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giovedì 1 dicembre 2022

PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada

 

Vulnus


I greci, da radici: (bol/bal) βολ/βάλ, coniarono il verbo (ballo) βάλ-λω: getto, lancio, scaglio, spingo, getto a terra, avvalendosi di una perifrasi generica: genera l’andare lo sciogliere o dall’andare lo sciogliere, che attiene alla sfera sessuale e che, in questo caso, mutua ciò che avviene con l’eiaculazione. Con lo stesso processo coniarono il sinonimo (boleo) βολ-έω, da cui il deverbale: βολίς βολίδος (in latino: bolis bolidis): freccia, proiettile, bolide, mentre, in italiano, da βαλ si ebbero: baleno, balestra, balistica, abbaglio, sbaglio, baluardo (il grembo diventa difesa insormontabile), balaustra ecc. Inoltre, dedussero: (belos) βέλος: freccia, dardo, saetta, (bolé) βολή: lancio, ferita, (bolos) βόλος: getto (di rete, di dardi), quindi, per metonimia: preda. Da βολή i greci dedussero παραβολή, in linea con il significato: parabola (geometrica), direzione obliqua (direzione parabolica), ma anche: paragone, confronto, comparazione, in quanto (parà) παρά aveva assunto anche il significato di: a confronto di, mentre cambiò la lettura di βολή, diventando: pronunciamento del grembo, per cui la perifrasi mutò: (il mettere) a confronto la crescita del grembo, per cui la parabola evangelica divenne una similitudine. Per rendere più chiaro quanto detto, si ricorda che βολή βολής si rende: genera ciò che sciolgo andando a legare, per cui alcuni pensarono alla traiettoria del lanciato, altri pensarono al grembo che, progressivamente, cresce, quando lega.  



Da (dià) διά che, alla lettera, si può tradurre: dal generare il mancare, elaborarono δια-βάλλω: calunnio, scredito, accuso, inganno, induco in errore, quindi, δια-βολή: discordia, inimicizia, denigrazione, calunnia, l’aggettivo: διάβολος, che è colui che fa le diavolerie, meglio: tutto quanto esprime δια-βάλλω. Pertanto, per i greci il diavolo rappresentò l’uomo del male, mentre per il cristianesimo rappresentò Lucifero e, in alcune filosofie, divenne il dio del male.
Poi, coniarono συμ-βάλλω: unisco, scambio, confronto, interpreto, da cui σύμβολον dai tantissimi significati, tra cui: segno di riconoscimento, tessera ospitale, segno/simbolo, che indica il congiungimento e/o il periodo di formazione dell’essere nel grembo materno, volendo esprimere che il pronunciamento del grembo è un simbolo, ma anche un fatto di costume, come il congiungimento di due pezzi, in mano a due persone, per indicare un segno di riconoscimento o una tessera ospitale, funzione simbolica, che in altri periodi storici, nell’Italia meridionale, fu assunta dalla tacca, manifestazione culturale presente ancora oggi nel codice civile, con la denominazione di taglie e tacche di contrassegno.
Ci sono altre parole desunte da βάλλω, il cui significato è stato innovato e cristallizzato dagli studi medici, come embolia, metabolismo, anabolismo, ma originariamente erano in consonanza logica con quanto vado affermando. Infatti, μβολή acquisì il significato di: entrata, stretto, foce, mentre (to embolon) τ μβολον indicò: prominenza, rostro, pene e (anabolé) ναβολή: ascensione, dilazione, asportazione, eruzione. Con (metabolé) μεταβολή si fece riferimento a: mutamento, rivolgimento, trasferimento, atti conseguenti alla crescita del grembo, espressi dal prefisso prepositivo/avverbiale: μετά.
I latini conobbero la radice βαλ dalla quale ricavarono il verbo bal-eo (in alcuni dialetti si pronuncia balente), cui attribuirono i seguenti significati: sono forte, ho vigore, ho valore/ho efficacia, mi congedo (vale!), che contestualizza più momenti del processo di formazione, ma, sicuramente, inquadra anche la creatura che sta per nascere, che affronta la battaglia per la vita. Da valeo furono dedotti: valente, valentia, valido, in italiano: valore, valoroso, validare, convalidare ecc.



