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sabato 25 febbraio 2023

LE SOLITUDINI  
di Federico Migliorati

 
Grazia Verasani

Per Giacomo Leopardi la solitudine agiva come una lente d’ingrandimento: “Se sei solo e stai bene, stai benissimo; se sei solo e stai male, stai malissimo” è un suo celebre aforisma. Sulla solitudine, “osservata” in prima persona e tramite gli occhi di alcuni grandi scrittori, poeti, musicisti ha scritto recentemente la bolognese Grazia Verasani, nome noto nel panorama letterario e cinematografico, stimolata a intraprendere il cammino della letteratura da personaggi quali Gianni Celati, Roberto Roversi, Tonino Guerra, Stefano Benni. In Solitudini. Uno status del XXI secolo, agile librino di 43 pagine uscito da poco tempo per i tipi di Oligo Editore, l’autrice offre plurimi spunti di riflessione sul tema in un continuo rimando tra la propria esperienza e quella degli altri offrendo una panoramica succinta, ma interessante sul ruolo e sul significato che la solitudine, le solitudini hanno rivestito nell’esistenza di molti. Uno stato, anzi, uno status che alla cantante francese Barbara richiamava un senso di angoscia, in un fluido andare e venire presso di noi, da cui era impossibile liberarsi. Certo, questo è vero per esempio nei riguardi di genitori che sopravvivono ai figli: qui la solitudine si fa di pietra, come è narrato ne “Il nespolo” di Luigi Pintor che inventa il personaggio di Giano, protagonista dell’opera, riversando su di lui gli stessi incubi e dolori vissuti, quelli sorti dall’essere sopravvissuti ai propri figli, rimasti dunque soli al mondo e per giunta molto in là negli anni. Vi è tuttavia anche una solitudine “buona”, quella con cui troviamo un compromesso, un accomodamento sincero, generato dalle immancabili risorse che essa possiede e che l’autrice del librino ha saputo e voluto trovare. Appaiono tra le pagine alcuni dei protagonisti che le hanno segnato o instradato la carriera come appunto Celati, “con le sue lunghe gambe sempre in moto”, scrittore straordinario ed eclettico, che tanto rassomiglia al volume Passeggiatore solitario di Sebald dedicato a Robert Walser. Ma chi crea, costruisce o inventa storie, dispiega il proprio verso o la prosa sulla carta, come si trova con questo “status del XXI secolo”? Per alcuni esso è “una cella intollerabile”, ed è il caso di Cesare Pavese, per altri, come Schopenhauer “essere soli è il destino dei grandi spiriti” e ancora per Flaiano “tutti nasciamo soli e moriamo soli” in ciò asserendo come la solitudine sia consustanziale all’essere umano. Può aiutarci, venirci in soccorso di fronte al caos e alla frenesia quotidiana, può crearci timori e disillusioni, può altresì formare il brodo primordiale per una poesia o un romanzo, come lascia a intendere la stessa Verasani la quale invita, in ultima analisi, “a farsi amica la solitudine inflessibile” poiché siamo tutti legati e separati di volta in volta, uniti e divisi. Certo, i casi di cronaca, con episodi sempre più frequenti di persone, spesso anziani, ritrovate decedute dopo giorni o mesi, “invisibili” al mondo, lascia da pensare, ma ciò ci condurrebbe a ragionare su altro a partire da una socialità sempre più sradicata e avulsa da valori, da compassione, da un sentire comune. Nell’ultima parte del librino assistiamo alla confessione della Verasani figlia, tra malinconia e dolcezza, in un percorso emotivo che nonostante i dolori patiti per la scomparsa degli amati genitori le ha permesso di riscoprire il senso di una solitudine se non amica quantomeno “complice” nell’alimentare un amore sconfinato per i libri e per la scrittura. Il resto, per lei come per tutti, è racchiuso nel noto verso di Salvatore Quasimodo: “Ognuno sta solo sul cuore della terra, trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”.