Qualche
sera fa Il canale "Rai Storia"un ricordo della conferenza di Bandung (1955) dalla quale (riferisco con
un poco di semplificazione) nacque il movimento dei "non allineati":
questo piccolo episodio della rievocazione televisiva si è verificato in un
momento particolarmente buio nella storia del mondo, dove la vicenda della pace
e della guerra sta tenendo in sospeso la vita stessa degli abitanti del pianeta
appesi al filo di una possibile catastrofe nucleare e legati ansiosamento
all'esito di guerre che stanno avvolgendo tutti i continenti in una spirale che
sembra ricostituire l'antica e mai superata strategia del terrore. Ricordare la
Conferenza di Bandung significa allora rievocare un tempo di apertura di
speranza che possa servire come un monito valido per il presente. In quel
tempo, alla metà del XX secolo (il secolo delle grandi tragedie mondiali) in un
mondo dominato ormai dalla logica dei due blocchi contrapposti: quello
occidentale raccolto attorno agli USA, e quello orientale egemonizzato
dall’URSS si svilupparono, nel decennio intercorso tra il 1950 (anno di inizio
della guerra di Corea) e il 1960 (con il completamento, salvo alcune sanguinose
eccezioni come l’Algeria, del processo di decolonizzazione in Africa) alcuni
eventi assolutamente fondamentali per il prosieguo del processo storico a
livello planetario. Assieme alla fine irreversibile del vecchio colonialismo si
possono ricordare l’entrata in crisi della “guerra fredda”, la ricostituzione
della potenza economica dell’Europa Occidentale e del Giappone, l’emergere
della Cina comunista. La fine del colonialismo corrispose a una serie di
imperativi storici: dopo la seconda guerra mondiale apparve chiaro che la nuova
forma di dominio mondiale non passava più attraverso quelle sfere di dominio
ormai arcaiche, bensì attraverso la costituzione di immense sfere di influenza
che, includendo paesi sviluppati o meno, non avevano più nulla a che fare con
le colonie. In
questo senso agirono le due grandi potenze: USA e URSS.
Conferenza a Bandung nel 1955
L’influenza
statunitense nel mondo si esprimeva esportando capitali, tecnologia, fornendo
aiuti di vario tipo e condizionando le linee politiche degli Stati subalterni,
come in Europa Occidentale, oppure saccheggiando risorse e materie prime
attraverso una combinazione di sfruttamento economico e di controllo politico
sui governi. Il
sistema neo-imperialista era molto articolato e andava da una complessa
politica di alleanza e di condizionamento verso grandi paesi (come nel caso
della costruzione dell'embrione dell'Unione Europea) fino alla politica brutale
in paesi sotto governi fantoccio in Asia e in America Latina (emblematico lo
sbarco dei marines in Libano, l'occupazione di Grenada e - soprattutto -
l'organizzazione del "golpe" cileno dell'11 settembre 1973). Alla
sfera di influenza statunitense, basata sull’imperialismo di tipo nuovo,
corrispondeva quella sovietica, nella quale l’URSS, pur nemica del vecchio
colonialismo e dell’imperialismo di nuovo conio di marca statunitense,
realizzava una sua forma di ferreo dominio sui paesi minori, che si manifestava
nel controllo politico ed economico e nell’utilizzazione delle risorse dei
piccoli e medi Stati dell’Est europeo (sottoposti anche diretta vigilanza e
repressione militare come dimostrato dall'Ungheria '56 e dalla Cecoslovacchia
'68). Il primato sovietico nel campo socialista poggiava, analogamente a quello
statunitense, sul monopolio delle super-armi e dei più avanzati settori tecnico
-scientifici (com'era dimostrato, in quel momento, dalla lotta tra le due
superpotenze per la supremazia nelle imprese spaziali). La decolonizzazione,
con il sorgere conseguente di numerosi Stati nuovi, portò al delinearsi di un
nuovo assetto planetario che fu battezzato con un’espressione poi corrente per
un lungo periodo eppur vaga “Terzo Mondo”. Un Terzo Mondo variegato per
storia, economia, struttura politica eppure accomunato da alcune grandi
tendenze di fondo: la necessità di svilupparsi in tempi rapidi e la diffusa
tendenza al “neutralismo”. In quest’ambito si svilupparono alcune iniziative
clamorose che misero in luce proprio queste tendenze “neutraliste”. Dopo la
conferenza di Colombo (Ceylon) del 1954, nel corso della quale India, Pakistan,
Birmania, Ceylon e Indonesia presero posizione per la fine della corsa
all’armamento nucleare, contro il colonialismo, a favore della pace e della
distensione ebbe grandissima importanza la Conferenza di Bandung (Indonesia),
la quale fra il 18 e il 24 aprile 1955 riunì 29 stati che per la maggior parte
erano neutrali. La conferenza era il frutto delle discussioni sviluppatesi tra
alcuni paesi asiatici durante la fase finale della crisi indocinese, e dopo la
firma, nel settembre del 1954, del trattato istitutivo della SEATO (l’omologo
sul fronte del Pacifico, della NATO). Originariamente la conferenza di Bandung
non era ispirata da un comune progetto tra i paesi partecipanti di non
allineamento rispetto agli schieramenti della guerra fredda, dato che fra i
paesi invitati erano presenti tanto il Pakistan, ben legato all’Occidente dal
trattato della SEATO e dalla sua politica generale, quanto la Cina, in quel
momento schierata con l’URSS, o le Filippine e il Giappone, capisaldi degli USA
nel Pacifico.