Sicuramente, i latini conobbero βέλος, βολή, βόλος e sorprende la capacità di collegamenti logici che ebbero per formulare nuove parole. Già i greci da βολή: ferita ricavarono: (bolba) βόλβα, che i latini ricalcarono, con modifiche fonetiche, in vulva, dedussero: (bolbos) βολβός: cipolla/bulbo e anche boleto, fungo che si caratterizza per il cappello particolarmente rotondo. Da βέλος i latini elaborarono: veloce, bellum, veleno (anche i greci da (toxon) τόξον: freccia avevano desunto: tossico), verosimilmente, anche bellua/belua, in quanto viene colpita dalle frecce; da βόλος (lancio) o βολίς formarono volo volas, quindi: volato e volatile, volucer: alato, volucris: uccello, volito: svolazzo qua e là; poi, da βόλος come preda, dedussero vultur vulturis: avvoltoio (quello che invola gli agnelli, facendone preda). Verosimilmente, da βέλος: freccia, dardo, saetta formularono, prima, vellus velleris: vello, che è quello che si strappa, come la freccia e, poi, da vellus il verbo vello, perfetto: vulsi/volsi/velli, supino: vulsum, deducendone: strappo (la freccia), premo tirando, pizzico, svello. Da vello furono dedotti sicuramente: vellico con i significati di: pizzico, pungo, eccito, tormento, titillo fino al nostro: solletico. Anche, gli italici elaborarono nuovi lemmi, facendo discendere da vellus velleris: velluto e vellutato.
Da vello/vulsum furono dedotti: avello/avulso, nel senso di stacco, staccato, divelto, de-vello, re-vello: strappo con forza, straccio, rompo, cancello, apro, quindi: con-vello: stacco a forza, lacero, provo spasimi, da cui: convulso (che si riscontra in colui cui è stato estratto, con lacerazioni, il dardo) e convulsioni. Nel mio paese dire che un bambino ha le convulsioni (anche: iocarill’), significa affermare che ha l’epilessia. Il vocabolario Oxford Languages così definisce convulsione: “L’alternarsi involontario, disordinato e rapido, di contrazioni e rilasciamenti di più muscoli, a carattere accessionale, per lo più riferito agli attacchi epilettici “. Questa definizione si addice, soprattutto, agli spasmi causati dall’estrazione violenta di un dardo. Incidentalmente, si ricorda che delirium (delirio) è da collegare a λρος: vaneggiamento, delirio, che per i greci significava dire qualcosa del tutto inattendibile nel processo di formazione dell’essere. Mi piace soffermarmi anche su iocarill’, che è da collegare a υός: figlio. Infatti, gli italici dedussero da: figlio/bambino: il gioco, così come avevano fatto i greci con παί-γνιον: gioco (che è ciò che di desume dal bambino) e, nel dialetto, quel che può succedere talvolta ai bambini: i iocarill’ (battere mani e piedi).


