Sono
passati undici giorni dal terribile terremoto che ha colpito la Turchia, la
Siria e, con particolare accanimento, le regioni curde in Turchia (Kurdistan
del nord). Le cifre che ci raccontano il disastro sono impressionanti, 42 mila
vittime e 1,6 milioni di sfollati. Nella Siria nord occidentale, una zona dove
sono già stati ammassati nei campi profughi più di 2 milioni di sfollati di
guerra, le vittime sono più di 6000 almeno secondo i dati forniti dal governo
siriano e dai ribelli al governo di Damasco che controllano la maggior parte
elle aree colpite. Numeri comunque destinati a salire e non solo per le vittime
dirette del terremoto ma per la difficoltà degli aiuti ad arrivare in certe
zone dove nel freddo più estremo mancano luce, acqua, viveri, coperte, medicine
senza parlare della recrudescenza dell’epidemia di colera. Il Congresso
nazionale del Kurdistan accusa il presidente Erdogan e la sua coalizione di
governo (AKP-MHP) di “corrotta incompetenza”, di “malversazioni
cleptocratiche”, “di incompetenza nei momenti di crisi” e denuncia la mancata
tempestività di intervento dopo il sisma che ha causato ulteriori vittimi e la
crisi umanitaria. Un Erdogan che si è fatto una associazione per affrontare la
crisi terremoto legata direttamente alla propria famiglia e impedisce alla
Mezzalunarossa di volgere le necessarie attività di soccorso. Ben sette città
curde non hanno visto aiuti dal governo centrale, e lo stesso è accaduta nelle
città a prevalenza di popolazione araba.
In
Siria il presidente Assad pretende, così riferiscono i soccorritori, una
percentuale del 70% sulle forniture mentre i ribelli chiedono che ogni
convoglio umanitario consegni loro tutto il materiale. Le voci sulla reale
situazione sono discordanti, la televisione italiana annunciava ieri tre vie di
accesso aperte per consentire l’accesso degli aiuti nella zona di Iblid; oggi
invece si parla di una sola, il varco di Bab al Hawa che a ridosso delle scosse
era rimasto chiuso per ben tre giorni, ignobili giochi di potere. Erdogan nella
sua ansia di ripulire il paese per presentarsi come efficiente e generoso
dirigente politico alle prossime elezioni nazionali ha mandato nelle zone
turche le ruspe appena dopo due giorni, operazione cinica col significato di
condannare a morte certa chi stava ancora combattendo per la vita sotto le
macerie e devia gli aiuti dalle zone arabe e curde perché la dura battaglia
politica giocata da Erdogan non si ferma neanche davanti a quella immane
montagna di morti.
Nel
Kurdistan colpito il 6 febbraio da due potenti scosse, una a distanza di sette
ore dalla prima, ad aiutare chi è rimasto sotto le macerie sono soprattutto
volontari; esercito e altri corpi dello stato non vanno in zona curda. Per
certi versi è un vantaggio perché le comunità organizzate subito mobilitate per
liberare i sepolti vivi ancora scavano e trovano vite sotto quell’ammasso di
polvere che sono ormai i palazzi costruiti dagli impresari collusi con il
potere. Palazzi che avrebbero dovuto adottare misure antisismiche e che invece
sono un cumulo di detriti di sabbia dal quale emergono poche esili strutture di
metallo attorcigliate. La popolazione accusa, per ora ancora sottovoce, Erdogan
per aver “rubato i fondi destinati alla preparazione al terremoto”. Secondo il
Congresso nazionale kurdo “L’alleanza al potere AKP-MHP sta usando il terremoto
come bomba per distruggere le città che i militari turchi non hanno
spazzato via durante gli assalti del 2015 e del 2016 usando i droni per
attaccare militarmente i curdi del Rojava”. E passa sotto colpevole silenzio il
cessato il fuoco deciso unilateralmente dal PKK per poter affrontare con un
grande sforzo di tutti il disastro terremoto e “trasformare quella tragedia in
una opportunità di pace per tutta la regione”. Intanto,
dal marzo 2021, non si hanno notizie del leader kurdo Mohammad Ocalan in
carcare da 24 anni e rinchiuso a regime di carcere duro, sotto la tortura
dell’isolamento, nell’isola di Imrali. A settembre 2022 il Comitato contro la
tortura era stato autorizzato a visitarlo ma non a rilasciare dichiarazioni,
per cui nulla si sa di quel prigioniero, della sua salute fisica e psichica. Di
fronte alla prepotenza, al cinismo e all’ingordigia di potere che non vacilla
neanche di fronte a una tragedia delle proporzioni di quella che ha toccato la
Turchia e la Siria viene anche a noi come a Gianni Tognoni segretario generale
del Tribunale permanente dei popoli di chiederci se “la vita dei popoli fa
parte dei diritti” riconosciuti dalla collettività umana o se bisogna
impegnarsi per ricostruire un mondo dei diritti. Ma il disprezzo per la vita
umana altrui ha un prezzo che, prima o poi, il popolo turco chiederà ad Erdogan
di pagare, magare non subito ma appena riuscirà a sollevare gli occhi dal suo
grande dolore. La
mezzaluna rossa curda Fonti
di pace onlus Per
aiuti mirati alle popolazioni curde versate il vostro contributo a: www.mezzalunarossakurdistan.org/