Il
nuovo libro dello scrittore e poeta pugliese Zaccaria Gallo Pensel (Florestano
Edizioni, Bari 2022 pagine 324) prende in esame due terribili stragi: una
contemporanea, quella del fanatismo islamico con il massacro a Parigi nel
novembre del 2015 al “Bataclan”, e una del passato, quella contro Napoleone
Bonaparte alle Tuilieries, ad opera di altrettanti fanatici vandeani. Due
stragi indiscriminate: la prima deliberatamente contro civili; la seconda contro
un uomo di potere, un tiranno autoproclamatosi imperatore, ma che fatalmente
massacrerà civili innocenti, come avviene quasi sempre quando si compie un
attentato in pubblico con esplosivo. In questo secondo attentato c’è
l’aggravante che un carretto imbottito di dinamite polverizzerà oltre al
cavallo e a quanti si trovano nel raggio dell’esplosione, anche una bambina di
nome Pensel (nome che dà il titolo al romanzo) non ancora dodicenne. Gli
attentatori non si sono fatti scrupolo di coinvolgerla con l’inganno; uno di
loro, di nome Saint-Rejant, le affida le redini del cavallo e si metterà al
riparo prima dell’esplosione. L’intreccio
del romanzo il lettore può goderselo direttamente e scoprire come lo storico
parigino Jean Pierre Réjant, professore alla Sorbona, si ritroverà in casa, per
una beffarda fatalità del destino, una giovane di nome Pensel, proprio come la
bambina morta alle Tuileries, scampata miracolosamente alla mattanza del
“Bataclan”. Di come uno dei protagonisti dell’attentato di due secoli prima
altri non era che un suo antenato di nome Pierre Robinault de Saint-Réjant di
cui egli porta il nome. Era stato costui a ideare e coordinare le fasi
dell’attentato contro Napoleone in cui perse la vita la bambina. Di come,
infine, queste due vicende finiranno per intrecciarsi e di come faranno
affiorare nel professore ricordi dolorosi che egli aveva rimosso. A
me invece preme qui riflettere sugli interrogativi che il romanzo pone, e cioè
fino a che punto è lecito spingersi, seppure per un fine considerato nobile come
il trionfo della propria causa o l’affermazione delle proprie idee. È lecito
tutto? Qualsiasi mezzo? Non distinguendo fra colpevoli e innocenti? Conta solo
l’obiettivo e i danni collaterali sono trascurabili e non hanno importanza? Non
restano affatto sottotraccia queste domande, sono il nerbo morale, prima che
politico e filosofico del libro. Si sa, ogni verità è parziale, ogni verità e
di parte, dunque esse sono tante quante sono le visioni e le concezioni ideali
dei gruppi e degli individui. Per Napoleone la verità è la sua Repubblica
imperiale da consolidare, con il pugno di ferro se occorre, e la soppressione
dei suoi nemici fa parte di questa necessità. Per i vandeani legittimisti la
verità è la morte di Napoleone considerato un tiranno usurpatore e la rimessa
sul trono del loro legittimo Re. Il tutto senza esclusione di colpi. Come gli
stragisti del “Bataclan”. Camus, rovesciando il punto di vista degli eredi di
Machiavelli, ha scritto che i fini non giustificano tutti i mezzi. Prima di lui
lo aveva ribadito il rivoluzionario anarchico campano Errico Malatesta. Chi
ammazza in modo indiscriminato non distinguendo fra colpevoli e innocenti degrada
la sua causa in crimine; la abbassa a pura azione criminale. Calpesta il senso
di umanità e se ne spoglia, riducendosi ad un freddo assassino.
Lo
scrittore fa intravedere una uscita dal male verso la fine del romanzo. In
particolare nel capitolo tredicesimo quando ci porta in viaggio, a seguito di
Manon, la sorella della sfortunata Pensel, fino a Charleston. Ha attraversato
l’Oceano con una pistola nella valigia per andare a regolare il conto con padre
Joseph, al secolo Joseph Picot de Limoléan. Era stato lui a scegliere la bambina per mantenere le redini del cavallo, conscio di condannarla a morte e farne una vittima sacrificale. Quando Manon se lo troverà di
fronte vecchio e con il saio del monaco nel convento dove aveva trovato riparo,
decide di non premere il grilletto. Oramai lo spavaldo terrorista è un rudere
ossessionato dal fantasma della bambina le cui sembianze gli appaiono di
continuo davanti agli occhi. Si può uccidere un uomo a sangue freddo anche se
l’odio è rimasto vivo in noi? Questo deve aver pensato Manon in quegli istanti,
e decide di deporre la pistola. Forse la rinuncia ad altro male è la sola via
d’uscita che rimane agli uomini, per rimanere tali.