono “detenuti” in ospedali e cliniche, case di riposo, anche loro a combattere una battaglia spesso solitaria per sopravvivere alla sofferenza e all’abbandono. Ti scrive questa lettera uno che, qualche mese addietro, il Covid ha “detenuto” in una terapia intensiva, in totale solitudine con se stesso, non conoscendo il futuro, quello prossimo e quello più lontano (se ci sarebbe stato o no), consapevole della terribile angoscia in cui i propri cari che, fuori, senza notizie, soli anche loro, erano “detenuti” nella incertezza di quello che li attendeva. Il mio ricovero coincise con il Natale e il Capodanno. Ecco perché avvicinandosi questi giorni, oggi, mi sento, come ti ho detto prima, molto vicino ai tuoi sentimenti. Sono i sentimenti che provano in tanti e che ti accomunano a ognuno di loro. Io ce l’ho fatta. Altri, non sapremo mai quanti, con grandi sacrifici, rinunce, dolori, ma grande speranza in sé stessi, ce l’hanno fatta.  Sono sicuro! Ce la farai anche tu. Metticela tutta. Spero che queste povere parole, ti facciano un po’ di compagnia, in attesa che sorga presto nella tua vita quel bel sole che ha nome libertà. Un abbraccio e tanti auguri.