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sabato 18 febbraio 2023

TERREMOTO E CINISMO DEL POTERE 

 
Sono passati undici giorni dal terribile terremoto che ha colpito la Turchia, la Siria e, con particolare accanimento, le regioni curde in Turchia (Kurdistan del nord). Le cifre che ci raccontano il disastro sono impressionanti, 42 mila vittime e 1,6 milioni di sfollati. Nella Siria nord occidentale, una zona dove sono già stati ammassati nei campi profughi più di 2 milioni di sfollati di guerra, le vittime sono più di 6000 almeno secondo i dati forniti dal governo siriano e dai ribelli al governo di Damasco che controllano la maggior parte elle aree colpite. Numeri comunque destinati a salire e non solo per le vittime dirette del terremoto ma per la difficoltà degli aiuti ad arrivare in certe zone dove nel freddo più estremo mancano luce, acqua, viveri, coperte, medicine senza parlare della recrudescenza dell’epidemia di colera. Il Congresso nazionale del Kurdistan accusa il presidente Erdogan e la sua coalizione di governo (AKP-MHP) di “corrotta incompetenza”, di “malversazioni cleptocratiche”, “di incompetenza nei momenti di crisi” e denuncia la mancata tempestività di intervento dopo il sisma che ha causato ulteriori vittimi e la crisi umanitaria. Un Erdogan che si è fatto una associazione per affrontare la crisi terremoto legata direttamente alla propria famiglia e impedisce alla Mezzalunarossa di volgere le necessarie attività di soccorso. Ben sette città curde non hanno visto aiuti dal governo centrale, e lo stesso è accaduta nelle città a prevalenza di popolazione araba.
 



In Siria il presidente Assad pretende, così riferiscono i soccorritori, una percentuale del 70% sulle forniture mentre i ribelli chiedono che ogni convoglio umanitario consegni loro tutto il materiale. Le voci sulla reale situazione sono discordanti, la televisione italiana annunciava ieri tre vie di accesso aperte per consentire l’accesso degli aiuti nella zona di Iblid; oggi invece si parla di una sola, il varco di Bab al Hawa che a ridosso delle scosse era rimasto chiuso per ben tre giorni, ignobili giochi di potere. Erdogan nella sua ansia di ripulire il paese per presentarsi come efficiente e generoso dirigente politico alle prossime elezioni nazionali ha mandato nelle zone turche le ruspe appena dopo due giorni, operazione cinica col significato di condannare a morte certa chi stava ancora combattendo per la vita sotto le macerie e devia gli aiuti dalle zone arabe e curde perché la dura battaglia politica giocata da Erdogan non si ferma neanche davanti a quella immane montagna di morti.

 
Nel Kurdistan colpito il 6 febbraio da due potenti scosse, una a distanza di sette ore dalla prima, ad aiutare chi è rimasto sotto le macerie sono soprattutto volontari; esercito e altri corpi dello stato non vanno in zona curda. Per certi versi è un vantaggio perché le comunità organizzate subito mobilitate per liberare i sepolti vivi ancora scavano e trovano vite sotto quell’ammasso di polvere che sono ormai i palazzi costruiti dagli impresari collusi con il potere. Palazzi che avrebbero dovuto adottare misure antisismiche e che invece sono un cumulo di detriti di sabbia dal quale emergono poche esili strutture di metallo attorcigliate. La popolazione accusa, per ora ancora sottovoce, Erdogan per aver “rubato i fondi destinati alla preparazione al terremoto”. Secondo il Congresso nazionale kurdo “L’alleanza al potere AKP-MHP sta usando il terremoto come bomba per distruggere le città che i militari turchi non hanno spazzato via durante gli assalti del 2015 e del 2016 usando i droni per attaccare militarmente i curdi del Rojava”. E passa sotto colpevole silenzio il cessato il fuoco deciso unilateralmente dal PKK per poter affrontare con un grande sforzo di tutti il disastro terremoto e “trasformare quella tragedia in una opportunità di pace per tutta la regione”.
Intanto, dal marzo 2021, non si hanno notizie del leader kurdo Mohammad Ocalan in carcare da 24 anni e rinchiuso a regime di carcere duro, sotto la tortura dell’isolamento, nell’isola di Imrali. A settembre 2022 il Comitato contro la tortura era stato autorizzato a visitarlo ma non a rilasciare dichiarazioni, per cui nulla si sa di quel prigioniero, della sua salute fisica e psichica. Di fronte alla prepotenza, al cinismo e all’ingordigia di potere che non vacilla neanche di fronte a una tragedia delle proporzioni di quella che ha toccato la Turchia e la Siria viene anche a noi come a Gianni Tognoni segretario generale del Tribunale permanente dei popoli di chiederci se “la vita dei popoli fa parte dei diritti” riconosciuti dalla collettività umana o se bisogna impegnarsi per ricostruire un mondo dei diritti. Ma il disprezzo per la vita umana altrui ha un prezzo che, prima o poi, il popolo turco chiederà ad Erdogan di pagare, magare non subito ma appena riuscirà a sollevare gli occhi dal suo grande dolore.  
 
La mezzaluna rossa curda
Fonti di pace onlus  
 
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