L’impertinenza di una intervista impossibile ad una
scrivania ministeriale scritta da Mariella De Santis Robbins. La “scrivania di potere parlante”
costringe il giornalista Michele (l’intervistatore inventato da Mariella De
Santis nel suo racconto-intervista impossibile: La ministeriale (La
Vita Felice, 2022, pag. 74, euro 10) a ripensare e a correggere situazioni e personaggi
della politica, della cultura e della storia italiani. Presentata così, la
nuova opera letteraria di Mariella De Santis, poeta, scrittrice e critica,
nonché dirigente ministeriale, attualmente in carica al Ministero della Salute,
non dimostra quanto sia originale l’invenzione dell’autrice. Per prima cosa
bisogna citare la collana in cui “Laministeriale è stata
pubblicata che si chiama “Dialoghi sul filo” e che in ogni suo libro presenta
un’intervista impossibile a un oggetto o a un personaggio del mito o della
storia (finora: l’uovo di Colombo, la virgola, un cartello stradale, Plutone,
Icaro, e ora la scrivania “ministeriale”). In seconda battuta bisogna
aggiungere che Mariella De Santis quando parla o scrive di cose che attengono
alla cultura non è mai diretta, lineare, semplificante. Lei va oltre e si mette
di fianco. La sua scelta linguistica non è mai ordinaria, corretta e
plausibile. Lei attraversa gli emisferi, le piattaforme, le situazioni,
presentando visioni longitudinali, innovative, foriere di prospettive. Niente
di scontato c’è nella sua scrittura. Le intercettazioni sono quasi sempre
spiazzanti. Questo sia nelle sue poesie, sia nelle sue riflessioni teoriche, e
anche nelle sue narrazioni. Perciò la scelta di una scrivania da intervistare
non è occasionale o casuale, è invece determinata dal suo modo di vivere la sua
quotidianità negli spazi ministeriali che ha occupato nei suoi anni di
lavoro prima al Ministero dell’Interno e poi, anche attualmente, al Ministero
della Salute, esercitando la sua iper-specializzazione di assistente sociale,
dirigente pubblico e anche docente a contratto in diverse università italiane,
con partecipazioni a molti consessi internazionali. Sto testimoniando
queste sue diverse sfaccettature, senza averne chiesto autorizzazione, perché
la conosco e soprattutto perché se gliel’avessi chiesta forse non me
l’avrebbe concessa, non per malanimo, bensì per ritrosia e discrezione. Spesso
infatti scrittori e poeti li conosciamo per quello che scrivono, e quasi mai
per quello che sono realmente nella vita quotidiana, come se averne notizie
fosse non opportuno. Spesso vince una convinzione che ritengo errata, e cioè
che un poeta, uno scrittore, una poetessa o una scrittrice, “debbano” tenere
segreta la propria vita privata - cosa legittima ovviamente, se l’interessato/a
lo desidera - ma bisogna che ci diciamo anche che spesso è una falsa modestia,
o anche una forma di ritrosia dovuta al fatto che magari una certa notorietà
possa essere fastidiosa per i colleghi o i capi con e per cui si lavora. Ma io
sono convinto che un’opera poetica, un romanzo, un reportage, o altra forma di
creatività, come pittura, scultura, design, grafica, filosofia e altre forme di
creatività, non sono “deviazioni” dalla propria quotidianità, ma sono
essenziali al proprio modo di vivere, al proprio sentire o soffrire negli spazi
della sopravvivenza o dell’evoluzione esistenziale e culturale.
Ecco, questo volevo proprio sottolinearlo, perché in fondo il dialogo
serrato, intelligente e consapevole che si sviluppa tra la scrivania parlante e
il giornalista Michele, prima incredulo, riluttante, e perfino leggermente
cinico, comunque coperto dalla strisciante ironia lungo tutto il suo
percorso dialogante, poi però partecipativo, curioso e determinato ad andare
fino in fondo a consumare l’inaspettata esperienza che potrà concludere in modo
anche confortante e gioioso, con l’imprevisto innamoramento, è una forma di
esplorazione a 360 gradi del pianeta della parola e della storia. Del resto che
cosa sarebbero gli umani se non fossero dotati di una lingua e di una mente che
sa discernere, argomentare, quindi scegliere? Sarebbero ancora al livello
animale dal quale provengono e non avrebbero forse la conoscenza delle cose
vitali. Nonostante l’intelligenza, ancora oggi l’umanità è all’origine della
sua storia, sempre che le vicende autodistruttive non la spingano
all’estinzione per la sua reale, e provata, sciagurata stupidità, come
dimostrano le continue e infinite guerre con cui tenta di risolvere le dispute
e le pretese degli uni nei confronti degli altri, dei forti contro i deboli,
per cui oggi, pur conoscendo perfettamente i rischi che si stanno correndo,
uomini e donne si muovono scompostamente sul mappamondo dell’orizzonte
suicidante.