In latino, inoltre, fu dedotto l’aggettivo vulsus: senza peli, raso, imberbe, ma anche: che soffre di spasmi, di crampi; mentre: volsa volsorum significò: lussazioni, slogature. Per quanto riguarda bolso (che respira a fatica) e bolsaggine della lingua italiana si può, senz’altro, pensare a vulsus (nel senso di: strappato), ma anche a bolso, in quanto, in greco, (polos) πλος (per modifica fonica: bol) significa: puledro, puledra, per cui potrebbe trattarsi di problemi respiratori, propri dei cavalli giovani.
Infine, da βολίς o da βολή fu dedotto vulnus vulneris: ferita, offesa, danno, che è ciò che si evince da un dardo che ha attinto il nemico. Quella ferita, che poteva essere letale, è indimenticabile, non fosse altro perché ha lasciato una cicatrice indelebile. Quindi, si ebbero: vulnero, vulnerabile, invulnerabile, vulnerato.
Da quanto detto sin qui βολ, oltre alle affermazioni precedenti, significò, per greci e latini, anche: grembo, corpo rotondo (in greco il sostantivo (gyros) γυρός significò: giro, cerchio, mentre l’aggettivo γύρος indicò: rotondo, arcuato, curvo), per cui i latini, quando coniarono il verbo voluo/volvo ebbero in mente bol non solo come grembo, ma anche come nucleo (rotondo), che voltola. Pertanto, volvo volvis, volvi, volutum, volvere acquisì i significati: volgo, volgo intorno, mi avvolgo. Quindi dedussero: volumen voluminis come rotolo di pergamena o di papiro. Poi, volubilis: girevole (caelum volubile, boxum volubile, nel senso di trottola), che muta: volubilis fortuna, agile: volubilis oratio. Oggi, però, che conosciamo disvolere, volubile ha acquisito anche il significato di chi cambia con facilità ciò che vuole. Dal participio passato volutus (che si è girato) si ebbero: le volute di fumo, dei capitelli corinzi (elementi a riccio), della chiocciola. I latini, inoltre, da volutus dedussero volutabrum: belletta, brago, mota in cui guazza il maiale. Generarono sicuramente il sostantivo il volto: è ciò che noto in chi si è girato, mentre, in italiano, ricavarono: la volta di una stanza, la volta celeste, le volte di una cupola. I latini elaborarono: involvo/involutum: avvoltolo, avvolgo, avviluppo, copro, da cui il participio: involuto, oscuro (eloquentia involuta) e il deverbale: involucrum. Nella lingua italiana si è formato, per deduzione, co-involgere, che rimanda a compartecipazione in un processo. Poi, si formò: ad-volvo: faccio rotolare sopra, ma anche: mi prostro, che è la posizione ginocchioni di chi spinge un grosso masso. Alcuni significati dedotti in italiano dai verbi formati con volvo non erano presenti in latino. In latino de-volvere/devoluto acquisì il seguente significato: faccio rotolare giù, per cui non era presente il concetto di dare/trasmettere per magnanimità: ius devolutionis e atto di devoluzione. Tanto avvenne, presumibilmente, perché altri lessero in devoluto (rotolato giù) la nascita della creatura che viene trasmessa a. Evolvo/evolutum significò: rotolo, srotolo, svolgo, spoglio, mentre, in italiano abbiamo: cittadino evoluto, come fase avanzata del processo di crescita della creatura e le evoluzioni come acrobazie.



Il verbo re-volvo-revolutum acquisì questi significati: rivoltolo, rotolo indietro e revolutio revolutionis indicò: il rivolgimento, il far rotolare via. In geografia generale il giro di rivoluzione della terra viene completato in un anno e viene continuamente iterato, come fatto ciclico. Allora il significato di rivoluzione della lingua italiana, per i latini: res novae, conversiones rerum publicarum, per i greci: περι-τροπή (da τρέπω: volgo, torco, che indicano il capovolgimento (conversio dei latini)) forse, fu, successivamente, desunto da rovesciamento/ribaltamento della creatura nel grembo prima del travaglio, che determina la deposizione.
C’è un’altra ipotesi, il concetto di rivoluzione della lingua italiana potrebbe essere stato dedotto da βλος: zolla: quello che è sotto va sopra, che è un rivolgimento. In italiano, fu coniata la rivolta, che, in alcuni casi, è preludio di rivoluzione. Nel mio dialetto, c’è una parola che rimanda a sottosopra, derivante da scompiglio e, talvolta, da vero e proprio, terremoto, che è contenuta nell’espressione: c’è/c’era u rivut’, sinonimica di: c’è/c’era u ribill’, che è la riunione di persone, allertate, che fanno gran confusione.