Con
Mitezza, Eugenio Borgna prosegue al meglio la sua avvincente fenomenologia
degli stati d’animo che segnano la nostra vita: nostalgia, solitudine, latente
follia, speranza e disperazione, saggezza…. Ma è la mitezza che sento di più:
in certo modo raccoglie le essenze di tutte le altre virtù, e dà voce a quel
modo di essere che anima l’aspirazione alla serenità della pace, fuori e dentro
di noi. Nulla può degnamente sostituire le parole che leggiamo nel preludio del
libro: “La mitezza, esperienza umana così importante, e così dimenticata, nella
vita personale e sociale, è la più radicalmente lontana dalla aggressività e
dalla angoscia, dalla impazienza e dalla fretta, dall’orgoglio e dalla
superbia, dalla indolenza e dalla indifferenza, dalla distrazione e dalla
sicurezza di sé. La mitezza sconfina nella gentilezza e nella tenerezza, nella
timidezza e nella bontà, nella nostalgia e nella amicizia”. Ha
diverse modalità di esistenza variabili anche nei tempi, e nei generi; non si
esaurisce in un proprio solo aspetto. Non si identifica del tutto con altri
vissuti ma va loro connessa: ad analogie e differenze tra di essi Borgna dà uno
spazio non trascurabile; in particolare quando chiama in causa la gentilezza, ma
anche la saggezza, la nostalgia, la fragilità, la paura, la follia, la
caducità, la speranza. Le parole conclusive del libro sono “non si può vivere
senza la speranza”, ma neppure “senza la nostalgia della mitezza”. La mitezza è
vista anche in relazione al non-mite mondo politico (e qui vengono alla ribalta
nomi quali quello di Norberto Bobbio in primis, e di Giorgio La Pira), e al
tempo della pandemia. Ma in primo piano sta il ruolo della mitezza nella cura,
il suo valore terapeutico spesso ignorato - cosa che si lega al pensiero e alla
persona di Borgna. La sua stessa viva presenza, così eigentümlich, lo
testimonia ampiamente. È stato difficile per me non pensare alla sua figura reincontrando
il principe Myškin, e il Don Chisciotte tanto amato da Dostoevskij (e da
Kafka). I
nomi chiamati a testimoniare sono per lo più ricorrenti anche in altri testi di
Borgna, ma qui se ne aggiungono di nuovi, e tutti assumono colori consoni al
tema di fondo. Nell’ordine ricordo quanto meno Carlo Maria Martini, Dietrich
Bonhoeffer, Etty Hillesum, Friedrich Hölderlin, Romano Guardini, Emily
Dickinson, Maria Zambrano, Walter Benjamin, Giacomo Leopardi, Vivian Lamarque,
Friedrich Nietzsche, Rainer Maria Rilke, Enrico Morselli, Giorgio Maria Ferlini,
Clemens Brentano, Umberto Veronesi, Franco Basaglia, Giovanni Pascoli, Sergio
Corazzini... Tra gli scrittori presi in considerazione da Borgna mi ha
innanzitutto coinvolto Dostoevskij: non solo lo struggente racconto La mite,
ma anche Alëša, e soprattutto Myškin (e perché non Sonia?). In riferimento a questo
grande artista Borgna chiama in causa Thomas Mann, Rossana Rossanda, Vladimir
Nabokov, Serena Vitale; e il film Une femme douce di Robert Bresson. In
una linea analoga è ripresa Anna Karenina di Lev Tolstoj. La
mitezza di Anna Karenina, della Mite le induce al suicidio. Il nesso mitezza-suicidio
si ritrova in Antonia Pozzi, tra le figure più acutamente, e a più riprese,
oggetto delle meditazioni di Borgna: in questo caso il punto di partenza è una
poesia del 1934: Preghiera alla poesia. La
mitezza infine intride di sé lo stile, le parole in cui si consegnano le
riflessioni di Borgna; ne segna il valore non solo fenomenologico-analitico ma
anche terapeutico. Questo emerge a proposito del bellissimo Diario di
Valeria: e delle pagine su Mario Tobino, specificamente su Il figlio del
farmacista, “le cui pagine germogliano dalla sua concezione dialogica e
leopardiana della psichiatria, e che si leggono anche oggi con stupore nel
cuore”.