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venerdì 10 marzo 2023

CHI, CON CHI E PER COSA?
di Girolamo Dell’Olio


Ci hanno rubato la scena. O ce l’hanno imprestata? Punti di vista.
Perché se il video-operatore Mediaset ha ritenuto di riprendere il cartello con le cattiverie che si infliggono a Piombino, lo si deve all’attenzione suscitata da quest’altra cosa che succedeva stamani. E chissà, magari scappa fuori in qualche super-notiziario. Certo è che mi sono appena posizionato al n. 4 di via Cavour, uno dei due civici d’ingresso al Consiglio Regionale, con un cartello addosso e l’altro al davanzale della finestra, che arriva un drappello di donne e uomini con bandiere rosse (CGIL?) ancora arrotolate attorno all’asta, mi si piazza davanti senza tanti convenevoli, e si mettono a chiacchiericciare fra loro. Dopo un po’, faccio timidamente notare che, mentre aspettano di partire stanno coprendo del tutto uno che manifestando sta già. Fanno mostra di aver sentito, ma la situazione non cambia. Solo una di loro ha la buona creanza di spiegarmi la loro vertenza: sono dipendenti della Regione, vengono da tutta la Toscana e protestano per una storia di assegnazioni inique di risorse economiche interne, che non condividono. I salari vengono tagliati per pagare gli staff degli organi politici. Ne avevo già sentito parlare, da un’altra dipendente incontrata al presidio in piazza Duomo, e dunque capisco, e condivido. Abbiamo un Giani in comune, dunque. Ma - tranne lei - nessuna e nessuno del gruppetto sindacale mostra interesse o curiosità, anche se si nota che ho dei volantini in mano e i cartelli sono scritti in un italiano abbastanza comprensibile. No, mi voltano tranquillamente le spalle e si fanno i fatti loro.



Ecco, questo davvero un po’ dispiace. Questo sì che mi sembra nimby, come si usa dire nei salotti televisivi. O corporativismo piccolo-borghese, come si diceva nel secolo scorso. E allora mi sposto, prima di qualche metro, vado alla finestra più a monte, e poi ancora a quella successiva. Sono arrivate nel frattempo tutte le bandiere confederali e io, ai margini, osservato come uno di quei nativi esotici delle “esposizioni etnografiche” ottocentesche nelle capitali europee, una sorta di curioso prodotto coloniale da apprezzare ma da lontano.
Fortuna che almeno qualcuno, con una bandiera sempre rossa ma con un’altra sigla stampata sopra, mostra comprensione e condivisione. Mario è dell’USB di Firenze, e sa benissimo di cosa si parla, qui nei cartelli: il suo sindacato è attivo a Piombino, e partecipa allo stesso ricorso dell’amministrazione comunale di quella città di cui proprio oggi è prevista la discussione nel merito. Commentiamo insieme le ultime notizie, comprese le ‘anticipazioni’ di ier sera, per cui ‘state tranquilli che il disturbo ve lo leveremo fra tre anni, e si cambierà mare: sempre Mediterraneo, ma non più Tirreno’.  “So che Snam sta lavorando anche a soluzioni, anzi si sta indirizzando su soluzioni che dopo tre anni di attività nel porto di Piombino portino la piattaforma offshore sull’Adriatico”, Giani dixit.



