LA PIETÀ DI CUI ABBIAMO BISOGNO
di Roberta De Monticelli
Riflessioni
sulla mostra delle tre Pietà al Museo di Palazzo Reale a Milano.
Bisogna immaginarsela sotto i
bombardamenti inglesi di un giorno d’agosto del ’43, l’immensa Sala delle Cariatidi
di Palazzo Reale, a Milano. E poi immaginare com’era ridotta, dopo. Spogliata di
tutto il suo fasto, gli specchi, i soffitti, gli innumerevoli lampadari, scoperchiata
dalle bombe. Ha ragione il Direttore del Museo di Palazzo Reale, Domenico Piraina,
quando ci spiega che così accecate e storpiate e mutilate come rimasero, quelle
famose quaranta Cariatidi, ancora ci parlano di tutta la storia che hanno visto
e sentito. La loro era la più grande sala di alta rappresentanza in Europa
quando fu costruita, nella Milano dei Lumi: era gaia e splendida, e le sue luci
sfolgoranti sopravvissero alle avventure della storia fino a quell’agosto del ’43.
Non fatichiamo a immaginare quello scempio, oggi che stiamo colpevolmente per
abituarci all’osceno delle città ucraine distrutte, sciorinato ogni giorno sotto
i nostri occhi.
La
Pietà Vaticana, senza ombra di morte
Un piccolo esercizio per lenire l’angoscia senza spegnere
la coscienza: si può vederla così, la mostra-installazione “Le pietà di
Michelangelo – Tre calchi storici per la Sala delle Cariatidi” (aperta fino
all’8 gennaio prossimo) che il Comune di Milano, letteralmente, ha regalato ai
cittadini (l’ingresso è gratuito), riunendo in un solo e magnifico ambiente,
con un’accurata scenografia visiva e musicale, tre calchi, prodotti per diverse
ragioni in tempi diversi, di questi tra capolavori che segnano l’inizio, la
tarda maturità e la fine della vita creativa di Michelangelo. Aveva
ventiquattro anni quando il cardinale ambasciatore di Carlo VIII alla corte di
Alessandro VI Borgia gli commissionò la prima – la Pietà Vaticana, oggi in San
Pietro: in un anno, fra il 1498 e il 1499, la terminò, suscitando lo stupore e
la venerazione del mondo di allora. Un dio trentenne, di apollinea bellezza,
dorme in atto di sereno abbandono in grembo a una Vergine che lo veglia amorevole,
col suo volto di fanciulla. L’orizzontale del Cristo e la verticale di Maria
formano una croce ideale, o piuttosto la perfezione di un cerchio che
racchiude, intatta e levigatissima, un’umanità insieme classica e trasfigurata,
senz’ombra di morte.
La Sala delle Cariatidi oggi
La
Pietà Bandini e la questione di Nicodemo
Quasi quarant’anni passano prima che l’artista, ormai più
che settantenne, famoso e venerato, si accinga all’opera di un’altra Pietà: e
che anni. Nel 1517 Lutero appende le sue 95 tesi al portone di una chiesa di
Wittenberg. Carlo V, incoronato imperatore nel 1519, sogna di unire l’Europa e fare
del suo immenso impero una monarchia universale di pace, ma si scontra con la
resistenza di Francesco I di Francia: gli equilibri rinascimentali crollano,
comincia la gran rissa cristiana di cattolici e protestanti. I Lanzichenecchi mettono
a sacco Roma nel 1527. E anche la repubblica di Firenze crolla nell’agosto del
1530 dopo sette mesi eroici e disperati d’assedio, e cede alle forze imperiali
del Principe di Orange (fra i “pazzi” difensori vilmente irrisi dal
Guicciardini c’era anche Michelangelo, che dal 1534 riparerà per sempre a Roma).
A Firenze sono tornati i Medici, ormai sostenuti dalle potenze straniere. Nel
1547 muore Vittoria Colonna, la grande amica dell’anima, che come Michelangelo
alimenta il fuoco della sua poesia al vento dello spirito nuovo, carico di libertà,
di dubbi, di tormento. Quella che sarà chiamata la Pietà Bandini, ora a
Firenze, cominciata dopo la morte di Vittoria, resterà incompiuta. Ma si si sa,
il non finito di Michelangelo è piuttosto un infinito, e l’infinito di questa Pietà
è la prima straordinaria scoperta che si offre al visitatore della mostra
milanese. Iconograficamente è piuttosto un Compianto: non ci sono solo il
Figlio e la Madre, ma c’è il cum di
una sia pur embrionale comunità che piange il Cristo morto. Eppure non c’è più
cenno di un’orizzontalità distesa. Il gruppo non ha che l’alto e il basso: imponente,
dall’alto, incappucciata, una figura simile al Padre di una famosa Trinità del
Masaccio sorregge il Cristo e abbraccia, insieme, Maddalena e Maria, in un pianto
che scende, come scende nella gravità, pesante, tutto quel corpo, col braccio
che pende rovesciato, in abbandono – la testa reclinata, involontaria e
dolcissima, contro quella della Madre. Quella figura ha il volto di Michelangelo.
È Nicodemo: quello che nel Vangelo di Giovanni interroga Gesù sulla vecchiaia e
la rinascita. Come può un uomo vecchio tornare nel seno di sua madre? Ecco:
Nicodemo-Michelangelo qui non chiede più. Sostiene: la discesa nella morte e
nella madre, e insieme la piange. Tutto scende e fluisce, qui, dall’alto al
profondo.
La Sala delle Cariatidi oggi |