Complessivamente a Bandung furono presenti 29 delegazioni,
eterogenee quanto alla provenienza e anche rispetto alla loro linea di politica
internazionale ma tutte sensibili al tema degli schieramenti in relazione allo
scontro sovietico-americano e ai costi impropri che la logica dello scontro
proiettava su tutto il globo. In realtà il proposito iniziale fu modificato
durante i lavori dal ruolo dominante assunto da alcuni dei partecipanti, come
Nehru, Sukarno, Nasser, U Nu e Chou En Lai, che riuscirono a sovrapporre alle
tematiche di schieramento nelle quali i 29 partecipanti erano impegnati
l’analisi di alcuni principi generali che avrebbero dovuto costituire come una
sorta di guida del “non allineamento”. Il
diritto di autodeterminazione nazionale e la condanna del colonialismo ebbero
un posto importante nel dibattito: un altro punto importante fu rappresentato
dall’impegno, sancito in linea di principio, di “astenersi dal partecipare ad
accordi di difesa collettiva volti a servire gli interessi particolari delle
grandi potenze”. Era questa la formula del non allineamento, la cui
formula consentì però una vasta gamma di interpretazioni. In generale la
conferenza ebbe un forte valore simbolico, offrendo anche forti spunti di
dibattito e intervento ai movimenti della sinistra critica in Occidente, in
quanto vi furono affermati principi del futuro ordinamento internazionale come
il forte impegno a favore dell’indipendenza dei popoli coloniali, che avrebbe
avuto larga eco nel mondo, così come ebbe grande risonanza l’annuncio di una
nascente coalizione neutralistica (alla quale avrebbero poi aderito anche la
Jugoslavia e Cuba, al momento della rivoluzione castrista).
Emerse
poi un primo sintomo (in anticipo rispetto all’’apertura del conflitto politico-ideologico con l’URSS coincidente, due anni dopo, con l’avvio del processo di
destalinizzazione) della volontà cinese di sviluppare nel mondo afro-asiatico
una propria politica estera e di intervento economico del tutto autonoma da
quella sovietica. Lo "spirito di Bandung" sopravvisse poi alla grande
crisi del 1956, l'anno segnato (oltre che dal "rapporto segreto"
svolto da Krusciov nel corso del XX congresso del PCUS, sui crimini staliniani)
dalla repressione della rivolta ungherese da parte dell'URSS e dallo scontro
sulla nazionalizzazione del Canale di Suez con l'intervento militare di
Francia, Gran Bretagna e Israele respinto dall'Egitto. Quale seguito ideale
della Conferenza di Bandung si svolse così nel 1961 la Conferenza di Belgrado,
che mise in piena luce il ruolo della Jugoslavia guidata da Tito nell’azione di
disimpegno dei blocchi e in favore dell’azione dei paesi non allineati. La
Jugoslavia che, in seguito alla rottura con l’URSS avvenuta nel 1948, non si
era più allineata all’interno del blocco sovietico, aveva svolto un’intensa
attività a favore del disimpegno presso i maggiori paesi dell’Asia e
dell’Africa. Si avviava concretamente, anche se non tutti ne avvertirono
l’importanza, un processo politico teso a determinare la fuoriuscita dallo
schema di Yalta. Seguì allora una fase di tentativo rivoluzionario esteso
all'America Latina, all'Africa e all'Asia in particolare dopo gli esiti della
rivoluzione cubana, della vittoria vietnamita prima sui francesi e poi sugli
USA, della rivoluzione culturale cinese. Iniziò anche una intensa attività di
studio e di diplomazia della quale possiamo determinare il culmine con la
relazione "Nord/Sud" redatta dalla Commissione Brandt nel 1980; gli
esiti non furono felici come possiamo ben constatare nell'attualità. Noi
giovani avevamo vissuto un'epoca attraversata da grandi tensioni utopiche e di
profondo mutamento nel pensiero : una stagione nel corso della quale eravamo
riusciti a pensare che potesse essere davvero possibile non soggiacere alle
logiche dominanti nel potere globale. I
paesi "non allineati" erano stati visti come un faro rivolto al
futuro: questa modesta ricostruzione non procede oltre, l'intento era soltanto
quello di accennare ad una fase che non può e non deve essere dimenticata
proprio adesso, in un punto così difficile della storia.