Con Mario mi avventuro in un’ipotesi interpretativa improntata all’ottimismo, mio inguaribile difetto. Quella per cui sarebbe in corso un gioco delle parti che conduca alla sola soluzione intelligente, ma senza troppi danni per l’immagine del Principe, che va preservata. E cioè che, proprio sulla scorta di uno scenario così inaccettabile per l’erario (che senso avrebbe attivare una procedura costosa come quella della messa in opera di quasi 9 km di tubazione in un Sito già inquinatissimo per ‘soli’ tre anni?), il Tribunale ispiri a saggezza amministrativa la sentenza: chiuda cioè la partita prima che diventi ancor più onerosa e, come si dice, buonanotte al secchio. Così si salverebbe (si fa per dire) la reputazione del Principe, si limiterebbe il danno erariale a quello accumulato finora, e soprattutto si solleverebbero dall’angoscia e dai guai economici i piombinesi. Le cronache delle ore successive mi danno inesorabilmente torto, e semmai - seguendo lo stesso filo di ragionamento - lasciano immaginare che il progetto resti quello del ‘cosa fatta capo ha’, con la nave che chi la smuove? Figuriamoci fra tre anni quante nuove emergenze avranno tentato di farci ingoiare oltre a questo boccone. Ergo, un motivo in più per allargare, approfondire, radicalizzare la resistenza. Perché, come ormai tutti possono capire, qui non è in ballo solo un porto, un’economia locale, un dono della natura: qui è in gioco un modello economico, culturale e sociale internazionale. E questo non deve farci paura: al contrario, deve motivarci ad allargare gli orizzonti nello spazio e nel tempo, a difendere casa nostra e la sua unicità alleandoci a tutte le case nostre e a tutte le unicità che si battono per un presente e un futuro degno di esser vissuto anche dalle generazioni che verranno. Ecco perché, se continuiamo a difendere Piombino senza far nulla per levare l’Italia da questa disgustosa guerra ‘umanitaria’, giusto per esempio, Piombino affonda, come affonda il Mugello, al quale pure si sta imponendo - con le pale eoliche che ne disboscheranno, ne cementificheranno e ne impermeabilizzeranno pendici e crinali - un’analoga balla energetica.



Oggi è venuto a trovarmi un altro commilitone di antiche battaglie, Daniele.
Un altro col cervello acceso, come tutti noi. E insieme, vedere questa sbandierata confederale dei dipendenti regionali che - tolti gli amici dell’USB - manco riescono a collegarsi con le battaglie delle terre e del mare della loro Regione, quella in cui lavorano e in cui subiscono i torti che lamentano, ecco, vedere questo spettacolo di ‘opposizione’ ci conferma nell’idea che è appunto la strada da non seguire. Non a caso la qualità della disobbedienza di Piombino sta nei suoi cartelli artigianali fatti a mano, nei suoi striscioni fantasiosi, nei suoi motti irridenti, nelle sue sceneggiature genuine, nella trasversalità dei messaggi. Guai se dovesse prestarsi all’omologazione! Mi veniva da pensarlo per contrasto stamani, venendo da San Marco, quando ho visto arrivare compatta dietro il suo striscione questa allegra brigata di ragazze tinteggiate di rosa. Già! La rituale Festa della Donna che i media ci hanno rivenduto ancora una volta da tutti i possibili altoparlanti, dal Quirinale a Radio Radicale con la sua inascoltabile diretta dalla Camera  giù giù fino al Teatro della Pergola, con l’immancabile Giani che consegna il ‘Pegaso della Donna’, a caso, alla presidente del Consiglio di Sorveglianza di Unicoop Firenze. Ecco, queste ragazze avanzavano urlando in coro il loro bisogno di libertà e di dignità, le loro voci squillanti rallegravano l’aria e l’animo di chi aveva la fortuna, come me, di captarle già da lontano.
Ma che slogan stantii! che ritmi vecchi e monocordi! che conformismo, nella protesta! ‘Sul mio corpo decido io’: meraviglioso! Ma è davvero andata così, in questi ultimi anni di psicopandemia generalizzata, di asservimento mentale dei ragazzi nelle famiglie e nelle scuole? Ho provato un paio di volte a chiederglielo, ad alcune di loro. Potrei sbagliarmi, non c’era davvero il tempo di mettersi a ragionare, ma ho avuto l’impressione che la mia domanda semplicemente non arrivasse. Ripeto, potrei sbagliarmi. Ma le parole d’ordine ‘trans-femministe’ sventolate dal servizio televisivo che le ha raccontate, poco fa, dalla piazza in cui sono confluite, la SS. Annunziata, mi fa temere che la manipolazione della protesta e del disagio stia facendo pericolosi passi avanti in salsa pseudo-progressista. Un po’ come con la fola dell’‘antifascismo’.