La morte e tutti i suoi
annessi e connessi osservata da un punto di vista privilegiato: gli occhi di un
bambino. Con la loro innocenza possono ancora porsi domande semplici e immense,
ormai dimenticate o sepolte dagli adulti per mezzo di innumerevoli palliativi in
grado di aiutare a non sentire il dolore e l'ansia generati dalla presenza
immateriale e contemporaneamente carnale della nostra fine. Una scrittura
ricchissima di dettagli, uno sguardo dovizioso onnipresente, manzoniano,
balzachiano, capace di scandagliare le pieghe più nascoste del sentire per
raccontarle attraverso i mutamenti di un viso, di un corpo, degli oggetti e i
diversi giochi minimali di luce, polveri, vento, gocce. Un romanzo popolato da personaggi indimenticabili a partire dal
protagonista di cui conosciamo in presa diretta i pensieri, dal prete col
cangiare dei suoi occhi a seconda delle intenzioni e con la sua radicale sofferta
rinuncia, fino alle comparse abbozzate da veloci pennellate di parole. Immagini
vivide, materializzate davanti al lettore, come ad esempio i terribili
guardiani del cimitero. Diventa un “personaggio” che si stampa nella
mente perfino un piede che, come una piccola piovra, prende pian piano vita
propria fino a riempire di sé e della sua presenza olfattiva moltissime righe. “Tutto cominciò, e cominciò a finire, quando -esaurite le scorte dell'avere
e del custodire- non mi restò che vedere, con quello che mi rimaneva
degli occhi, delle mani e dell'antico primitivo bagaglio.” Un libro nello stesso tempo chiuso e aperto tra i due capitoli iniziale e
finale, Alfa e Omega. Un romanzo di formazione che, partendo dalle
esperienze vissute e dagli insegnamenti che gli sono stati impartiti,
porta un bambino a compiere dagli otto ai dodici anni un continuo scavo
attraverso domande e osservazioni indipendenti per arrivare a liberarsi
di tutta la zavorra di ciò che gli era stato inculcato e che non risponde più al
suo modo di sentire dopo la scoperta della propria individualità anche rispetto
a chi gli vuole bene e dopo l'accettazione spavalda di una propria solitudine
nel mondo. “Non avrei più cercato ciò che era solo principio e che volgeva
inesorabilmente alla fine.” “Era tempo, ormai, di salvarmi dal principio e dall'illusione che quel
fulgido sole … che … inondava l'oblò della finestra di uno schiumeggiante
oceano di luce, nascesse solamente ora con me.” Nel romanzo si parla di un paradiso costruito attraverso l'educazione
cristiana ricevuta e le esperienze di un chierichetto visto come un possibile
futuro papa Pacelli. Uno spazio celeste sospeso sulla testa che piano
piano, fin dai primi capitoli comincia a “faticare” a sostenersi per crollare
inesorabilmente davanti agli occhi e al corpo che si sforzano di vedere (“chiusi
gli occhi e vidi”) da sé l'esistente per darsene un'immagine positiva,
grandiosa, che permetta di “cogliere un senso” anche se ci si trova
immersinella confusione delle voci e degli stimoli del mondo. Un racconto filosofico, denso di significato, ma piacevolmente leggibile
grazie alle riflessioni giocate attraverso le domande apparentemente semplici
che può porsi un bambino davanti alla morte, all'esistenza e al desiderio di
trovare un motivo vero per vivere contrariamente a quello che fanno molti
adulti che sono già morti mentre continuano a respirare.
Roberto
Caracci Le crepe del Paradiso Eclissi di un’infanzia Ed. Moretti&Vitali 2021, pp. 340