E nella lunga conversazione tra la scrivania e il giornalista (naturale
alter ego della scrittrice) si ribaltano molte presunte verità. Si ricordano e
si chiarificano personaggi e situazioni, eventi ed interpreti, nella storia e
nella cultura, nella politica e nella vita quotidiana, si reidentificano
protagonisti di favole, racconti, circostanze politiche e avvenimenti già
archiviati, rianimati da una diversa visione. Il libro è corredato dai disegni
di Barbara Gabotto e Giacomo Guidetti: in copertina con un disegno-metafora del
patrimonio linguistico degli umani, e all’interno con altri quattro quadri
interpretativi delle situazioni narrate, tra cui il quinto e finale disegno
della scrivania collocata nella veranda, unico posto libero dove poterla
sistemare nell’appartamento di Michele. La scrivania, sollecitata ma da sé desiderosa di farlo, comincia a
reinterpretare Carlo Collodi, autore di “Pinocchio”. Michele crede, come tutti,
che sia una favola per insegnare ai ragazzi che non bisogna dire bugie, la
scrivania lo smitizza subito, e gli oppone la revisione del racconto. È una
cronaca una e semplice di ciò in cui Collodi credeva. E cioè, “mazziniano e
massone, cosa ti aspettavi che facesse appena conquistata la finestra di un
giornale? Messaggi per chi voleva intenderli, caro mio”. Lui voleva “parlare di
trasformazioni alchemiche, di vari stati della forma dell’uomo, dell’infanzia
di Cristo…”. Michele sistema la scrivania nella veranda coperta e si aspetta che
lei gi racconti un sacco di storie. Ha capito che “lei” ne conosce molte e lui
voleva sapere. “Capii che ero schiavo di quella scrivania, della mia
allucinazione”, e avverte dopo anni di inerzia un’energia nuova nelle vene,
come quando si trovava in Libano, Africa, Brasile per quei reportage che gli
permettevano di guardare nel “non noto”. Insomma si sente rinascere come
giornalista, dopo la disaffezione di un deludente tran-tran. E allora, ecco
rianimato Cavour, il primo Presidente del Consiglio della nuova Italia Unita,
anno 1861. Cavour nel dicembre dell’anno prima aveva scritto al Re che
bisognava “imporre l’unità alla parte più corrotta, più debole dell’Italia
(con) la forza morale e se questa non basta quella fisica”. Ma Cavour e il Re
non se l’intendevano. Il Re davanti a lui diceva una cosa, poi faceva il contrario.
Mariella De Santis Robbins
La scrivania (epoca Napoleone III) è anche un po’ filosofa. “A me
quando vi sento dire che le cose sono cambiate, che qui, che lì, mi viene da
ridere... È che l’uomo ha bisogno di credere di essere nato oggi, che ciò che
vive e vede sia nato con lui. Il passato diventa un territorio tanto endemico
quanto … Contraddizione, contraddizione”. Ma la voce della scrivania è una sostituta. Michele il giornalista del
resto è il secondo alter ego di De Santis. È lei infatti che pone le domande,
per interposta voce, ed è la stessa scrittrice che elabora le risposte della
scrivania. Così veniamo al dunque. L’autrice dell’“intervista impossibile”
diventa la critica reale e possibile della società contemporanea, illuminata
anche dalle distorsioni degli ultimi due secoli di storia italiana. Così
sistema il posto storico della “bela Rusina” di cui Vittorio Emanuele II rimase
prigioniero per sempre. E come? Nessuno può capacitarsi del perché il Re ne
fosse innamorato. Forse perché lei parlava solo piemontese. Forse sì. Ma Sir
James Hudson, diplomatico inglese, ce lo spiega bene tramite l’ascolto che fece
un giorno la scrivania: “nel suo diario scriveva che la bela
Rusina era un donnone grande e grosso che parlava solo piemontese che
lui definiva “il più orribile gergo che esista nella cristianità e fuori di
essa”. E le donne? Sono cambiate le cose? La scrivania: “le donne intorno ai
potenti a volte erano anche influenti, per arguzia, capacità o sete
di potere e non vivevano un tempo in cui poter agire in prima persona.
Così è nata quella sciocca affermazione che dietro un grande uomo c’è sempre
una grande donna. Ma quelle di piacere restavano nel demi-monde.
Invece a un certo punto mi sono trovata a vedere che un seggio a
Strasburgo, uno in Parlamento, uno in Regione, diventavano premi per signorine
compiacenti. Il passaggio epocale? Dal demi-monde al monde che
è diventato immonde. E dire che ne ho viste di donne di valore
fare, lottare, agire e rimanere fuori dalle stanze lustre di gloria, da quando
ho iniziato a lavorare a Roma!”
A Roma. Eh, sì, prima a Torino, poi a Firenze, quindi a Roma, seguendo la
centralità del potere politico italiano. Ed ecco l’omaggio a Roma, dalla voce
di Michele: “Capii perché Roma continua a legare a sé l’umanità a dispetto di
maneggi, salotti neri, buchi e spelacchi, attese enigmatiche alle fermate
dell’autobus. Ascolta tutto e restituisce tutto, lo splendore, la generosità,
il nero più scuro. Tutto”. E così, l’autrice sistema anche il “potere”, quello
vero, attraverso i ricordi della scrivania: “Segreti, segreti, segreti, questa
ossessione per i segreti, ma se la gente sapesse le verità sarebbe migliore,
credimi. Però loro hanno paura proprio di questo e generano una cappa di buio
che confonde, spaventa e indebolisce. La gente sa, non sa, sente che non è
dentro un gioco leale e tutto si ingarbuglia”. Insomma la scrivania ne ha per tutti, finalmente dopo due secoli può
prendersi il gusto di togliersi i sassolini dalle scarpe, come si diceva una
volta, Però lei tutt’al più dai cassetti. Così l’autrice sistema molte altre
cose, soprattutto il malcostume, la corruzione diffusa, le battaglie perse su
droga e drogati, che in fondo sono vere vittime di un sistema truffaldino,
fondato su complicità nelle varie istituzioni, e poi le deviazioni dei servizi
segreti, e il sovvertimento dei luoghi comuni. L’elenco di paradossi e
riscoperte di verità che bruciano sarebbe troppo lungo. Però sarebbe bello che
i lettori si appassionassero a scoprire le soluzioni che propone questa
nuova voce oracolante, non fosse altro perché sa prospettare il male e il bene
con ironia e con passione.